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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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mercoledì 29 agosto 2012

Marco Burini, "Parco Giuda - intervista a Giacomo Todeschini", in 'Il Foglio' del 28/07/12, pag. II

Cari amici ed amiche.

L'amico Filippo Giorgianni ha messo su Facebook questo testo di Marco Burini:


«Ultimamente il Vaticano ha qualche problema con banchieri e finanzieri, anche quelli dentro le proprie mura, ma che la chiesa non solo sappia far di conto ma lo abbia insegnato alla nostra civiltà, è una storia che merita di essere raccontata perché potrebbe suggerire qualcosa di interessante sulla crisi che viviamo oggi. Spesso le lezioni si fanno presentando un esempio negativo: non fate come quello. Ecco, la chiesa abbastanza presto ha individuato in Giuda Iscariota l’emblema del cattivo amministratore, di chi per trenta miseri denari ha svenduto un tesoro inestimabile. Giacomo Todeschini, storico dell’Università di Trieste che da tempo studia i nessi tra teologia ed economia, qualche tempo fa ha scritto un saggio illuminante (Come Giuda. La gente comune e i giochi dell’economia all’inizio dell’epoca moderna, il Mulino) che prende le mosse dalla figura dell’apostolo traditore per ricostruire i meccanismi di esclusione sociale che regolano il mercato fin dall’inizio. Abbiamo scambiato qualche parola per fare il punto della sua decennale ricerca. “I miei libri cercano di dimostrare che l’assetto economico nel quale noi viviamo ha delle radici nel discorso teologico cristiano occidentale. Che parla del bene, ma anche del male. Anche in ambienti intellettuali raffinati non c’è l’abitudine a collegare questi due ambiti discorsivi, l’economico e il teologico. Eppure tutti sanno che moltissime parabole evangeliche sono a sfondo economico”. Però è come se nel passaggio dalla Scrittura alla chiesa ci fosse una cesura, come se a un certo punto questo patrimonio di sapienza economica svanisse. “Più che di cesura parlerei di rimozione. Questo però si nota più in Italia, dove il contesto cattolico è più pervasivo. Nelle università americane c’è più distacco, forse anche perché pensano a Weber”. Qui da noi resiste il paradigma di Le Goff: prima il tempo della chiesa poi il tempo del mercante. “Con lui ho avuto una polemica diretta. In Moyen age et l’argent se la prende un po’ con me dicendo che non devo esagerare. Eppure le fonti parlano chiaro: la cesura di cui parla Le Goff non c’è, la dialettica degli scambi economici nel suo fondo ha radici teologiche, ed è esattamente per questo motivo che dai Padri della chiesa in avanti c’è l’abitudine a metaforizzare in termini economici i discorsi sulla salvezza. E poi c’è l’aspetto storico-economico: la chiesa non vive fuori dal mercato, ma ci sta dentro e contribuisce a determinarlo”. Quindi la celeberrima tesi di Weber, secondo cui il capitalismo ha la sua radice nel protestantesimo che emancipa l’Europa dall’oscurantismo cattolico, va discussa. E rintracciare le radici teologiche del discorso economico prima di Calvino pare sia un reato di lesa laicità. “Secondo lo standard dei manuali – dice Todeschini – il pensiero economico in senso proprio nasce nel Settecento, con l’inizio della Rivoluzione industriale. Il lavoro della mia équipe va esattamente nell’altra direzione. Basta vedere i libri che leggevano gli economisti del Sei-Settecento: avevano radici fortissime nel pensiero economico-teologico dei secoli precedenti. E comunque adesso gli studi tendono a sfumare il confine tra pensiero cattolico e pensiero protestante. Perciò, a livello di pensiero economico e sociale, io preferisco parlare più in generale di cristianesimo europeo. Quando Calvino costruiva i suoi discorsi sull’usura e sull’economia consultava i testi giuridici-penitenziali prodotti dai francescani e dai domenicani nei secoli precedenti”. Quindi non c’è una rottura. “Weber resta un autore fondamentale, ma la sua ricostruzione di una svolta epocale è fondata sul Settecento puritano e americano. Non a caso L’etica protestante e lo spirito del capitalismo viene alla luce dopo la morte del padre, quando Weber va negli Stati Uniti. In questo senso la sua è una rottura immaginata. È vero che ci sono paesi cristiani che hanno avuto un certo tipo di sviluppo economico e altri che ne hanno avuto un altro, ma questo non dipende dal fatto che una certa realtà sia più arretrata dal punto di vista razionale rispetto a un’altra”. Pensando all’oggi, sembra di assistere alla chiusura del cerchio: l’economia è diventata la vera sostanza e la teologia è una metafora, mentre all’inizio era l’esatto contrario. Così il discorso religioso si smaterializza, mentre all’inizio era concretissimo. “Io sono ancora più netto – sostiene lo storico di Trieste –. A un certo punto l’economia prende il posto della religione. Il mercato occidentale è talmente impregnato di elementi sacri che a un certo punto, quando avviene lo svincolo, la cosiddetta secolarizzazione, parola in realtà da prendere con le molle, in realtà abbiamo una sacralizzazione”. E anche una clericalizzazione. C’è una classe sacerdotale che domina il mercato che non è affare di chiunque ma di chierici che abbiano i crismi per farlo. “Un conto è andare a comprare pane e latte, un conto è la finanza. Che è un mistero sacro. La massa dei consumatori è sulla porta del tempio ma non è autorizzata a entrarvi. Per questo mi affascina il linguaggio dei giornali: fanno finta che i lettori siano in grado di capire i meccanismi di Borsa, e invece sono scritture per iniziati”. Sono prodighi di tabelle e grafici. “Si capisce che i prezzi salgono o è aumentata l’Iva, ma per il resto sono enigmi. C’è una sfasatura evidente”. Dalla teologia all’economia, la parola chiave resta fede, fiducia. “Senza dubbio. Fiducia nel valore che è Cristo ma anche in valori molto meno maiuscoli. Basta pensare ai meccanismi di fidelizzazione aziendale o pubblicitaria”. Fin dall’inizio ci sono i custodi della fede, chi decide chi o cosa è degno di fiducia. Giuda è l’infido per eccellenza. “Come spesso capita nella Scrittura – spiega Todeschini –, Giuda all’inizio è una figura ambivalente, oscillante. Poi si specializza, diventa gradualmente l’emblema dell’idiota economico, di chi non comprende l’economia in senso alto. Nei miei studi mi ero imbattuto molte volte in questo personaggio. Mi aveva colpito un passaggio in cui Agostino dice che Giuda è come chi ruba all’erario, allo stato, perché ruba i beni apostolici e svende la persona del Cristo”. È il prototipo di chi ha in mano la ricchezza e la dà via per poco. “Perché non è adeguato a gestirla. Così diventa la controfigura degli amministratori traviati ma anche della gente della strada che fa la spesa da un giorno all’altro perché non capisce la grande economia. A un certo punto saltano fuori la moglie e i figli di Giuda, una tradizione apocrifa ripresa a partire dal Tredicesimo secolo: Giuda ruberebbe quindi per fare gli interessi della sua famiglia, fa un po’ la cresta sui conti. È l’emblema di un’economia bassa, spicciola, e in questo senso, una figura ambigua”. Insomma, oggi Giuda è greco, fuori fase, troppo lento, pesante e impacciato per questa economia ultraveloce, adrenalinica, volatile. Il lato oscuro è fondamentale per capire la storia economica dell’occidente. Ma c’è anche chi, come Stefano Zamagni, insiste su un’economia “del dono”, di origine francescana (tra l’altro riprendendo un fortunato saggio dello stesso Todeschini, Ricchezza francescana), alternativa al mercato. Una tesi che ha trovato credito nell’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate. Todeschini è cauto e non indulge alla visione un po’ irenica di Zamagni e soci. “Il discorso teologico-economico contiene istanze morali ma anche istanze di esclusione. L’ipotesi francescana, nata fra Tre e Quattrocento, di una gestione etica dell’economia, non è per tutti. Non solo ebrei ed eretici, ma anche moltissimi cristiani incolti non vi sono ammessi”. Lei ha studiato molto la storia degli esclusi. “Non gli esclusi intesi come minoranza pittoresca, le streghe o gli eretici, ma come la maggioranza che sta sulla soglia, la grande massa. D’altronde i predicatori lo dicevano apertamente: quando predichiamo questi non capiscono, sono come bestie. Voi capifamiglia siete peggio di Giuda perché vendete Cristo per meno di trenta denari, diceva il domenicano Giordano da Pisa ai fedeli della sua città”. Erano implacabili. “Perché il mercato richiedeva una competenza non solo economica ma anche politica – osserva Todeschini –. Infatti nemmeno tutto il clero era abilitato. Un economista americano, Robert Burton Ekelund, qualche anno fa ha scritto un saggio, Sacred Trust, in cui descrive la chiesa come un’impresa, per cui il divieto dell’usura e altre forme di controllo sociale servono a mantenere il monopolio. Mi pare una lettura semplicistica e anche un po’ anacronistica: il mercato nasce in realtà come grande istanza teologica, cioè il luogo dove si verifica la fede e la si mette in atto, certo secondo i canoni ecclesiologici. Quasi automaticamente, il mercato diventa iniziatico: uno spazio riservato a chi ha competenze che non possono essere solo quelle dell’economia quotidiana, entrate e uscite e basta. È affare di grandi giuristi e teologi, non del basso clero. Basta leggere le lettere dei Pontefici dell’epoca sulla simonia”. Insomma, la dialettica tempo della chiesa e tempo del mercante, come se l’Umanesimo avesse sparigliato le carte, è fuorviante. “Spesso gli storici procedono per stereotipi. Si dà per scontato che gli umanisti in quanto tali fossero più illuminati. Ma anche san Bernardino da Siena conosceva i classici greci… Se uno legge i testi, scopre che gli argomenti passano dai predicatori agli umanisti. È facile dimostrare che almeno fino a tutto il Seicento, se non il Settecento, discorsi perfettamente teologico-economici circolano in ambienti laici. Li ritroviamo ancora in Adam Smith, tanto per essere chiari”. A un certo punto, però, il nesso tra teologia ed economia si rompe. “È vero. Più che parlare genericamente di secolarizzazione, però, è interessante capire cosa sopravvive di teologico all’interno del meccanismo economico-finanziario”. E magari cosa sopravvive nell’impatto con un altro sistema, quello cinese per fare il solito esempio. “Le università cinesi si stanno attrezzando, vogliono studiare non solo il management occidentale ma il nostro Medioevo. Hanno una gran voglia di fare storia comparativa. Anche perché il modello europeo di sacralizzazione dell’economia pubblica resta quello dominante. Noi dobbiamo fare i conti con loro, ma non dimentichiamo che anche loro devono fare i conti con noi”. In ogni caso il mercato ha una sua durezza che non può essere aggirata. Forse conviene chiarire in cosa consisteva la tanto reclamizzata economia del dono. “Il paradigma economico francescano prevedeva sia il dono che il profitto – ricorda Todeschini –. Alla fine del Duecento, Pietro di Giovanni Olivi diceva che il denaro produce altro denaro lecitamente, a condizione che chi lo manovra lo investa abitualmente e non lo trattenga per sé. Se un commerciante presta del denaro, ha il diritto di ricevere gli interessi quando se lo fa restituire perché in realtà gli viene compensato il guadagno che perde nel non averlo investito. Su questo san Bernardino riprende Pietro di Giovanni Olivi, tale e quale. E tutto il pensiero economico successivo si basa suquesta dottrina, secondo la quale dono e profitto non sono in conflitto. L’economia del dono intesa coma paradigma alternativo al mercato è storicamente infondata, in realtà è sempre esistita all’interno dì un’economia del profitto. Nei testi il dono viene spesso descritto come rapporto fiduciario tale per cui l’economia dì profitto si può svolgere meglio. Duns Scoto, grande teologo francescano del Trecento, dice che quando due persone commerciano tra di loro c’è un prezzo di mercato a cui devono attenersi; però sarebbe meglio che ci fosse uno sconto. Così i due si fideranno sempre di più l’uno dell’altro, continueranno a fare affari insieme e si innescherà un circolo virtuoso. La distinzione tra efficienza del mercato ed etica del mercato è molto sottile”. E in ogni caso, non c’è nulla fuori dal mercato. “No. Il mercato è l’organizzazione sociale dell’occidente. I testi dicono questo”. Ma i francescani come si ponevano nei confronti di sorella povertà presa in sposa dal loro patrono? “Molti studiosi di storia francescana ritengono vi sia stata una cesura fra l’ideale originario del fondatore e gli sviluppi successivi dell’ordine, cosa che io e altri (fra i quali per esempio André Vauchez) tendiamo a sfumare. Francesco è un iniziatore, non si occupava di certe cose, sosteneva semplicemente che si potesse usare delle cose senza appropriarsene. A partire da lui, però, si è mosso un marchingegno giuridico molto complesso. Diverse bolle pontificie, nei primi decenni del Duecento, affrontano la questione del rapporto tra uso e proprietà dei beni. C’è poi da ricordare che gli interminabili dibattiti sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici cominciano ben prima di Francesco. In sintesi, possiamo ricordare che il mercato è composto di diversi tipi di beni: alcuni sono alienabili, altri no e altri ancora sono alienabili solo a certe condizioni e solo da parte di certe persone, che hanno ricevuto gli ordini sacri. Tutto questo non è forse una riflessione sul mercato? Certo, bisogna avere voglia di leggersi i trattati di diritto canonico dell’Undicesimo e Dodicesimo secolo…”. Insomma, meno psicologia e più storia aiuterebbe a capire qualcosa di più anche di quello che succede oggi. “Non si tratta di attualizzare ma di vedere cosa del vecchio resiste nel nuovo, come è stato metabolizzato. Se uno mette sul tavolo la Ricchezza della nazioni o la Teoria dei sentimenti morali dì Adam Smith accanto ai trattati teologici dal Tredicesimo secolo fino alla Seconda Scolastica, trova molte affinità. Ci sono discontinuità, ma anche molte continuità”. Nella sua analisi la figura opposta a Giuda è la Maddalena. “Ricca e depravata, si riscatta devolvendo i propri beni ma soprattutto finanziando Cristo e gli apostoli, come sottolineano i commentari medievali”. Spargere sui piedi di Gesù un unguento prezioso è il simbolo dello spreco. “Inquesto senso Maddalena è l’economia del dono intesa come funzionale all’economia alta dello scambio. Non si esce dai problemi immaginandoci un’economia utopica, il problema è far fare la pace tra la grande economia e l’economia quotidiana, tra i finanzieri e le massaie”. Senza sognare zone franche che sarebbero sottratte, per una strana alchimia celeste, alla durezza dello scambio tra uomini. “Non è mai stato così”. Ci sono pregiudizi storici sulla chiesa duri a morire. “Il prestito a interesse, checché ne dica Le Goff, non è mai stato proibito in maniera apodittica e astratta – dice Todeschini –. Viene proibito il prestito a interesse in certe condizioni e per certe persone. Ma in altri casi che riguardano l’economia creditizia è perfettamente lecito. I discorsi sul credito sviluppati dai teologi economisti sono straordinariamente sottili. Certo, loro non avevano un’idea del mercato come la nostra, piuttosto si basavano su una comunità cristiana sovranazionale, una società dei giusti che doveva funzionare secondo certe regole. Il mercato nasce così, da questo discorso di edificazione di una società modello che regola gli scambi e i doni”. Un’idea di società che sta evaporando. “Forse se uno capisce da dove è saltato fuori questo mercato con la emme maiuscola all’interno del quale viviamo, è possibile capire perché funziona in un certo modo, invece di immaginare che sia esistito in modo parallelo alla realtà socio-religiosa. Questo è l’equivoco da superare. Che l’economia stia da una parte, la politica da un’altra e la religione da un’altra ancora è un’idea molto novecentesca”.»

Come al solito, ringrazio Giorgianni per lo spunto.
Qualcuno valorizzi il "Genio di Barcellona Pozzo di Gotto" perché è un ragazzo fenomenale.
Purtroppo, c'è chi dice che la religione, la politica e l'economia debbano essere tre cose separate, quasi a compartimenti stagni.
In realtà, non è così.
Pur nella loro autonomia, religione, politica ed economia sono tre cose che non possono essere completamente separate.
Ad esempio, l'aspetto religioso di un deputato o di un politico può influenzare la sua visione del mondo e quindi la sua azione politica.
Anche l'economia può entrare nella religione.
Ad esempio, le attività di carità hanno bisogno dell'economia.
Inoltre, la religione può trasmettere valori all'economia e alla politica.
Pensiamo alla "Dottrina sociale della Chiesa" di Papa Leone XIII o al diritto alla vita.
Io penso che questi tre fattori, politica, economia e religione, abbiano bisogno l'uno dell'altro.
Questa deve essere l'andamento di una vera società.
Cordiali saluti. 

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