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sabato 15 dicembre 2018

L'Arvulu dâ Vita Bergomi/ L'Albero della Vita di Bergamo

Ca sanza nomu 'nu Maestru...
certu 'n caritas disignanu...
accussì in Bergomi citati...
unni Sancta Maria Maggiur fu...
comu hodie staci, dâ Vita Arvulu...
cum dâ cruci vrazza ca rami...
accussì pì Sacrifizziu Christi...
sunnu...pì la sarvizza dû dumani.

Italiano:

Che senza nome un Maestro...
certo in carità disegnò...
così nella città di Bergamo...
ove Santa Maria Maggiore fu,
come oggi sta, della Vita Albero...
con della croce bracci che rami...
così...per sacrificio di Cristo...
sono...per la salvezza del domani.

Dedico questa poesia (scritta in maccheronico-siciliano ed in italiano) all'amica e collaboratrice Silvia Morelli.
Suo padre aveva collaborato nel restauro del luogo in cui si trova l'opera d'arte di cui parla il mio testo.
Nella gita a Bergamo, sono stato molto colpito dagli affreschi della basilica di Santa Maria Maggiore.
Tra i vari affreschi mi è piaciuto molto l'Albero della Vita.
Esso occupa tutta la parete del transetto sud.
Il pittore che lo dipinse risulta ancora oggi conosciuto con il nome di Maestro dell'Albero della Vita.
Il suo vero nome è ancora ignoto.
Probabilmente, l'opera fu fatta tra il 1342 ed il 1347 e fu ispirata al "Lignum vitae" di San Bonaventura di Bagnoregio (1217 o 1221-15 luglio 1274).
Nel 1342, intervenne una delle più potenti famiglie bergamasche, la famiglia Suardi.
Essa dispose dell'intera parete su cui fu realizzato l'affresco dell'Albero della Vita.
Guidino de' Suardi era sicuramente uomo di potere ma anche di grande religione, fu lui a commissionare al "maestro" l'affresco dell'albero della vita e volle che seguisse esattamente la lode del frate francescano Bonaventura che probabilmente aveva letto.
Il committente si fece ritrarre inginocchiato in preghiera.
Con quest'opera si volle fare capire che la crocifissione di Gesù servì a liberare il mondo dalla morte. 
Quindi, un'opera di morte divenne un'opera di nuova vita.
Guidino de' Suardi (ritratto lì) diede anche una manifestazione di grandezza, cosa che fu tipica di vari personaggi potenti del suo tempo. 
Ora, a vedere l'opera, sembra che l'artista abbia fatto parte della scuola di Giotto (1267-8 febbraio 1337).
L'affresco, infatti, non rispecchia più i canoni bizantini della figura fissa e bidimensionale ma vi è l'idea della prospettiva.
Somiglia molto alle opere di Giotto che si trovano nella basilica di San Francesco ad Assisi.
Vedendo anche le date, probabilmente, il Maestro dell'Albero della Vita studiò le opere di Giotto o (forse) fu della sua scuola.
Fortunatamente, nel 1661, Pellegrino Tibaldi impedì che quell'opera fosse coperta dalla tela del "Diluvio Universale" di Pietro Liberi (1605-1687).
Questo fu un grande atto per tutti.




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Ringrazio l'amico Morris Sonnino di questo screemshot de "Il Corriere della Sera".