Cari amici ed amiche.
Vi riporto i risultati elettorali del centrodestra a Barcellona Pozzo di Gotto, in Provincia di Messina, e vi invito a leggere questa riflessione dell'amico Filippo Giorgianni:
"«La sinistra uccide ciò che è oggi, in nome di ciò che sarà domani e che non è mai qui; è il segreto del moto perpetuo in politica. La sinistra uccide ciò che è, in nome di una speranza che è sempre una falsa speranza. Dal 1789 le promesse della sinistra, sempre vittoriosa di rivoluzione in rivoluzione, non sono state mai mantenute, era cosa del tutto impossibile: ma il suo insaziabile messianismo temporale ha ogni volta rimbalzato su di una nuova utopia.»
(Jean Madiran, La destra e la sinistra, Volpe, Roma 1977, p. 36)
La sconfitta del candidato del centrodestra barcellonese impone una riflessione “a destra” ed impone un’analisi dei dati, la comprensione di questa sconfitta. Non si può frettolosamente e pessimisticamente additare il tutto come dovuto all’attuale “antipolitica” montante, o a problemi (pure esistiti!) di cattiva gestione della campagna elettorale o di debolezza del candidato proposto, o, ancora, pensare che si volesse semplicemente dare una “lezione” alla famiglia politica dei Nania.
Dunque analizziamo il voto e specificamente quali voti il centrodestra ha perso per strada. Partiamo dall’erosione “a destra”. Alle scorse elezioni erano presenti forze (sul cui collocamento “destro” sospendiamo il giudizio di principio, limitandoci a registrarne politologicamente l’esistenza) che “da destra” erodevano voti al centrodestra dell’epoca: si allude ad Alleanza Siciliana che, costola del centrodestra dell’epoca (poi divenuto PdL), si è scissa, rubando una porzione di voti al centrodestra del 2007. Anche alle recenti elezioni era presente una forza che si è scissa dal centrodestra: quella di Santi Calderone. Ma la scorsa volta, la lista “destra” aveva colto poco più del 5% dei voti. In quest’occasione, invece, la perdita di voti verso “destra”, verso liste più o meno provenienti dal bacino elettorale del centrodestra – le liste di Calderone – si è praticamente raddoppiato (più del 10%). Eppure questo dato non avrebbe comunque dovuto incidere (e, come si vedrà, non ha realmente inciso), se si pensa che nella scorsa tornata elettorale l’elettorato “centrista” trovava in lizza una lista autonoma (con autonomo candidato a sindaco), scollegata dal centrodestra del 2007; mentre, in tale occasione, l’UdC è confluita nel centrodestra. In altri termini, se nel 2007 il centrodestra aveva perso il 5% di voti, esso aveva, per di più, ulteriori voti in meno: quelli dell’UdC che si assestava sul 14,82%. Nel complesso, il centrodestra aveva dunque ben il 19% di voti persi “verso destra” e verso il centro. Se la matematica non è un’opinione, il raddoppiarsi dei voti persi “verso destra” in quest’occasione avrebbe dovuto essere compensato dal recupero dell’UdC. Pur perdendo un 5% in più di voti “a destra” nel 2012, il complesso delle liste di centrodestra avrebbe dovuto comunque registrare un innalzamento di +14% proveniente dal centro (sicché, perdendo un 5% in più “a destra”, e recuperando un 14% al centro, avrebbe dovuto guadagnare circa il 9% dei voti, rispetto al passato). Ma in quest’ultima tornata l’UdC non ha avuto la medesima forza di quella passata, subendo una flessione della metà dei voti (passando dal 14,82% al più misero 7,23). Non c’è stato dunque un grosso recupero della coalizione delle liste di centrodestra, che però, nonostante ciò, grazie all’apporto UdC, ha potuto mettere una toppa all’emorragia di voti persi “a destra”: pur perdendo il 5% in più, rispetto alla scorsa volta, la coalizione ha guadagnato il 7% dell’UdC, guadagnando (teoricamente) un 2% in più di voti rispetto alla scorsa volta. Ma qui si registra l’anomalia: pur con la perdita di Calderone e pur con la mutazione di sigle e volti politici, la coalizione nel suo complesso è la stessa del 2007 con l’aggiunta dell’UdC. Ma, nonostante questo, la coalizione in termini di liste ha subito una flessione notevolissima di voti che sono venuti a mancare nel complesso. Alla scorsa tornata la coalizione aveva demolito tutti gli avversari, attestandosi con uno schiacciante 72,53% complessivo. Nel 2012, invece, la somma delle percentuali delle liste si afferma solo al 59,68%, maggioranza rilevantissima cittadina, ma non più schiacciante. La flessione è pesante: ben 13 punti percentuali persi. Da 19582 voti complessivi si è passati a 15581 voti. Sono esattamente 4001 voti in meno. Chiunque conosca approfonditamente la scienza politica, sa che le “destre” normalmente sono maggioranza reale nel paese anche quando perdono, perché i loro elettori non confluiscono quasi mai a sinistra, preferendo l’astensione: il polo moderato-conservatore, quando perde, perde a causa dell’astensionismo che ne punisce questo o quel difetto (ingigantito dai media allineati a sinistra): candidati non all’altezza, cattiva (e persino non ottima: l’elettore che punta al centrodestra è molto schizzinoso e cerca sempre una scusa per non votare rispetto al suo omologo di sinistra…) amministrazione, etc. L’astensionismo punisce quasi sempre a destra. Pure qui, non si vuol sindacare sulla razionalità di tale scelta in termini di principio – del resto, come nota Gustave Le Bon in La Psicologia Politica, troppo spesso le scelte politiche di breve termine (come quelle elettorali) non sono minimamente ispirate a razionalità, ma bensì sono frutto di irrazionalismi –, ma ci limitiamo solo a registrare il fenomeno. Ebbene, anche in quest’occasione la legge è confermata: almeno un migliaio di voti mancanti alla coalizione di centrodestra rispetto al 2007 sono dovuti esattamente all’astensione. In questa tornata elettorale, infatti, l’astensionismo è aumentato di ben 4 punti percentuali abbondanti: se nel 2007 erano andati a votare (registrando, rispetto alle precedenti elezioni, un +1,32% di votanti) 28176 elettori (il 79,59% degli aventi diritto al voto), nel 2012 i votanti al primo turno sono stati 27423 (il 75,34%): cioè poco meno di un migliaio di voti. Il dato sembrerebbe dunque il solito: la sconfitta del candidato del centrodestra sembrerebbe dovuta all’usuale meccanismo di astensione dei moderati. Ma non è così, o meglio, non è solo questo che è venuto a mancare al dottor Sarino Catalfamo, quantomeno al primo turno. Infatti, 1000 voti non sono 4000. E, a ben vedere, posto che il totale dei voti di tutte le liste avversarie del centrodestra è stato al primo turno di 10528 – mentre tutte le liste avversarie del centrodestra al primo turno del 2007 avevano raccolto solo 7830 voti –, si può ben dire che i circa 3000 voti mancanti si sono equamente distribuiti nelle varie altre liste – il centrosinistra è cresciuto del doppio dei consensi rispetto al 2007, federandosi con MPA e FLI; le liste di Calderone hanno mostrato una forza maggiore rispetto a quella di Musumeci, come detto sopra, etc. Ma, in effetti, il dato inquietante è un altro: a dispetto di tutto, i 4000 voti persi tra astensione e liste avversarie non sono stati il vero ago della bilancia, nonostante (come si dirà) la maggior parte di essi siano confluiti al secondo turno sul candidato avversario, Maria Teresa Collica: il vero problema è stata la forbice elevata tra coalizione e candidato, che non si può motivare unicamente con le spiegazioni superficiali addotte in questi giorni. Non ha tanto inciso la congiuntura nazionale e internazionale che «punisce chi governa», né l’assalto all’arma bianca verso la stagione politica dei Nania (di cui Catalfamo è emanazione) venuta a noia all’elettorato: ciò che ha inciso, oltre questi fattori, è ben altro: si allude alla perdita di identità dell’elettorato del centrodestra, del venir meno del suo sentirsi di destra. Infatti, lasciando perdere naturalmente l’ostilità totale degli avversari storici collocati a sinistra, l’elettorato che ha votato le liste di centrodestra, se fosse stato realmente “di destra”, se fosse stato realmente convinto della propria identità e se avesse solamente voluto punire i Nania per stanchezza nei loro confronti, si sarebbe limitato all’astensione o al voto ad altre “destre”, come in parte è avvenuto. Ma, coerentemente con la propria identità, le persone “di destra” non avrebbero mai consegnato (quanto meno non direttamente col proprio voto) la città a un candidato che, in modo del tutto evidente (nonostante le polemiche e le smentite degli sprovveduti e degli interessati), è espressione delle sigle della sinistra più estrema. Il fatto che sia successo (come vedremo adesso con i prossimi dati) è inquietante, indicando un mutamento antropologico dell’elettorato “di destra”, un suo progressivo slittamento, un suo scarso radicamento “a destra”, o una sua scarsa affezione verso il centrodestra cui dovrebbe essere legato, nonostante tutto. Qual è il dato inquietante? Si è detto che il problema è la forbice tra coalizione e candidato. Se si osserva il voto del 2007, si vedrà come il candidato del centrodestra (Candeloro Nania) abbia avuto anch’egli una differenza in passivo rispetto alla coalizione: se la coalizione aveva raccolto 19582 voti, Nania ne aveva ricevuti solo 15409. Ben 4000 voti in meno rispetto alla coalizione, dovuti al voto disgiunto: elettori della coalizione, insomma, hanno votato altri candidati (segnale, già allora, di un primo sintomo di disaffezione per il centrodestra da parte di suoi elettori tradizionali). Tuttavia, osservando i dati degli altri candidati, si può ben vedere come nessuno abbia ricevuto in modo schiacciante i voti provenienti dalla coalizione di centrodestra, esattamente com’è avvenuto per i 3000 in meno delle liste Catalfamo: chi più, chi meno, tutti gli altri candidati hanno registrato un buon numero di voti in più (e non in meno, come invece avvenuto per Nania) rispetto a quelli raccolti dalle proprie liste e comunque se li sono spartiti in modo relativamente equo, in proporzione ai voti ricenuti dalle liste (arrotondati, il candidato di Musumeci, Raimondo, aveva preso 900 voti in più rispetto alla propria lista che ne aveva presi 1448; Torre 900 in più rispetto ai 4001 delle liste; Saija 2200 rispetto ai 1358 delle sue liste; Salvato 400 in più rispetto ai 610 della sua lista), coprendo i circa 4000 voti mancanti a Nania. La situazione nel 2012 è, invece, molto più grave. Non perché il candidato abbia perso voti a livello personale mantenendoli però almeno a livello di lista, come aveva fatto Nania, ma perché addirittura le liste stesse del centrodestra (e non il solo candidato!) hanno perso i suddetti 3000 voti circa (più 1000 circa di astensione). Ma la gravità ulteriore sta altrove: nelle ultime elezioni i candidati non sono stati 5, ma 4, perché l’UdC si è unito al centrodestra. Tuttavia, i voti che aveva raccolto Torre come candidato UdC del 2007 non sono giunti al candidato Catalfamo nel 2012, mentre anche stavolta si è assistito alla dispersione di voti della coalizione verso gli altri candidati, come era avvenuto per Nania, e però in modo ben più grave: il candidato Nania aveva perso 4000 voti rispetto alla propria coalizione, sparpagliandoli tra i vari candidati. Nel 2012 il candidato Catalfamo (7285 voti), le cui liste hanno preso in tutto 15581 voti, oltre a non guadagnare voti dai nuovi apparentamenti e oltre a perdere 4001 voti di lista a causa dell’astensionismo e della dispersione verso le altre liste, ha perso anche voti ulteriori: se detraiamo ai 15581 voti della coalizione i 7285 del candidato, mancano all’appello 8296 voti per il candidato. Ciò è avvenuto (anche per l’imperizia e la cattiva informazione da parte dei candidati verso gli elettori) a causa del mancato “effetto-trascinamento”, vale a dire l’assenza del meccanismo per cui la semplice croce su una lista porta un’estensione di voto al candidato sindaco anche se non espressamente indicato dall’elettore con apposita croce sul suo nome: 8296 persone non hanno segnalato Catalfamo sindaco. Sono, dunque, 8296 schede in bianco, vale a dire voti non destinati a nessuno? Proprio per niente: ed è qua la gravità rispetto a Nania: mentre Nania aveva perso 4000 voti in favore di un po’ tutti gli avversari, Catalfamo ha subito un’emorragia di voti non verso gli altri candidati in genere, ma verso un solo candidato. Osservando i voti presi dai vari candidati al primo turno, si può notare come, per lo più, essi coincidano con i voti presi dalle loro rispettive liste: il candidato PD, MPA, FLI (Marte) ha preso, infatti, 3300 voti e le sue liste 3219; il candidato (Calderone) delle liste civiche che hanno derubato “a destra” la coalizione di Catalfamo ha preso, invece, 4897 voti e le sue liste 4855. In pratica un collimare quasi perfetto tra coalizione e candidato. La differenza clamorosa si ha, quindi, con il candidato Collica: se la sua coalizione ha potuto esprimere soltanto il minoritario bacino elettorale suo proprio (2452 voti per le sue liste: molti di più, comunque, del misero risultato dell’omologo del 2007, Città Aperta: 610 voti di lista), la sua persona, a differenza degli altri candidati, non ha ricevuto la medesima quantità di voti ricevuti dalla lista che l’appoggiava (cioè 2500 voti circa), ma invece, già al primo turno, ne ha ricevuti molti di più: qualcosa come 6396 voti, vale a dire ben 3944 voti (in pratica quasi 4000), o 2/3, in più rispetto a quelli ricevuti dalle proprie liste. Se ben notiamo, lo scarto è quasi esattamente di 4000 voti. Ciò sta a significare che, nonostante l’ampia offerta elettorale del primo turno, di quei 8296 voti non espressi per Catalfamo ma dati alla coalizione di centrodestra, in realtà, 4000 sono confluiti per intero sul candidato Collica, che è il candidato dell’estrema sinistra! Quasi metà dei voti non dati a Catalfamo non sono stati frutto di mera imperizia, ma di scelta precisa e una scelta che non si è riversata un po’ ovunque, o sulla “destra” di Calderone, bensì tutti su Collica: l’estrema sinistra.
Già qui si può rinvenire una carenza oggettiva del centrodestra: abituato a chiudersi arrogantemente nella presunta sufficienza dell’intuito dei suoi candidati e supporters di organizzare una campagna elettorale, il centrodestra non ha studiato minimamente e umilmente a tavolino questo dato che era già evidentissimo al primo turno. Se si fossero presi i dati e si fossero analizzati con analisti politologi, così come si sta facendo in questa sede, si sarebbe immediatamente veduto questo passaggio di voti così elevato. Immediatamente si è pensato che mancassero dei voti a causa di alcuni fattori legati per lo più all’astensione indotta dal mancato “effetto-trascinamento” (cioè l’assenza dell’estensione del voto delle liste al candidato sindaco) o l’astensione voluta (cioè si è pensato che chi aveva votato la coalizione non aveva votato volutamente Catalfamo, ma senza votare altri candidati), ma non si è pensato minimamente che i ben 4000 voti fossero interamente confluiti al candidato dell’estrema sinistra così come invece è avvenuto: sarebbe bastato studiare i dati, per notare come questa valutazione fosse sbagliata. Non si è solo sopravvalutata la propria capacità e sottovalutato un avversario (cosa giàgravissima): ci si è addirittura “dimenticati” di studiare il voto, prima di gettarsi nella campagna del ballottaggio. Non ci si è per nulla accorti del dato (raccapricciante).
Ma non finisce qui: il problema è che si rischia adesso di non comprendere le ragioni complessive del voto nei due turni, così come prima non si è nemmeno studiato quelle del primo turno. Se, pur con l’emorragia di 4000 voti verso la Collica, si fossero portati al ballottaggio i 4000 rimanenti, si sarebbe potuto vincere comunque. Tuttavia, l’elettorato di centrodestra tende a mobilitarsi meno facilmente (il suo legame è, infatti, come si intuirà anche più avanti, più “flebile” rispetto a quello che permea l’elettorato della sinistra: l’elettorato di centrodestra è, più che altro, un network: vedi Ilvo Diamanti,Mappe dell’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro… e tricolore, seconda edizione, il Mulino, Bologna 2009, p. 126). Dunque, esso risente di facili flessioni ai ballottaggi, come dimostrano altri casi alle ultime amministrative (o a quelle passate), dove candidati di centrodestra, in ampio vantaggio al primo turno, hanno perso voti (e anche le elezioni in più occasioni) al secondo: è cioè difficile mobilitare due volte in poco tempo l’elettorato “reazionario”, a meno che non vi siano “emergenze” evidenti. Al ballottaggio, infatti, sono andati a votare 22839 persone (grossa flessione rispetto ai 27423 del primo turno): 4500 persone in meno. E sono quasi per intero i 4000 che al primo turno hanno votato centrodestra, ma non Catalfamo, in quanto, come si dirà a breve, la Collica non ha perso quasi nessun voto di quelli già raccolti al primo turno, o che era naturale che avrebbe raccolto in più al secondo.
Catalfamo vittima dell’astensione e della protesta di una parte della “destra” che ha votato l’avversario, dunque? No, perché, se indubbiamente l’astensionismo (magari svolto anche, in parte, in chiave “protestante”) ha inciso, non è invece altrettanto vero che i voti a Collica nel primo turno siano stati voti di protesta tout-court: essi lo sono stati solo in parte; mentre quelli del secondo turno sono praticamente i medesimi che si sono espressi al primo turno. Vediamo quanti voti ha preso la dottoressa Collica: il numero è di 13664. Da dove provengono? Da tutto l’elettorato (meno una minima parte) che al primo turno ha votato per uno dei candidati contrari a Catalfamo: se addizioniamo, infatti, i voti presi da tutti i candidati sindaco al primo turno (Collica+Marte+Calderone) avversari al centrodestra, ne uscirà fuori il numero 14593. Se, invece, osserviamo i voti di Catalfamo al secondo turno, vedremo come quest’ultimo abbia preso 1349 voti in più (passando da 7285 a 8634). Rispetto all’insieme dei voti di tutti gli avversari di Catalfamo (14593), vediamo che la Collica ha preso mille voti in meno circa (13664): quel migliaio che in più sono giunti a Catalfamo al secondo turno. Il che significa che sulla Collica sono confluiti tutti i suoi voti iniziali (anche i 4000 provenienti dal centrodestra) più i voti degli altri candidati al primo turno ma che, di fronte al “rischio-Collica (estrema sinistra)”, un migliaio di voti, originariamente (nel 2007) del centrodestra e poi dispersi, sono “tornati all’ovile” di Catalfamo provenendo, con molta probabilità, dall’elettorato di Calderone. Dunque, una parte dei voti collichini sono voti ideologici della sinistra coagulata intorno alle sue liste, una parte sono tutti quelli del rimanente centrosinistra, una parte sono una porzione di quelli di Calderone (questi sì, di “destra” e “di protesta”), una parte sono provenienti direttamente dalla coalizione di Catalfamo. In altri termini, significa che al ballottaggio praticamente nessun voto si è minimamente spostato dalla Collica verso Catalfamo, e che ella ha mantenuto tutti i 4000 voti provenienti da lui, mentre, com’era prevedibile (in quanto l’elettorato di centrosinistra è ben più disposto a muoversi compatto alle urne più volte e anche, quando “moderato”, disposto a votare sigle più radicali, pur di abbattere l'avversario), ella ha raccolto anche quasi tutti i consensi del centrosinistra (salvo qualche astenuto eventuale) e una parte di quelli di Calderone. Ma perché, si diceva, i 4000 voti provenienti dal centrodestra non sarebbero voti di persone realmente di destra (e che avrebbero, in tale occasione, semplicemente protestato contro il centrodestra che hanno sempre votato prima di oggi)? Innanzitutto, perché la protesta, se proveniente da persone di destra realmente convinte, non si sarebbe tramutata in voto all’avversario, bensì in semplice astensione (com’è anche avvenuto a causa dell’affluenza in calo rispetto al 2007). Se il confluire dei 4000 voti fosse avvenuto al ballottaggio, sarebbe stato comprensibile definirli “voti di protesta” da parte di persone che, pur di destra, avrebbero voluto “punire” la nomenclatura del centrodestra barcellonese, in quanto la scelta obbligata sarebbe stata tra due soli candidati: dunque, per “punire” uno, sarebbe stato necessario votare l’altro. Ma i voti in questione si sono spostatiimmediatamente, al primo turno, quando i candidati erano di più e non c’era necessità di votare ilcompetitor più estremista. Se fossero stati autentici voti di protesta provenienti da delle persone convinte “di destra”, al primo turno avrebbero potuto indirizzarsi su di un candidato “di destra” alternativo (come in parte è avvenuto con quel +5%, confluito su Calderone, rispetto a quella inferiore quota che, a suo tempo, era confluita su Musumeci). Invece non è avvenuto. Anzi, la Collica ha goduto di 4000 voti, confluiti direttamente su di lei immediatamente al primo turno. Ciò significa che la protesta non è stata realmente tale, ma è stato un voto più o meno convinto per la sinistra estrema: chi ha votato Collica, non è un soggetto che ha affezione reale e del tutto consapevole per la destra e che, in questa occasione, ha votato “per protesta” contro i difetti del centrodestra; bensì questi 4000 che han votato Collica, a prescindere che si dicano o meno “di destra”, hanno indubbiamente subito una fascinazione della sinistra. La dimostrazione sta nel fatto che al secondo turno, pur di fronte al rischio concreto di una vittoria della sinistra estrema, probabilmente non c’è stato, in pratica, alcun ripensamento significativo, nessuno spostamento di voti da Collica a Catalfamo: quest’ultimo ha preso, infatti, 1349 voti in più (passando da 7285 a 8634), perché, com’era prevedibile (e normale) che fosse, quella frangia “di destra” che ha protestato nei suoi confronti al primo turno (votando, per lo più, Calderone o non votando), ha ovviamente preferito il centrodestra alla sinistra, ma i 4000 suddetti invece sono rimasti quasi graniticamente con la Collica, dimostrando così ben poca convinzione destrorsa e ben poca attenzione ai rischi della deriva a sinistra.
Cosa possiamo dire allora di questi 4000 voti? Chi sono? Diciamo che, a prescindere qualunque altro dato ulteriore, la Collica ha palesemente preso ben 4000 voti dal centrodestra rispetto ai numeri che questo aveva fatto nel 2007, ma che questi 4000 voti non possono provenire da un elettorato che sia realmente di destra in modo convinto, quand’anche quest’elettorato si definisca o si pensi “di destra”, in quanto, se realmente appartenesse alla destra, esso dovrebbe avere un’affezione per la sua parte di provenienza ed un’avversione per quella avversaria (specie più estrema) e tale avversione, nonostante l’eventuale antipatia verso i candidati del centrodestra stesso, non avrebbe permesso un voto diretto alla Collica da parte di queste persone. Eppure è ciò che è accaduto: in questo voto alla Collica, una tale preoccupazione (e consapevolezza del rischio che si correva) non si è certamente vista. Quel che si vuol dire qui è che, a dispetto della propria provenienza, la gran parte di quei 4000 voti non è di destra o, quantomeno, non lo è in senso stretto: hanno votato “a destra” per molto tempo, ma non sono convintamente “di destra”, o, quantomeno, hanno poca idea di cosa significhi esserlo. Si vuol dire che il problema di fondo è che una grossa fetta dell’elettorato “di destra” non ha più le idee chiare, non ha un’identità forte, un’appartenenza a quella che dovrebbe essere la sua area politica. Non si sta parlando di una frangia minima, bensì addirittura di 1/4 degli elettori del centrodestra, in quanto, posto che essi sono 4000 e posto che Catalfamo ha preso circa 8000 voti e che più di 4000 dei suoi elettori si sono astenuti, l’elettorato di Catalfamo complessivamente fa 18000 persone di cui appunto i 4000, appunto 1/4, che hanno votato Collica e che hanno dimostrato così disaffezione, scarsa identità). Ha pagato la debolezza del candidato Catalfamo? No, nonostante la sua scarsa oratoria, il soggetto non è di molto più debole (in termini di appariscenza mediatica) rispetto a tanti altri (in primis, Candeloro Nania che pure ha vinto due elezioni). Ha vinto, semmai, la forza mediatica e la capacità di creare entusiasmo dell’avversario: il che è lievemente diverso. Al di là degli errori contingenti fatti nella campagna elettorale – moltissimi: qualcuno anche descritto qui –, ha vinto soprattutto la grande forza-trappola della sinistra (studiata da molti autori: da Jean Madiran, La destra e la sinistra a Thomas Molnar, La Controrivoluzione, passando per Vittorio Mathieu, La speranza nella rivoluzione): la sua onnipresente forza di suggestione, la sua capacità di alimentare speranze (anche non supportate dai fatti), facendo leva sull’istinto tutto irrazionale delle persone, a dispetto di qualunque argomento ragionevole – come le opere fatte dall’amministrazione uscente, come la palese mediaticità (tutta berlusconiana…!) della Collica (dunque il suo essere in modo evidente un’operazione di puro marketing, di pura pubblicità), come il fatto che la Collica abbia la minoranza in consiglio comunale, etc.
Tirando le conclusioni, se la fascinazione operata dalla sinistra è riuscita a vincere in modo così netto, derubando il centrodestra di voti tradizionalmente suoi, tutto questo significa che è in atto una mutazione antropologica nell’elettorato barcellonese e, nello specifico, nell’elettorato di centrodestra:una sua grossa fetta è sempre meno convintamente di destra, votando il centrodestra solo per mera abitudine conformistica, e voltando le spalle al minimo abbaglio creato ad arte dalla sinistra. La destra convinta ormai sta divenendo, in realtà, minoranza all’interno della città, per quanto minoranza “qualificata”, numericamente rilevante. La cosa preoccuperebbe poco se l’età media di questa minoranza fosse bassa e se il suo atteggiamento fosse “missionario” per così dire, cioè tendente a cercare nuove leve in modo convinto per un ricambio generazionale e un radicamento territoriale nella città a livello di mentalità. Ma così non è: essa è, per lo più, popolata da persone mature… è inutile nascondersi: sebbene dati certi non ve ne siano – sarebbe interessante uno studio in tal senso… –, è evidente la presenza e la mobilitazione giovanile a favore della Collica. I giovani “di destra” sono una fetta di gran lunga minoritaria rispetto a quella di sinistra e, soprattutto, essi non hanno una capacità/volontà di mobilitazione, ideazione, ricerca di nuove persone, di creazione delle condizioni per poter aumentare il proprio numero nel lungo periodo e di radicare bene le persone a destra, impedendo così che esse votino altrove.
In altri termini, la domanda è: quanti giovani (ma anche quanti maturi…), tra i pochi che si definiscono “di destra”, sono realmente motivati, quanti tra loro sanno cosa significa essere di destra in modo argomentato, serio e razionale (e non solo sentimentale!) e si sentono graniticamente (senza cedimenti) di destra, evitando così di votare in maniera ondivaga (persino votando la sinistra estrema…!) a seconda del momento elettorale? È in atto un arretramento a livello personale: mancano le persone di destra. Invecchiano (e spesso lo fanno male) e non sono sostituite da un numero sufficiente di giovani. La città, come il resto del paese negli ultimi decenni, si sta lentamente livellando verso sinistra (e verso il basso: sono i c.d. «barbari verticali» di cui parla José Ortega y Gasset ne La ribellione delle masse e che, presi dalla smania continua di sempre innovare, non conoscono la propria cultura e civiltà di provenienza, la propria identità, preferendo abiurarle, preferendo allontanarsene, nonostante ne godano i frutti). E questo è potuto avvenire perché per anni, anziché puntare alla vittoria elettorale nel breve periodo, la sinistra, davanti alla totale inerzia del centrodestra – e, anzi,davanti ai suoi occhi, mentre era all’amministrazione –, ha saputo costruire nel lungo periodo, come avvenuto a Barcellona con Città Aperta e le iniziative “salesiane” – movimenti “di opinione”, prima ancora che elettorali! –, consolidandosi prima nelle teste (e poco importa se esse siano pensanti o meno!) della gente, e solo dopo nelle urne elettorali: perché i voti viaggiano con le teste, e più teste si hanno a favore, più voti si hanno alle urne. Hanno vinto perché hanno convinto molti con l’illusione di essere “i salvatori” (qualcuno parlerebbe giustamente di «messianismo temporale»), muovendosi da una base culturale – non in senso di “quantità elevata di libri letti”, ma nel senso di idee di fondo, di mentalità! Non è irrilevante il fatto che, nel giro di qualche anno, una realtà apparentemente irrilevante del panorama barcellonese abbia espresso il sindaco della città, aumentando anche di tre volte il proprio peso elettorale iniziale. Il passaggio da 610 a 2326 voti, partendo solo da iniziative di tipo sociale e culturale, prima che partitiche, è indicativo della importanza (e utilità anche elettorale) di tali iniziative nell’incidere sulla mentalità delle persone, nell’influenzarla, e quindi nell’incidere indirettamente sul voto.
Al centrodestra non resta altro che prendere atto di questa realtà e fare altrettanto (ma senza illudere, come invece fa la sinistra, consciamente o inconsciamente). Tocca ripartire non, come al solito, da dieci centimetri dal proprio naso, pensando (magari all’ultimo momento) a come vincere le prossime elezioni, ma ripartire dal radicamento nelle teste, ripartire dal convincere la gente non solo “a votare destra” alla prossima volta, ma all’essere di destra da ora sino alla morte, da ora a tutte le competizioni elettorali. Senza questo tentativo (di lungo periodo), la sconfitta progressiva è assicurata, perché la maggioranza si va sempre più uniformando a sinistra, specie quella giovanile: e i giovani di oggi saranno gli adulti di domani: una volta morti gli adulti di oggi, resteranno solo loro. Il compito del centrodestra, anche quello locale, è quello che chi scrive (vedi Filippo Giorgianni, Il ruolo della politica di fronte al declino “coriandolare” del moderno, in http://www.loccidentale.it/node/116008), pur conscio della verità insita nella citazione gomezdaviliana che conclude questa analisi, ha di recente additato a tutto il centrodestra italiano su l’Occidentale. Orientamento quotidiano, giornale on-line della Fondazione Magna Charta (emanazione del PdL): il suo compito, necessario per non sparire, è costruire ambienti, iniziative di consenso, di formazione e informazione, e non solo iniziative elettorali per l’elezione del momento. Non si tratta di volare alto solo per fare voli pindarici puramente teorici, ma, molto più in concreto, si tratta anche di farlo per riuscire a vincere realmente le elezioni, davanti a un contesto che, poco a poco nel tempo, renderà la cosa sempre più ardua. «Il politico pratico muore sotto le conseguenze delle teorie che disprezza» (Nicolás Gómez Dávila, In margine a un testo implicito, trad. it., a cura e con saggio conclusivo di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2001, p. 130). In senso figurato significa che essere concreti non è per forza sbagliato, ma se lo si vuol essere realmente è necessario non sottovalutare elementi che, nonostante sembri diversamente, incidono anche sul concretissimo risultato elettorale e sul futuro politico di ogni candidato. Giornali, web, radio, radicamento sul territorio, formazione prepolitica e politica nelle sigle giovanili (con l’aiuto di coloro che sono realmente capaci di fornire tale formazione), ostruzione alle attività avversarie...
Le ultime elezioni sono un monito per la destra: adesso è l’ora di ricostruire, e di farlo in modo duraturo, nel lungo periodo. Non si perda l’ennesima occasione.
«Ciò che dice il reazionario non interessa a nessuno. Né quando lo dice, perché sembra assurdo; né a distanza di qualche anno, perché sembra ovvio.»
(Nicolás Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito. Selección, con introduzione di Mario Laserna Pinzón ed epilogo di Franco Volpi, Villegas Editores, Bogotá 2004, p. 283)".
(Jean Madiran, La destra e la sinistra, Volpe, Roma 1977, p. 36)
La sconfitta del candidato del centrodestra barcellonese impone una riflessione “a destra” ed impone un’analisi dei dati, la comprensione di questa sconfitta. Non si può frettolosamente e pessimisticamente additare il tutto come dovuto all’attuale “antipolitica” montante, o a problemi (pure esistiti!) di cattiva gestione della campagna elettorale o di debolezza del candidato proposto, o, ancora, pensare che si volesse semplicemente dare una “lezione” alla famiglia politica dei Nania.
Dunque analizziamo il voto e specificamente quali voti il centrodestra ha perso per strada. Partiamo dall’erosione “a destra”. Alle scorse elezioni erano presenti forze (sul cui collocamento “destro” sospendiamo il giudizio di principio, limitandoci a registrarne politologicamente l’esistenza) che “da destra” erodevano voti al centrodestra dell’epoca: si allude ad Alleanza Siciliana che, costola del centrodestra dell’epoca (poi divenuto PdL), si è scissa, rubando una porzione di voti al centrodestra del 2007. Anche alle recenti elezioni era presente una forza che si è scissa dal centrodestra: quella di Santi Calderone. Ma la scorsa volta, la lista “destra” aveva colto poco più del 5% dei voti. In quest’occasione, invece, la perdita di voti verso “destra”, verso liste più o meno provenienti dal bacino elettorale del centrodestra – le liste di Calderone – si è praticamente raddoppiato (più del 10%). Eppure questo dato non avrebbe comunque dovuto incidere (e, come si vedrà, non ha realmente inciso), se si pensa che nella scorsa tornata elettorale l’elettorato “centrista” trovava in lizza una lista autonoma (con autonomo candidato a sindaco), scollegata dal centrodestra del 2007; mentre, in tale occasione, l’UdC è confluita nel centrodestra. In altri termini, se nel 2007 il centrodestra aveva perso il 5% di voti, esso aveva, per di più, ulteriori voti in meno: quelli dell’UdC che si assestava sul 14,82%. Nel complesso, il centrodestra aveva dunque ben il 19% di voti persi “verso destra” e verso il centro. Se la matematica non è un’opinione, il raddoppiarsi dei voti persi “verso destra” in quest’occasione avrebbe dovuto essere compensato dal recupero dell’UdC. Pur perdendo un 5% in più di voti “a destra” nel 2012, il complesso delle liste di centrodestra avrebbe dovuto comunque registrare un innalzamento di +14% proveniente dal centro (sicché, perdendo un 5% in più “a destra”, e recuperando un 14% al centro, avrebbe dovuto guadagnare circa il 9% dei voti, rispetto al passato). Ma in quest’ultima tornata l’UdC non ha avuto la medesima forza di quella passata, subendo una flessione della metà dei voti (passando dal 14,82% al più misero 7,23). Non c’è stato dunque un grosso recupero della coalizione delle liste di centrodestra, che però, nonostante ciò, grazie all’apporto UdC, ha potuto mettere una toppa all’emorragia di voti persi “a destra”: pur perdendo il 5% in più, rispetto alla scorsa volta, la coalizione ha guadagnato il 7% dell’UdC, guadagnando (teoricamente) un 2% in più di voti rispetto alla scorsa volta. Ma qui si registra l’anomalia: pur con la perdita di Calderone e pur con la mutazione di sigle e volti politici, la coalizione nel suo complesso è la stessa del 2007 con l’aggiunta dell’UdC. Ma, nonostante questo, la coalizione in termini di liste ha subito una flessione notevolissima di voti che sono venuti a mancare nel complesso. Alla scorsa tornata la coalizione aveva demolito tutti gli avversari, attestandosi con uno schiacciante 72,53% complessivo. Nel 2012, invece, la somma delle percentuali delle liste si afferma solo al 59,68%, maggioranza rilevantissima cittadina, ma non più schiacciante. La flessione è pesante: ben 13 punti percentuali persi. Da 19582 voti complessivi si è passati a 15581 voti. Sono esattamente 4001 voti in meno. Chiunque conosca approfonditamente la scienza politica, sa che le “destre” normalmente sono maggioranza reale nel paese anche quando perdono, perché i loro elettori non confluiscono quasi mai a sinistra, preferendo l’astensione: il polo moderato-conservatore, quando perde, perde a causa dell’astensionismo che ne punisce questo o quel difetto (ingigantito dai media allineati a sinistra): candidati non all’altezza, cattiva (e persino non ottima: l’elettore che punta al centrodestra è molto schizzinoso e cerca sempre una scusa per non votare rispetto al suo omologo di sinistra…) amministrazione, etc. L’astensionismo punisce quasi sempre a destra. Pure qui, non si vuol sindacare sulla razionalità di tale scelta in termini di principio – del resto, come nota Gustave Le Bon in La Psicologia Politica, troppo spesso le scelte politiche di breve termine (come quelle elettorali) non sono minimamente ispirate a razionalità, ma bensì sono frutto di irrazionalismi –, ma ci limitiamo solo a registrare il fenomeno. Ebbene, anche in quest’occasione la legge è confermata: almeno un migliaio di voti mancanti alla coalizione di centrodestra rispetto al 2007 sono dovuti esattamente all’astensione. In questa tornata elettorale, infatti, l’astensionismo è aumentato di ben 4 punti percentuali abbondanti: se nel 2007 erano andati a votare (registrando, rispetto alle precedenti elezioni, un +1,32% di votanti) 28176 elettori (il 79,59% degli aventi diritto al voto), nel 2012 i votanti al primo turno sono stati 27423 (il 75,34%): cioè poco meno di un migliaio di voti. Il dato sembrerebbe dunque il solito: la sconfitta del candidato del centrodestra sembrerebbe dovuta all’usuale meccanismo di astensione dei moderati. Ma non è così, o meglio, non è solo questo che è venuto a mancare al dottor Sarino Catalfamo, quantomeno al primo turno. Infatti, 1000 voti non sono 4000. E, a ben vedere, posto che il totale dei voti di tutte le liste avversarie del centrodestra è stato al primo turno di 10528 – mentre tutte le liste avversarie del centrodestra al primo turno del 2007 avevano raccolto solo 7830 voti –, si può ben dire che i circa 3000 voti mancanti si sono equamente distribuiti nelle varie altre liste – il centrosinistra è cresciuto del doppio dei consensi rispetto al 2007, federandosi con MPA e FLI; le liste di Calderone hanno mostrato una forza maggiore rispetto a quella di Musumeci, come detto sopra, etc. Ma, in effetti, il dato inquietante è un altro: a dispetto di tutto, i 4000 voti persi tra astensione e liste avversarie non sono stati il vero ago della bilancia, nonostante (come si dirà) la maggior parte di essi siano confluiti al secondo turno sul candidato avversario, Maria Teresa Collica: il vero problema è stata la forbice elevata tra coalizione e candidato, che non si può motivare unicamente con le spiegazioni superficiali addotte in questi giorni. Non ha tanto inciso la congiuntura nazionale e internazionale che «punisce chi governa», né l’assalto all’arma bianca verso la stagione politica dei Nania (di cui Catalfamo è emanazione) venuta a noia all’elettorato: ciò che ha inciso, oltre questi fattori, è ben altro: si allude alla perdita di identità dell’elettorato del centrodestra, del venir meno del suo sentirsi di destra. Infatti, lasciando perdere naturalmente l’ostilità totale degli avversari storici collocati a sinistra, l’elettorato che ha votato le liste di centrodestra, se fosse stato realmente “di destra”, se fosse stato realmente convinto della propria identità e se avesse solamente voluto punire i Nania per stanchezza nei loro confronti, si sarebbe limitato all’astensione o al voto ad altre “destre”, come in parte è avvenuto. Ma, coerentemente con la propria identità, le persone “di destra” non avrebbero mai consegnato (quanto meno non direttamente col proprio voto) la città a un candidato che, in modo del tutto evidente (nonostante le polemiche e le smentite degli sprovveduti e degli interessati), è espressione delle sigle della sinistra più estrema. Il fatto che sia successo (come vedremo adesso con i prossimi dati) è inquietante, indicando un mutamento antropologico dell’elettorato “di destra”, un suo progressivo slittamento, un suo scarso radicamento “a destra”, o una sua scarsa affezione verso il centrodestra cui dovrebbe essere legato, nonostante tutto. Qual è il dato inquietante? Si è detto che il problema è la forbice tra coalizione e candidato. Se si osserva il voto del 2007, si vedrà come il candidato del centrodestra (Candeloro Nania) abbia avuto anch’egli una differenza in passivo rispetto alla coalizione: se la coalizione aveva raccolto 19582 voti, Nania ne aveva ricevuti solo 15409. Ben 4000 voti in meno rispetto alla coalizione, dovuti al voto disgiunto: elettori della coalizione, insomma, hanno votato altri candidati (segnale, già allora, di un primo sintomo di disaffezione per il centrodestra da parte di suoi elettori tradizionali). Tuttavia, osservando i dati degli altri candidati, si può ben vedere come nessuno abbia ricevuto in modo schiacciante i voti provenienti dalla coalizione di centrodestra, esattamente com’è avvenuto per i 3000 in meno delle liste Catalfamo: chi più, chi meno, tutti gli altri candidati hanno registrato un buon numero di voti in più (e non in meno, come invece avvenuto per Nania) rispetto a quelli raccolti dalle proprie liste e comunque se li sono spartiti in modo relativamente equo, in proporzione ai voti ricenuti dalle liste (arrotondati, il candidato di Musumeci, Raimondo, aveva preso 900 voti in più rispetto alla propria lista che ne aveva presi 1448; Torre 900 in più rispetto ai 4001 delle liste; Saija 2200 rispetto ai 1358 delle sue liste; Salvato 400 in più rispetto ai 610 della sua lista), coprendo i circa 4000 voti mancanti a Nania. La situazione nel 2012 è, invece, molto più grave. Non perché il candidato abbia perso voti a livello personale mantenendoli però almeno a livello di lista, come aveva fatto Nania, ma perché addirittura le liste stesse del centrodestra (e non il solo candidato!) hanno perso i suddetti 3000 voti circa (più 1000 circa di astensione). Ma la gravità ulteriore sta altrove: nelle ultime elezioni i candidati non sono stati 5, ma 4, perché l’UdC si è unito al centrodestra. Tuttavia, i voti che aveva raccolto Torre come candidato UdC del 2007 non sono giunti al candidato Catalfamo nel 2012, mentre anche stavolta si è assistito alla dispersione di voti della coalizione verso gli altri candidati, come era avvenuto per Nania, e però in modo ben più grave: il candidato Nania aveva perso 4000 voti rispetto alla propria coalizione, sparpagliandoli tra i vari candidati. Nel 2012 il candidato Catalfamo (7285 voti), le cui liste hanno preso in tutto 15581 voti, oltre a non guadagnare voti dai nuovi apparentamenti e oltre a perdere 4001 voti di lista a causa dell’astensionismo e della dispersione verso le altre liste, ha perso anche voti ulteriori: se detraiamo ai 15581 voti della coalizione i 7285 del candidato, mancano all’appello 8296 voti per il candidato. Ciò è avvenuto (anche per l’imperizia e la cattiva informazione da parte dei candidati verso gli elettori) a causa del mancato “effetto-trascinamento”, vale a dire l’assenza del meccanismo per cui la semplice croce su una lista porta un’estensione di voto al candidato sindaco anche se non espressamente indicato dall’elettore con apposita croce sul suo nome: 8296 persone non hanno segnalato Catalfamo sindaco. Sono, dunque, 8296 schede in bianco, vale a dire voti non destinati a nessuno? Proprio per niente: ed è qua la gravità rispetto a Nania: mentre Nania aveva perso 4000 voti in favore di un po’ tutti gli avversari, Catalfamo ha subito un’emorragia di voti non verso gli altri candidati in genere, ma verso un solo candidato. Osservando i voti presi dai vari candidati al primo turno, si può notare come, per lo più, essi coincidano con i voti presi dalle loro rispettive liste: il candidato PD, MPA, FLI (Marte) ha preso, infatti, 3300 voti e le sue liste 3219; il candidato (Calderone) delle liste civiche che hanno derubato “a destra” la coalizione di Catalfamo ha preso, invece, 4897 voti e le sue liste 4855. In pratica un collimare quasi perfetto tra coalizione e candidato. La differenza clamorosa si ha, quindi, con il candidato Collica: se la sua coalizione ha potuto esprimere soltanto il minoritario bacino elettorale suo proprio (2452 voti per le sue liste: molti di più, comunque, del misero risultato dell’omologo del 2007, Città Aperta: 610 voti di lista), la sua persona, a differenza degli altri candidati, non ha ricevuto la medesima quantità di voti ricevuti dalla lista che l’appoggiava (cioè 2500 voti circa), ma invece, già al primo turno, ne ha ricevuti molti di più: qualcosa come 6396 voti, vale a dire ben 3944 voti (in pratica quasi 4000), o 2/3, in più rispetto a quelli ricevuti dalle proprie liste. Se ben notiamo, lo scarto è quasi esattamente di 4000 voti. Ciò sta a significare che, nonostante l’ampia offerta elettorale del primo turno, di quei 8296 voti non espressi per Catalfamo ma dati alla coalizione di centrodestra, in realtà, 4000 sono confluiti per intero sul candidato Collica, che è il candidato dell’estrema sinistra! Quasi metà dei voti non dati a Catalfamo non sono stati frutto di mera imperizia, ma di scelta precisa e una scelta che non si è riversata un po’ ovunque, o sulla “destra” di Calderone, bensì tutti su Collica: l’estrema sinistra.
Già qui si può rinvenire una carenza oggettiva del centrodestra: abituato a chiudersi arrogantemente nella presunta sufficienza dell’intuito dei suoi candidati e supporters di organizzare una campagna elettorale, il centrodestra non ha studiato minimamente e umilmente a tavolino questo dato che era già evidentissimo al primo turno. Se si fossero presi i dati e si fossero analizzati con analisti politologi, così come si sta facendo in questa sede, si sarebbe immediatamente veduto questo passaggio di voti così elevato. Immediatamente si è pensato che mancassero dei voti a causa di alcuni fattori legati per lo più all’astensione indotta dal mancato “effetto-trascinamento” (cioè l’assenza dell’estensione del voto delle liste al candidato sindaco) o l’astensione voluta (cioè si è pensato che chi aveva votato la coalizione non aveva votato volutamente Catalfamo, ma senza votare altri candidati), ma non si è pensato minimamente che i ben 4000 voti fossero interamente confluiti al candidato dell’estrema sinistra così come invece è avvenuto: sarebbe bastato studiare i dati, per notare come questa valutazione fosse sbagliata. Non si è solo sopravvalutata la propria capacità e sottovalutato un avversario (cosa giàgravissima): ci si è addirittura “dimenticati” di studiare il voto, prima di gettarsi nella campagna del ballottaggio. Non ci si è per nulla accorti del dato (raccapricciante).
Ma non finisce qui: il problema è che si rischia adesso di non comprendere le ragioni complessive del voto nei due turni, così come prima non si è nemmeno studiato quelle del primo turno. Se, pur con l’emorragia di 4000 voti verso la Collica, si fossero portati al ballottaggio i 4000 rimanenti, si sarebbe potuto vincere comunque. Tuttavia, l’elettorato di centrodestra tende a mobilitarsi meno facilmente (il suo legame è, infatti, come si intuirà anche più avanti, più “flebile” rispetto a quello che permea l’elettorato della sinistra: l’elettorato di centrodestra è, più che altro, un network: vedi Ilvo Diamanti,Mappe dell’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro… e tricolore, seconda edizione, il Mulino, Bologna 2009, p. 126). Dunque, esso risente di facili flessioni ai ballottaggi, come dimostrano altri casi alle ultime amministrative (o a quelle passate), dove candidati di centrodestra, in ampio vantaggio al primo turno, hanno perso voti (e anche le elezioni in più occasioni) al secondo: è cioè difficile mobilitare due volte in poco tempo l’elettorato “reazionario”, a meno che non vi siano “emergenze” evidenti. Al ballottaggio, infatti, sono andati a votare 22839 persone (grossa flessione rispetto ai 27423 del primo turno): 4500 persone in meno. E sono quasi per intero i 4000 che al primo turno hanno votato centrodestra, ma non Catalfamo, in quanto, come si dirà a breve, la Collica non ha perso quasi nessun voto di quelli già raccolti al primo turno, o che era naturale che avrebbe raccolto in più al secondo.
Catalfamo vittima dell’astensione e della protesta di una parte della “destra” che ha votato l’avversario, dunque? No, perché, se indubbiamente l’astensionismo (magari svolto anche, in parte, in chiave “protestante”) ha inciso, non è invece altrettanto vero che i voti a Collica nel primo turno siano stati voti di protesta tout-court: essi lo sono stati solo in parte; mentre quelli del secondo turno sono praticamente i medesimi che si sono espressi al primo turno. Vediamo quanti voti ha preso la dottoressa Collica: il numero è di 13664. Da dove provengono? Da tutto l’elettorato (meno una minima parte) che al primo turno ha votato per uno dei candidati contrari a Catalfamo: se addizioniamo, infatti, i voti presi da tutti i candidati sindaco al primo turno (Collica+Marte+Calderone) avversari al centrodestra, ne uscirà fuori il numero 14593. Se, invece, osserviamo i voti di Catalfamo al secondo turno, vedremo come quest’ultimo abbia preso 1349 voti in più (passando da 7285 a 8634). Rispetto all’insieme dei voti di tutti gli avversari di Catalfamo (14593), vediamo che la Collica ha preso mille voti in meno circa (13664): quel migliaio che in più sono giunti a Catalfamo al secondo turno. Il che significa che sulla Collica sono confluiti tutti i suoi voti iniziali (anche i 4000 provenienti dal centrodestra) più i voti degli altri candidati al primo turno ma che, di fronte al “rischio-Collica (estrema sinistra)”, un migliaio di voti, originariamente (nel 2007) del centrodestra e poi dispersi, sono “tornati all’ovile” di Catalfamo provenendo, con molta probabilità, dall’elettorato di Calderone. Dunque, una parte dei voti collichini sono voti ideologici della sinistra coagulata intorno alle sue liste, una parte sono tutti quelli del rimanente centrosinistra, una parte sono una porzione di quelli di Calderone (questi sì, di “destra” e “di protesta”), una parte sono provenienti direttamente dalla coalizione di Catalfamo. In altri termini, significa che al ballottaggio praticamente nessun voto si è minimamente spostato dalla Collica verso Catalfamo, e che ella ha mantenuto tutti i 4000 voti provenienti da lui, mentre, com’era prevedibile (in quanto l’elettorato di centrosinistra è ben più disposto a muoversi compatto alle urne più volte e anche, quando “moderato”, disposto a votare sigle più radicali, pur di abbattere l'avversario), ella ha raccolto anche quasi tutti i consensi del centrosinistra (salvo qualche astenuto eventuale) e una parte di quelli di Calderone. Ma perché, si diceva, i 4000 voti provenienti dal centrodestra non sarebbero voti di persone realmente di destra (e che avrebbero, in tale occasione, semplicemente protestato contro il centrodestra che hanno sempre votato prima di oggi)? Innanzitutto, perché la protesta, se proveniente da persone di destra realmente convinte, non si sarebbe tramutata in voto all’avversario, bensì in semplice astensione (com’è anche avvenuto a causa dell’affluenza in calo rispetto al 2007). Se il confluire dei 4000 voti fosse avvenuto al ballottaggio, sarebbe stato comprensibile definirli “voti di protesta” da parte di persone che, pur di destra, avrebbero voluto “punire” la nomenclatura del centrodestra barcellonese, in quanto la scelta obbligata sarebbe stata tra due soli candidati: dunque, per “punire” uno, sarebbe stato necessario votare l’altro. Ma i voti in questione si sono spostatiimmediatamente, al primo turno, quando i candidati erano di più e non c’era necessità di votare ilcompetitor più estremista. Se fossero stati autentici voti di protesta provenienti da delle persone convinte “di destra”, al primo turno avrebbero potuto indirizzarsi su di un candidato “di destra” alternativo (come in parte è avvenuto con quel +5%, confluito su Calderone, rispetto a quella inferiore quota che, a suo tempo, era confluita su Musumeci). Invece non è avvenuto. Anzi, la Collica ha goduto di 4000 voti, confluiti direttamente su di lei immediatamente al primo turno. Ciò significa che la protesta non è stata realmente tale, ma è stato un voto più o meno convinto per la sinistra estrema: chi ha votato Collica, non è un soggetto che ha affezione reale e del tutto consapevole per la destra e che, in questa occasione, ha votato “per protesta” contro i difetti del centrodestra; bensì questi 4000 che han votato Collica, a prescindere che si dicano o meno “di destra”, hanno indubbiamente subito una fascinazione della sinistra. La dimostrazione sta nel fatto che al secondo turno, pur di fronte al rischio concreto di una vittoria della sinistra estrema, probabilmente non c’è stato, in pratica, alcun ripensamento significativo, nessuno spostamento di voti da Collica a Catalfamo: quest’ultimo ha preso, infatti, 1349 voti in più (passando da 7285 a 8634), perché, com’era prevedibile (e normale) che fosse, quella frangia “di destra” che ha protestato nei suoi confronti al primo turno (votando, per lo più, Calderone o non votando), ha ovviamente preferito il centrodestra alla sinistra, ma i 4000 suddetti invece sono rimasti quasi graniticamente con la Collica, dimostrando così ben poca convinzione destrorsa e ben poca attenzione ai rischi della deriva a sinistra.
Cosa possiamo dire allora di questi 4000 voti? Chi sono? Diciamo che, a prescindere qualunque altro dato ulteriore, la Collica ha palesemente preso ben 4000 voti dal centrodestra rispetto ai numeri che questo aveva fatto nel 2007, ma che questi 4000 voti non possono provenire da un elettorato che sia realmente di destra in modo convinto, quand’anche quest’elettorato si definisca o si pensi “di destra”, in quanto, se realmente appartenesse alla destra, esso dovrebbe avere un’affezione per la sua parte di provenienza ed un’avversione per quella avversaria (specie più estrema) e tale avversione, nonostante l’eventuale antipatia verso i candidati del centrodestra stesso, non avrebbe permesso un voto diretto alla Collica da parte di queste persone. Eppure è ciò che è accaduto: in questo voto alla Collica, una tale preoccupazione (e consapevolezza del rischio che si correva) non si è certamente vista. Quel che si vuol dire qui è che, a dispetto della propria provenienza, la gran parte di quei 4000 voti non è di destra o, quantomeno, non lo è in senso stretto: hanno votato “a destra” per molto tempo, ma non sono convintamente “di destra”, o, quantomeno, hanno poca idea di cosa significhi esserlo. Si vuol dire che il problema di fondo è che una grossa fetta dell’elettorato “di destra” non ha più le idee chiare, non ha un’identità forte, un’appartenenza a quella che dovrebbe essere la sua area politica. Non si sta parlando di una frangia minima, bensì addirittura di 1/4 degli elettori del centrodestra, in quanto, posto che essi sono 4000 e posto che Catalfamo ha preso circa 8000 voti e che più di 4000 dei suoi elettori si sono astenuti, l’elettorato di Catalfamo complessivamente fa 18000 persone di cui appunto i 4000, appunto 1/4, che hanno votato Collica e che hanno dimostrato così disaffezione, scarsa identità). Ha pagato la debolezza del candidato Catalfamo? No, nonostante la sua scarsa oratoria, il soggetto non è di molto più debole (in termini di appariscenza mediatica) rispetto a tanti altri (in primis, Candeloro Nania che pure ha vinto due elezioni). Ha vinto, semmai, la forza mediatica e la capacità di creare entusiasmo dell’avversario: il che è lievemente diverso. Al di là degli errori contingenti fatti nella campagna elettorale – moltissimi: qualcuno anche descritto qui –, ha vinto soprattutto la grande forza-trappola della sinistra (studiata da molti autori: da Jean Madiran, La destra e la sinistra a Thomas Molnar, La Controrivoluzione, passando per Vittorio Mathieu, La speranza nella rivoluzione): la sua onnipresente forza di suggestione, la sua capacità di alimentare speranze (anche non supportate dai fatti), facendo leva sull’istinto tutto irrazionale delle persone, a dispetto di qualunque argomento ragionevole – come le opere fatte dall’amministrazione uscente, come la palese mediaticità (tutta berlusconiana…!) della Collica (dunque il suo essere in modo evidente un’operazione di puro marketing, di pura pubblicità), come il fatto che la Collica abbia la minoranza in consiglio comunale, etc.
Tirando le conclusioni, se la fascinazione operata dalla sinistra è riuscita a vincere in modo così netto, derubando il centrodestra di voti tradizionalmente suoi, tutto questo significa che è in atto una mutazione antropologica nell’elettorato barcellonese e, nello specifico, nell’elettorato di centrodestra:una sua grossa fetta è sempre meno convintamente di destra, votando il centrodestra solo per mera abitudine conformistica, e voltando le spalle al minimo abbaglio creato ad arte dalla sinistra. La destra convinta ormai sta divenendo, in realtà, minoranza all’interno della città, per quanto minoranza “qualificata”, numericamente rilevante. La cosa preoccuperebbe poco se l’età media di questa minoranza fosse bassa e se il suo atteggiamento fosse “missionario” per così dire, cioè tendente a cercare nuove leve in modo convinto per un ricambio generazionale e un radicamento territoriale nella città a livello di mentalità. Ma così non è: essa è, per lo più, popolata da persone mature… è inutile nascondersi: sebbene dati certi non ve ne siano – sarebbe interessante uno studio in tal senso… –, è evidente la presenza e la mobilitazione giovanile a favore della Collica. I giovani “di destra” sono una fetta di gran lunga minoritaria rispetto a quella di sinistra e, soprattutto, essi non hanno una capacità/volontà di mobilitazione, ideazione, ricerca di nuove persone, di creazione delle condizioni per poter aumentare il proprio numero nel lungo periodo e di radicare bene le persone a destra, impedendo così che esse votino altrove.
In altri termini, la domanda è: quanti giovani (ma anche quanti maturi…), tra i pochi che si definiscono “di destra”, sono realmente motivati, quanti tra loro sanno cosa significa essere di destra in modo argomentato, serio e razionale (e non solo sentimentale!) e si sentono graniticamente (senza cedimenti) di destra, evitando così di votare in maniera ondivaga (persino votando la sinistra estrema…!) a seconda del momento elettorale? È in atto un arretramento a livello personale: mancano le persone di destra. Invecchiano (e spesso lo fanno male) e non sono sostituite da un numero sufficiente di giovani. La città, come il resto del paese negli ultimi decenni, si sta lentamente livellando verso sinistra (e verso il basso: sono i c.d. «barbari verticali» di cui parla José Ortega y Gasset ne La ribellione delle masse e che, presi dalla smania continua di sempre innovare, non conoscono la propria cultura e civiltà di provenienza, la propria identità, preferendo abiurarle, preferendo allontanarsene, nonostante ne godano i frutti). E questo è potuto avvenire perché per anni, anziché puntare alla vittoria elettorale nel breve periodo, la sinistra, davanti alla totale inerzia del centrodestra – e, anzi,davanti ai suoi occhi, mentre era all’amministrazione –, ha saputo costruire nel lungo periodo, come avvenuto a Barcellona con Città Aperta e le iniziative “salesiane” – movimenti “di opinione”, prima ancora che elettorali! –, consolidandosi prima nelle teste (e poco importa se esse siano pensanti o meno!) della gente, e solo dopo nelle urne elettorali: perché i voti viaggiano con le teste, e più teste si hanno a favore, più voti si hanno alle urne. Hanno vinto perché hanno convinto molti con l’illusione di essere “i salvatori” (qualcuno parlerebbe giustamente di «messianismo temporale»), muovendosi da una base culturale – non in senso di “quantità elevata di libri letti”, ma nel senso di idee di fondo, di mentalità! Non è irrilevante il fatto che, nel giro di qualche anno, una realtà apparentemente irrilevante del panorama barcellonese abbia espresso il sindaco della città, aumentando anche di tre volte il proprio peso elettorale iniziale. Il passaggio da 610 a 2326 voti, partendo solo da iniziative di tipo sociale e culturale, prima che partitiche, è indicativo della importanza (e utilità anche elettorale) di tali iniziative nell’incidere sulla mentalità delle persone, nell’influenzarla, e quindi nell’incidere indirettamente sul voto.
Al centrodestra non resta altro che prendere atto di questa realtà e fare altrettanto (ma senza illudere, come invece fa la sinistra, consciamente o inconsciamente). Tocca ripartire non, come al solito, da dieci centimetri dal proprio naso, pensando (magari all’ultimo momento) a come vincere le prossime elezioni, ma ripartire dal radicamento nelle teste, ripartire dal convincere la gente non solo “a votare destra” alla prossima volta, ma all’essere di destra da ora sino alla morte, da ora a tutte le competizioni elettorali. Senza questo tentativo (di lungo periodo), la sconfitta progressiva è assicurata, perché la maggioranza si va sempre più uniformando a sinistra, specie quella giovanile: e i giovani di oggi saranno gli adulti di domani: una volta morti gli adulti di oggi, resteranno solo loro. Il compito del centrodestra, anche quello locale, è quello che chi scrive (vedi Filippo Giorgianni, Il ruolo della politica di fronte al declino “coriandolare” del moderno, in http://www.loccidentale.it/node/116008), pur conscio della verità insita nella citazione gomezdaviliana che conclude questa analisi, ha di recente additato a tutto il centrodestra italiano su l’Occidentale. Orientamento quotidiano, giornale on-line della Fondazione Magna Charta (emanazione del PdL): il suo compito, necessario per non sparire, è costruire ambienti, iniziative di consenso, di formazione e informazione, e non solo iniziative elettorali per l’elezione del momento. Non si tratta di volare alto solo per fare voli pindarici puramente teorici, ma, molto più in concreto, si tratta anche di farlo per riuscire a vincere realmente le elezioni, davanti a un contesto che, poco a poco nel tempo, renderà la cosa sempre più ardua. «Il politico pratico muore sotto le conseguenze delle teorie che disprezza» (Nicolás Gómez Dávila, In margine a un testo implicito, trad. it., a cura e con saggio conclusivo di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2001, p. 130). In senso figurato significa che essere concreti non è per forza sbagliato, ma se lo si vuol essere realmente è necessario non sottovalutare elementi che, nonostante sembri diversamente, incidono anche sul concretissimo risultato elettorale e sul futuro politico di ogni candidato. Giornali, web, radio, radicamento sul territorio, formazione prepolitica e politica nelle sigle giovanili (con l’aiuto di coloro che sono realmente capaci di fornire tale formazione), ostruzione alle attività avversarie...
Le ultime elezioni sono un monito per la destra: adesso è l’ora di ricostruire, e di farlo in modo duraturo, nel lungo periodo. Non si perda l’ennesima occasione.
«Ciò che dice il reazionario non interessa a nessuno. Né quando lo dice, perché sembra assurdo; né a distanza di qualche anno, perché sembra ovvio.»
(Nicolás Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito. Selección, con introduzione di Mario Laserna Pinzón ed epilogo di Franco Volpi, Villegas Editores, Bogotá 2004, p. 283)".
Il centrodestra ha perso perché è frammentato al suo interno.
Questa frammentazione ha colpito particolarmente il Popolo della Libertà.
Un caso paradigmatico è quello del Popolo della Libertà della Provincia di Mantova, la mia Provincia.
Giusto ieri, sono stato ad un incontro (che si è tenuto a Cittadella, frazione di Mantova) con Gilberto Sogliani (nella foto), il capo della minoranza interna del partito, minoranza uscita dal recente congresso provinciale.
Sogliani ha letto un documento con cui chiederà alla riunione del coordinamento che si terrà mercoledì una serie di cose.
Tra queste vi sarà anche un'assunzione di responsabilità da parte del coordinatore del partito della debacle elettorale in Provincia.
Qui, si è votato in nove Comuni.
Otto di questi erano amministrati dal centrodestra.
In tutti e otto, il centrodestra ha perso e la sconfitta è stata causata dalle divisioni interne del centrodestra, le divisioni interne al Popolo della Libertà.
Qui nel Mantovano, il partito è diviso tra i vari capi-bastone, i vari "signorotti feudali", che sono pronti anche ad appoggiare la sinistra, per il proprio tornaconto.
Tra i vari interlocutori che sono intervenuti, vi sono stato io.
Io ho citato il problema politico di Roncoferraro.
Qui, infatti, vi è un problema politico molto grave che è causato da un capogruppo del Popolo della Libertà in Consiglio comunale che sistematicamente sostiene il sindaco di centrosinistra ed attacca chi gli si oppone.
Questa situazione tragicomica sta mettendo il Popolo della Libertà in imbarazzo.
Il mio collega di partito Ettore Alessi ha chiesto l'autoconvocazione del congresso comunale per risolvere la questione.
Il Popolo della Libertà deve ricompattarsi e ricompattare il centrodestra.
Cordiali saluti.
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