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venerdì 11 maggio 2012

Filippo Giorgianni, "Recensione a 'La destra e la sinistra'", in 'Cultura & Identità' n. 16/2012, pagg. 82-87

Cari amici ed amiche.

Leggete questa interessante nota scritta da Filippo Giorgianni:

"JEAN MADIRAN, La destra e la sinistra, con una prefazione di Francesco Agnoli e una introduzione di Roberto de Mattei, Fede&Cultura, Verona 2011, 96 pp., € 10,50

Jean Madiran, pseudonimo di Jean Arfel, è scrittore e politico cattolico nato nel 1920, esponente del tradizionalismo francese ed ex collaboratore del monarchico Charles Maurras (1868-1952) e del suo quotidiano (e movimento omonimo) Action Française. È stato fondatore della rivista cattolicaItinéraires, è ora direttore del quotidiano Présent ed è vicino al partito Front National. La sua copiosa produzione editoriale è quasi non pervenuta in Italia, tranne qualche opera pubblicata nel variegato mondo gravitante intorno all’estinto Movimento Sociale Italiano. Di recente si è assistiti a un ritorno di interesse per taluni suoi scritti, tra cui questo volumetto, già pubblicato nel 1977 dalle editrice Volpe e oggi ripubblicato con le introduzioni di Francesco Agnoli (pp. 5-10) e Roberto de Mattei (pp. 11-14) – che, per lo più, si muovono (specie Agnoli) all’interno del quadro delineato dall’autore. Tale opera cerca di descrivere il rapporto che intercorre tra i due termini della dicotomia politica ma, pur basandosi anche su osservazioni storiche, non è una ricostruzione storica accurata, bensì un testo politologico che si appunta su alcune caratteristiche strutturali del rapporto tra i due termini. Va segnalato che la nuova traduzione è talvolta poco corretta rispetto all’originale francese e all’edizione Volpe, nonché viziata da alcuni errori di battitura. Il punto di partenza di Madiran è che la distinzione politica destra-sinistra nasce a sinistra: ove si ponga mente al fatto che, prima della Rivoluzione del 1789, il sistema politico non si basava su di una democrazia parlamentare, bensì su di un’omogeneità religiosa e valoriale della società che non conosceva la distinzione tra due poli concettualmente contrapposti, e ove si ponga mente al fatto che l’introduzione in politica dei termini destra e sinistra sia stata prodotta dalla Rivoluzione francese, si potrebbe cioè dire che essa è frutto della sinistra, in quanto la Rivoluzione che ha introdotto i due termini è stata portata avanti da quelle forze che a sinistra si collocarono. Per questo, l’autore scrive: «La distinzione fra una destra ed una sinistra è sempre un’iniziativa della sinistra» (p. 23) e aggiunge ulteriormente – con argomento che accompagna tutto il testo – che, nascendo in questo modo, la distinzione politica si basa su di una guerra asimmetrica tra sinistra e destra, dove il polo forte è la sinistra: «Coloro che instaurano o rilanciano il gioco “destra-sinistra” fanno parte essi stessi della sinistra […]. Questa forma di lotta politica era sconosciuta prima del 1789.[…] Non esiste una distinzione oggettiva fra destra e sinistra […]. Vi è all’origine un atto di pura volontà, che instaura il gioco “destra-sinistra” o, più esattamente, il gioco “sinistra contro destra”» (pp. 23-24). Su questa scia, il testo prende velocemente ma brillantemente a considerare le caratteristiche della sinistra. Essa, pur nelle sue varie manifestazioni, è corrosiva della realtà, sovversiva, demolitrice dell’ordine (cristiano e naturale): in una sola parola, è rivoluzionaria (p. 42): «La sinistra opprime ciò che è, nel nome di ciò che sarà e che non è mai qui; è il segreto del movimento perpetuo in politica» (p. 70). Svolgendo questa analisi della sinistra – per quanto abbozzata e ondivaga –, Madiran ha l’indubbio merito di esporre due sue caratteristiche effettive: l’esser intimamente anticristiana e l’aver carattere processuale. Con riguardo al primo elemento, Madiran sottolinea come, essendo nata la sinistra in contrapposizione con l’ordine cristiano medievale, e partendo da basi diverse (e opposte) a quelle del cristianesimo, qualunque incontro tra sinistra e cristianesimo è impossibile: «Poiché la sinistra lotta contro l’ingiustizia e anche il Cristianesimo lotta contro l’ingiustizia, si è arrivati nel ventesimo secolo a confonderli. E non è la sinistra a creare, per lo più, questa confusione, sono i cristiani e ciò è già un indizio; se il Cristianesimo fosse sostanzialmente di sinistra, la sinistra finirebbe per accettare i cristiani[…]. Sinistra e Cristianesimo lottano entrambi contro l’ingiustizia e talvolta anche contro la stessa ingiustizia, ma mai nella stessa maniera; mai salvo contaminazione del metodo cristiano con quello della sinistra. I due sistemi non possono, d’altronde, associarsi in quanto essi non sono né paralleli né convergenti; essi sono in verità contrari. La sinistra combatte l’ingiustizia mediante la ribellione delle vittime, il Cristianesimo combatte l’ingiustizia mediante la conversione dei peccatori. Questi due metodi si escludono» (pp. 33-34). Per questa ragione, come spiega bene il capitolo II (pp. 31-40), il vero e unico nemico della sinistra è il cristianesimo, un nemico che è anche politico, come dice il capitolo V (pp. 69-80), stigmatizzando l’atteggiamento di certi cristiani che in ambito socio-politico accantonano la propria fede, dimenticando come, sebbene il Vangelo non sia un messaggio politico, esso abbia anche una sua rilevanza politica. Inoltre, la sinistra ha carattere processuale: è un aspetto osservato anche da molti altri autori – tra cui Francisco Elías de Tejada (1917-1978), Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Thomas Molnar (1921-2010), Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) e Vittorio Mathieu – e che, come nota Madiran, è dovuto al carattere utopico della sinistra: essendo rivoluzionaria, volendo eliminare l’esistente in nome dell’illusione irrealizzabile (l’utopia), una volta che la sua utopia fallisca – com’è necessario che succeda, in quanto irrealizzabile –, la mentalità della sinistra la spingerà a cercarenuove mete illusorie, in un continuo gioco di fallimenti e nuovi slanci: « La sinistra opprime ciò che è, nel nome di una speranza che è sempre una falsa speranza. Dal 1789 le promesse della sinistra, sempre e comunque vittoriosa di rivoluzione in rivoluzione, non sono mai state mantenute e ciò era chiaramente impossibile: ma il suo insaziabile messianismo temporale è ogni volta rimbalzato in una nuova utopia» (p. 70). In tal modo, la sinistra, pur essendo unitaria nella sua mentalità rivoluzionaria, non è una, ma molte, e ogni nuova sinistra tende a rigettare “a destra” le vecchie sinistre fallite. In tutto questo gioco, secondo l’autore, proprio a causa del fatto che la sinistra ha creato la distinzione e a causa di questo suo carattere processuale che colloca “a destra” ciò che rigetta, la destra si troverebbe in condizione di minorità perpetua: essa non si caratterizzerebbe da sé, ma sarebbe solo la proiezione di ciò che la sinistra vuole che sia la destra. La sinistra sarebbe colei che, dopo essersi collocata ed essersi data un contenuto sullo scenario politico, decide cosa sia la destra, costringendo coloro che sono a destra a subire la collocazione operata dalla sinistra. Del resto – spiega il capitolo III (pp. 41-53) –, la sinistra, pretendendo di risolvere le ingiustizie e i mali del mondo col metodo di sobillare le vittime ed eliminare quindi i “cattivi” (p. 41), si trova sempre con la necessità di dover additare qualcuno come “nemico” – in ciò contrapponendosi al cattolicesimo (p. 49) –, bollando questo nemico come “destra” anche quando questi sia, in realtà, una produzione della sinistra (pp. 41-42): «Una sinistra si costituisce per abbattere uomini, istituzioni, leggi: essa chiama “destra” uomini e cose da abbattere; uomini e cose spesso scaturiti essi stessi, nel mondo moderno, da una rivoluzione di sinistra. È l’eterno gioco della rivoluzione» (p. 42). Così, ad es., Jozif Stalin (1878-1953) metteva a morte gli avversari con l’accusa di essere “reazionari”, nonostante fossero membri del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) (p. 41), e, mentre l’U.R.S.S. invadeva l’Ungheria nel 1956, gli insorgenti ungheresi e il loro stesso leader, Primo ministro marxista, Imre Nagy (1896-1958) (pp. 52-53), venivano apostrofati come “controrivoluzionari” dai partiti comunisti internazionali. E, ancora, quando le conviene, la sinistra considera “di destra” uomini e movimenti filosofico-politici provenienti da (e culturalmente di) sinistra: la sinistra «Ributta a destra il vecchio socialista Pierre Laval [1883-1945] e il vecchio socialista [Benito] Mussolini [1883-1945], rappresenta [Adolf] Hitler [1889-1945], demagogo socialista e rivoluzionario, come uomo di destra. Come uomo di destra, Charles de Gaulle [1890-1970], salito al potere nel 1944 con i comunisti con i quali ha governato. La sinistra dispone a sinistra a suo beneplacito la nomenclatura» (pp. 25-26). Per questa ragione, Madiran, pur vedendo nel cristianesimo il vero avversario della sinistra, non riesce ad ammettere che la destra si possa del tutto immedesimare con esso (p. 39), in quanto il cristianesimo autentico – «tradizionale» (p. 40) – sarebbe sì rigettato “a destra” dalla sinistra, ma insieme ad altre forze. La “destra” quindi non si connoterebbe per un contenuto ben definito e oggettivo, nonostante Madiran ne abbozzi, qua e là nel testo, dei caratteri tipici, e nonostante la rimproveri – specie al capitolo IV (pp. 54-68) – di voler spesso imitare la sinistra (p. 31), facendo così il gioco di quest’ultima. Tuttavia, egli non può fare a meno di rilevare come, per forza di cose, la destra finisca col difendere i principi religiosi: se la sinistra, nel suo relativismo processuale e nel suo anticristianesimo, è materialista e riduce tutto all’ambito temporale, abusandone – «La sinistra è l’eccesso di fiducia nel temporale, è l’uso sistematico, è l’abuso dei mezzi temporali» (p. 58) –, la destra «rappresenta lo spirituale, ma comodamente distesa nel più confortevole letto da campo del temporale, come diceva [Charles] Péguy [1873-1914]» (p. 58). Inoltre, Madiran vede opportunamente come la destra si connoti moralmente – la morale che la sinistra demolisce – e scrive: «La destra è, inoltre, sensibile ai sentimenti morali: la virtù del patriottismo, l’onestà (l’onestà di bilancio dell’ortodossia economica, non già quella dei deficit, della svalutazione), la vita familiare, l’ordine, la sicurezza; la legge morale naturale» (pp. 55-56). Il libro poi conclude (pp. 81-92) con una sorta di programma della destra, che parte dalla presa d’atto che la sinistra vince inculcando una contro-educazione nelle masse, specie giovanili, attraverso i media, e quindi esso, accanto a proposte non del tutto realizzabili – come limitare l’impatto dei media –, propone di operare, contro questa diseducazione di sinistra, una lotta culturale che restauri la legge naturale nell’uomo, divelta dal rivoluzionarismo: è «il ripristino, come legge fondamentale dello Stato, delle regole della morale naturale che sono quelle di tutti i popoli e di tutti i tempi e che sono riassunte nel Decalogo […]. Il bene comune temporale, sola finalità reale di ogni azione politica, consiste in null’altro, essenzialmente, che nella trasmissione, spiegazione, illustrazione e osservanza del Decalogo» (p. 88). Sicuramente il testo evidenzia elementi reali e importanti, ma si appunta solo su una parte della realtà con riguardo al termine destra. La sensazione che Madiran lascia al suo lettore è che esser di destra sia qualcosa che vada rivendicatocon riluttanza, nonostante tale riluttanza sia conveniente alla sinistra. Madiran, per quanto sia di formazione tomistica e si renda conto della necessità di rafforzare la posizione della destra (p. 69), di fronte agli attacchi della sinistra, non riconosce un’autonomia ontologica alla destra e fa propria la lettura relativista dei termini destra e sinistra fatta dai progressisti – Norberto Bobbio (1909-2004), Marco Revelli, etc. –, cedendo parzialmente ed inspiegabilmente alla loro ottica dialettica (hegeliana). Così, non definendo precisamente cosa essa sia, facendone un contenitore vuoto, la lettura del testo può tendere a giustificare il rifiuto della categoria destra, abbandonando l’azione politica e divenendo irrilevanti, oppure rischia di porre le basi per far collocare malamente il lettore sullo scacchiere politico, confondendo di più un ambito di studi ingiustificatamente già intricato e disperdendo i consensi in forze non alternative alla sinistra – tra cui i centri, categorie ibride che lo stesso Madiran rifiuta (p. 30) e che finiscono sempre storicamente col derubare le destre di consensi per poi cedere alle sinistre –, facendo così proliferare (presunte) “destre” di tutti i tipi – anche molto simili alle sinistre, e quindi non alternative ad esse –, legittimandone l’esistenza e lasciando che la distinzione politica sia in balìa dell’istintualità, della soggettività, e non del rigoroso studio storico e filosofico-politico. In tal senso, Madiran non vede del tutto come la “destra” subisca la distinzione politica proprio a causa del fatto che non prende mai troppa coscienza di sé: se le “destre” sono sempre in posizione minoritaria, non avendo pensatori di riferimento e cinghie di trasmissione – giornalisti, intellettuali, propagandisti – influenti come la sinistra, ciò avviene soprattutto perché le “destre” non si fanno convintamente destra, perché spesso le persone quasi si vergognano di appartenervi. Ma soprattutto, Madiran lascia passare la pericolosa impressione che il cristianesimo non si posizioni in modo naturale a destra, fornendo a quest’ultima i propri contenuti e quindi fondandone l’identità, ma lascia credere invece che il cristianesimo subisca la collocazione artificialmente insieme ad altre forze, solo in ragione del gioco degli slittamenti rivoluzionari della sinistra che posiziona il cristianesimo e tali forze formalmente “a destra”. Con tale libro la confusione e la frammentazione degli avversari della sinistra non diminuisce ma cresce e, dunque, esso necessita di correzioni nascenti dalla lettura di testi purtroppo non tradotti in Italia: Jean Laponce, Left and Right: The Topography of Political Perceptions, Toronto 1981; Erik von Kühnelt-Leddihn (1909-1999), Leftism Revisited: From Sade and Marx to Hitler and Pol Pot, Washington D.C. 1990; Francisco Canals Vidal (1922-2009), Derechismo, in Idem, Politica española: pasado y futuro, Barcellona 1977. In particolare, Madiran, pur intuendo – come Kühnelt-Leddihn e Laponce – il fondamento trascendente della destra, lasciando nel lettore la sensazione che il termine destra sia soltanto “subìto” e relativo, dimentica che, seppur la Rivoluzione del 1789 abbia introdotto destra e sinistra in politica, uno studio storico attento rivelerebbe però anche come i due termini fossero già in uso prima della Rivoluzione con un significato più profondo di tipo teologico e antropologico – non relativo e non dipendente da manovre politiche della sinistra moderna, in quanto presente da millenni in tutte le culture e religioni, ed eminentemente nel cristianesimo; dimentica poi come i rivoluzionari (e i loro avversari) avessero semplicemente ripreso e si fossero fondati su tale significato, traslandolo in politica, e come, sin dasubito in seno agli Stati Generali e all’Assemblea Nazionale del 1789, a destra si collocassero anche soggetti ben consapevoli della propria posizione e identificatisi concettualmente come difensori dell’ordine cristiano tradizionale. In più, Madiran sostiene che la destra è lo spirituale coricato nel «letto da campo» del temporale, quasi ad intendere che tale sistemazione sia poco congeniale allo spirituale. Per quanto in parte vero – in quanto lo spirituale dovrebbe fisiologicamente esprimersi nelle sedi e nei modi suoi propri –, ciò non tiene conto della realtà: se ci si situa in un contesto secolarizzato, non può pensarsi una politica complessiva rispettosa di principi religiosi, ma si sarà costretti a confrontarsi con settori non religiosamente orientati della società, i quali, per forza di cose, esprimeranno in politica principi non religiosi, attraverso proprie fazioni. Ma, in un contesto secolarizzato, il millenario significato antropologico e teologico di destra e sinistra non si perde e, se storicamente le fazioni ed etichette politiche moderne, sin dal primo istante, sono nate e si sono fondate sulla scorta di tale significato, sarà dunque pur sempre necessario, per una persona religiosamente orientata, collocarsi politicamentea destra, una destra che avrà una sua autonomia contenutistica. A causa del sorgere storico di “destre” ibridate con la sinistra, sarà certamente necessario distinguere tra destra e “destre” ibridate, ma non si tratterà di mal tollerare o rifiutare la categoria politica destra, bensì di mostrare come l’unicadestra autentica sia quella religiosamente fondata, in quanto «ultradestra» – come scrive Canals –, la più “estrema”, perché la prima storicamente esistente e la sola pienamente alternativa alle sinistre. Non si tratterà di sottrarsi al gioco “sinistra contro destra”, sopportando controvoglia il termine destra, ma si tratterà di ribaltarlo, instillando nelle persone di destra la consapevolezza che è possibile il gioco inverso – “destra contro sinistra” –, se solo lo si vuole e ci si impegni in tal senso per una battaglia culturale diffusa, in quanto, se la sinistra attacca e distrugge le cose, obbligando la destra a una posizione di difesa delle cose, le cose attaccate non sono prive di identità solo perché attaccate, e, poiché la sinistra distrugge, la destra dovrà allora anche ricostruire, e quindi anche “attaccare”, pur senza imitare lo spirito della sinistra. Alla fine, il libro di Madiran può essere utile nella misura in cui mostri difetti atavici che regnano “a destra”, ma anch’esso risente di tali difetti, non mostrando alle “destre” come maturare e liberarsi dal loro infantilismo, ma anzi mostrando quest’ultimo come elemento ineluttabile e strutturale della destra. Il giudizio sul testo non può esser negativo, nel complesso, ma si tratta pur sempre di un’occasione mancata, e perfino di una lettura fuorviante, ove non venga integrata da analisi e dimostrazioni storiche, antropologiche e filosofiche che l’autore non svolge o che dà per sottese.
".

Mi piace commentare note come queste e per questo motivo stimo molto Filippo Giorgianni, un ragazzo veramente talentuoso.
Come uomo di destra, vorrei dire due parole.
Essere di destra significa essere conservatori.
Essere conservatori, però, non significa essere attaccati grettamente a certi rituali piuttosto che a certi usi.
Vi faccio degli esempi pratici.
Le monarchie protestanti, di cui ha parlato il professor Plinio Correa de Oliveira nel suo libro "Rivoluzione e Controrivoluzione".
Le monarchie protestanti sono attaccate alla ritualità?
La risposta è sì.
Addirittura, esse usano dei cerimoniali antichi.
Tuttavia, nelle monarchie protestanti si annidò la rivoluzione e quando il re tese a mettersi contro di essa furono guai per lui.
Il caso di re Carlo I Stuart fu il paradigma di ciò.
Anche certi cattolici tradizionalisti che non riconoscono l'autorità del Papa (come i sedevacantisti) non possono essere definiti "di destra".
La Chiesa si fonda sull'obbedienza e come scrisse lo stesso monsignor Bernard Fellay, superiore della Fraternità di San Pio X, ai vescovi che rifiutano di riconciliarsi con Roma scrisse:

"La Chiesa attuale ha ancora Gesù Cristo come capo. Si ha l’impressione che voi siate talmente scandalizzati da non accettare più che questo possa essere ancora vero".*

Chi è cattolico deve riconoscere l'obbedienza al Papa. Non basta mantenere i vecchi rituali.
Lo stesso discorso si può applicare per la politica.
Basti pensare ai comunisti che non vogliono modifiche della nostra Costituzione.
Anche i comunisti possono essere conservatori.
L'uomo di destra, invece, è conservatore per quanto riguarda i valori più intrinseci di una società.
Essere di destra significa difendere valori antichi come la famiglia, la vita o la sussidiarietà.
L'uomo di destra difende valori simili pur non disdegnando di volgere lo sguardo in avanti.
Anzi, l'uomo di destra difende il passato per pensare al futuro.
Riflettiamo.
Cordiali saluti.


*Lefebvriani, la battaglia interna, ringrazio Angelo Fazio.

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