L'articolo è intitolato "Falcone e Borsellino venticinque anni dopo.
Questo è il testo:
"Sono passati venticinque anni dalle uccisioni dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e ritengo giusto trattare l'argomento inerente alla mafia.
Noi tutti sappiamo di ciò che la mafia ha fatto, tra omicidi ed altri fatti illeciti.
Pur essendo qualcosa di negativo, la mafia ha una storia che spesso sconfina nella leggenda.
Pensiamo alla storia di Osso, Mastrosso e Carcagnosso.
Osso, Mastrosso e Carcagnosso furono tre fratelli e cavalieri spagnoli vissuti nel XV secolo che dovettero lasciare la Spagna per una "questione di letto" di una loro sorella.
I tre cavalieri fecero parte di un'associazione di Toledo di nome Garduna, la quale operò nella Spagna del Medio Evo e nelle colonie spagnole d'America, dal XV al XIX secolo .
A parole, questa associazione diceva di occuparsi di "mutuo soccorso" ma nei fatti era una fratellanza criminale.
Non si sa se essa sia mai esistita (come forse non esistettero i tre i cavalieri) ma spesso il suo nome fu usato in certa propaganda anticlericale.
Ora, Osso, Mastrosso e Carcagnosso fecero parte di questa associazione. Fuggiti dalla Spagna, questi tre cavalieri si rifugiarono nell'Isola di Favignana e qui fondarono le tre fratellanze criminali italiane note come camorra, 'ndrangheta e mafia.
Mastrosso andò a Napoli, ove fondò la camorra. Carcagnosso andò in Calabria, ove fondò la 'ndrangheta, Osso fondò la mafia in Sicilia.
Un'altra possible origine della mafia potrebbe risiedere nel nome che sarebbe nato come acronimo che recitava: Morte ai Francesi Italia Auspica.
Questo acronimo fu legato ai Vespri Siciliani del 1282. Anche riguardo a ciò ci sono forti dubbi.
Secondo altri storici, come Diego Gambetta, il nome "mafia" deriverebbe dall'arabo "mahyas" e significherebbe "spavalderia".
Con questo termine, gli Arabi, che occuparono la Sicilia dall'anno 827 al 1091, avrebbero indicato gruppi di persone contro di loro.
Una cosa è certa: la mafia è un'associazione criminale che ha un rapporto di concorrenza rispetto allo Stato e alle sue istituzioni.
La mafia ha una struttura che è a tutti gli effetti simile a quella di una vera istituzione.
Vi è un capo (detto boss) che sta al vertice di una "famiglia" e che è affiancato da un consigliere . Sotto il capo vi è un vicecapo e sotto quest'ultimo vi sono i capidecina.
I capidecina comandano a loro volta i "soldati", quelli che sparano e compiono le azioni criminali (come l'estorsione del "pizzo") che i loro capi gli impongono di fare.
Poi, ci sono gli "avvicinati" che sono quelli che aspirano a fare "carriera" nella mafia.
Una o più "famiglie" esercitano influenza su una zona denominata "mandamento".
Questa è la mafia: un'istituzione contro le legittime istituzioni, in cui si entra attraverso riti di iniziazione, quasi ad instillare una sorta di "sacro terrore" in chi si affilia.
Una dimostrazione di ciò fu quanto avvenne nel XIX secolo.
La mafia si identificò con le forze anti-borboniche che furono radicate soprattutto nella zona di Palermo e della Sicilia occidentale.
Al contrario, nelle zone di Messina e Catania vi furono delle forze borghesi che ebbero benefici durante il periodo di Gioacchino Murat (1808-1815). I Borboni confermarono questi benefici.
Non fu certo difficile che i mafiosi avessero partecipato ai moti di Palermo del 1820 e che poi avessero esercitato un'influenza nello sbarco di Giuseppe Garibaldi e dei suoi Mille nel 1860.
Con la spoliazione del sud che ci fu dopo l'unità di Italia e le politiche dei nuovi governi italiani, la mafia poté prosperare sul malcontento della gente comune, espandersi ed aprirsi la strada per diventare ciò che è oggi.
Già durante il periodo del Regno d'Italia, l'esponente della Destra Storica Sidney Sonnino denunciò il problema della mafia.
Era il 1876.
Divennero famose le cosche mafiose dei Piana dei Colli, Acquasanta, Falde, Malaspina, Uditore, Passo di Rigano, Perpignano ed Olivuzza.
Ne parlò il "Rapporto Sangiorgi", che fu steso tra il 1898 ed il 1901 dall'allora questore di Palermo Ermanno Sangiorgi.
Durante il fascismo, nel 1924, Benito Mussolini mandò Cesare Mori in Sicilia, come prefetto di Trapani.
Mori si mostrò capace ed efficace nel combattere la mafia, tanto che un anno dopo il Duce lo nominò prefetto di Palermo.
Tuttavia, nel 1929, Mori fu costretto a dimettersi.
La mafia non aveva (e tuttora non ha) un colore politico. Mori capì ciò e capì che neppure il Partito Nazionale Fascista fu immune a questo virus. Infatti, Mori iniziò ad arrestare anche fascisti collusi con la mafia.
Ci fu lo scontro con l'ex-ministro della Guerra Antonino Di Giorgio.
Si arrivò ai dossieraggi, con cui Mori (a cui fu affibbiata l'etichetta di "persecutore politico") fu silurato.
Formalmente, egli fu "messo a riposo" ma nei fatti fu rimosso.
Nel 1943, gli Alleati sbarcati in Sicilia cercarono appoggi antifascisti.
I gabellotti mafiosi si presentarono come vittime della repressione fascista. Emersero così personaggi come Calogero Vizzini , sindaco mafioso di Villalba.
Il resto è storia recente.
Pensiamo ai casi del sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, a Totò Riina e a Bernardo Provenzano.
Ora, la mafia deve essere sconfitta.
Per sconfiggerla non bastano dei buoni poliziotti che arrestano i mafiosi e le scomuniche del Papa ai medesimi.
Serve prima di tutto che i cittadini comuni siano tutelati.
Servono una giustizia che garantisca la certezza della pena e del diritto, una burocrazia snella, efficiente e al servizio del cittadino ed un fisco giusto.
Questo fa sì che il cittadino si senta tutelato. Non sempre è stato fatto ciò e si sono visti i risultati.
Mi rivolgo ai lettori di questa rivista con questa domanda: "Voi denuncereste un mafioso, sapendo che, per esempio, non c'è nessuna certezza della pena?".
Io penso proprio di no. Sia chiaro, non sto giustificando la mafia ma faccio notare una situazione che esiste nei fatti.
Anzi, oggi esiste una "zona grigia", un certo strato di società in cui non si riescono a distinguere i buoni, coloro che stanno nelle istituzioni, dai cattivi, che sono i mafiosi. Di ciò parlarono a loro tempo Falcone e Borsellino.
Per combattere la mafia bisogna partire dal buon funzionamento delle istituzioni.
Spero di avere fatto capire il mio pensiero.
Termino, dicendo che bisogna evitare di mettere la lotta alla mafia nel tritacarne della discussione politica tra partiti.
Le divisioni tra la gente comuni sono controproducenti rispetto alla lotta a questo male.
Oggi, la mafia è presente in Sicilia (specialmente nelle Province di Palermo, Catania, Ragusa, Trapani, Caltanissetta ed Agrigento) ed è presente nel resto d'Italia e all'estero.
Pensiamo agli Stati Uniti d'America, ove si ricordano mafiosi come Al Capone e Lucky Luciano.
Quindi, essa non è solo un problema siciliano.
Antonio Gabriele Fucilone".
Prima di tutto, ringrazio la professoressa Barbara Spadini ed il professore Roberto Archi della possibilità che mi è stata data di collaborare con questa bellissima rivista.
Io cercherò sempre di dare il mio contributo. Questo è garantito.
Per abbonarvi alla rivista, contattate la professoressa Barbara Spadini .
Quello della mafia è un tema storico molto attuale che deve essere raccontato senza pregiudizi e con tanto studio e ricerca.
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