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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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mercoledì 7 ottobre 2015

Servirà un'altra battaglia di Lepanto?



Cari amici ed amiche,

il 7 ottobre 1571, la flotta cristiana trionfò su quella turca nella Battaglia di Lepanto.
Per arrivare a questa vittoria, però, si versò del sangue innocente.
Se non ci fosse stata la fatwa con cui il sultano Selim II (1524-1574) decise di attaccare Cipro, che era in mano a Venezia e se non fosse stato barbaramente ucciso Marcantonio Bragadin (1523-1571), la Battaglia di Lepanto non ci sarebbe stata.
Si sarebbe potuto evitare tutto questo?
La risposta è sì.
Se i cristiani avessero reagito nel XV secolo e nel 1453 avessero impedito a Turchi Ottomani di prendersi Costantinopoli, la storia sarebbe andata diversamente.
Invece, si decise di intervenire quando la minaccia divenne concreta.
Quella fatwa emessa dal muftì di Costantinopoli (o meglio Istanbul) ed implementata dal sultano Selim II imponeva all'Impero Ottomano di prendere tutte le terre che erano state dominio arabo, comprese la Sicilia e la Spagna.
Ricordo che l'Impero Ottomano era al suo apogeo.
Quindi, il pericolo era forte.
Solo quando allora i cristiani si accorsero che la minaccia era concreta.
Ora, faccio una riflessione per il giorno d'oggi.
L'Isis è una minaccia che per lungo tempo è stata sottovalutata,
Oggi è davvero pericoloso.
Adesso riporto un'analisi di Fahd Bin Jleid, opinionista del gruppo editoriale saudita “Al-Jazirah”, riportata da "La Stampa", che mi è stata segnalata dall'amico e collaboratore Angelo Fazio:

"Daesh non è solo un’organizzazione terroristica ma una malattia che si può diagnosticare, prevenire”. A sostenerlo è Fahd Bin Jleid, opinionista del gruppo editoriale saudita “Al-Jazirah”, secondo il quale bisogna trattare “Daesh” - acronimo arabo di Isis, lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi - come vero e proprio virus, “che si può riconoscere da sintomi psicologici e fisici” in maniera tale da far intervenire le forze di sicurezza o il personale medico “prima che sia troppo tardi”. Proprio come fanno i dottori per curare i malati gravi. “Agenti, medici e ricercatori devono cooperare per identificare degli indicatori capaci di aiutare le famiglie ad identificare il bizzarro modo di pensare che porta i singoli ad aderire a Daesh” afferma Bin Jleid, secondo il quale le “luci rosse” da tener presenti sono “isolamento sociale, visita a siti Internet sospetti, dipendenza dai social network e bruschi cambiamenti di comportamento”. Poiché le forze di sicurezza “non possono seguire ogni singolo individuo identificando tali cambiamenti” l’appello è rivolto innanzitutto alle famiglie, affinché siano loro ad individuare gli “indicatori della deriva terrorista” allertando “personale medico e di sicurezza” chiedendogli di intervenire “prima che sia troppo tardi”. “Famigliari, parenti ed amici sono quelli che più possono evitare ad un loro caro di cadere nella trappola di Daesh - aggiunge l’opinionista - ed hanno una grande responsabilità nello scoprire cambiamento improvvisi di modi di fare, pensare, agire” prevedendo il contagio ideologico, l’adesione ad Isis e dunque “pericoli per un’intera famiglia o comunità”".

Ringrazio Angelo.
Non vorrei che per intervenire contro l'Isis si dovesse arrivare ad aspettare il fatto grave (come fu grave quello che accadde a Cipro nel 1571) perché l'Occidente reagisse.
Cordiali saluti.

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Ringrazio un caro amico di questa foto.