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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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sabato 18 agosto 2012

Antisemitismo? Altro non è che feccia!

Cari amici ed amiche.

Ieri mi sono veramente (e dico veramente) arrabbiato.
Chissà perché quando pubblico articoli e foto pro-Israele e contro personaggi come Ahamadinejad su Facebook, subito arrivano i soliti idioti che scrivono sulla mia bacheca cose veramente offensive!
Tutto ciò è vergognoso!
Oltre a mettermi in cattiva luce, poiché queste frasi possono essere cavalcate da chi è contro di me qui nella mia zona, io trovo che l'odio verso gli ebrei sia insensato e stupido.
In primo luogo, l'antisemitismo non è cristiano.
Ieri, durante la Messa, ho ascoltato l'omelia del prete con molta attenzione.
Essa era incentrata sul brano del Vangelo secondo Giovanni (capitolo 6, versetti 51-58) che recita:

" In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».".

Ora, pur essendoci stato questo malinteso tra Gesù ed i Giudei di allora, va detta una cosa molto importante.
Per gli ebrei, il sangue è intoccabile, cosa sacra, perché è simbolo di vita.
Gli ebrei si scandalizzarono perché Gesù diceva che bisognava bere il suo sangue e mangiare la sua carne.
In realtà, Gesù disse una cosa ben diversa.
Con quel "bere il suo sangue e mangiare la sua carne", Gesù volle dire che per salvarsi bisognava essere in comunione con lui e con la sua sofferenza sulla croce.
Eppure, pur in un malinteso, è emerso l'amore per la vita che hanno gli ebrei.
Anzi, per gli ebrei la vita è cosa sacra.
Ebbene, anche per noi cristiani la vita è cosa sacra.
Il senso della sacralità della vita è cosa comune all'Ebraismo e al Cristianesimo.
Già questo dice molto.
Vi invito a visitare il sito "Gli Scritti.it" che ha codesto articolo:

" L'ideologia ebraico-cristiana e il dialogo ebrei-cristiani. Storia e teologia (tpfs*)di D.Neuhaus S.J.[1]

Il presente testo è una traduzione italiana curata da Giulia Balzerani dell'originale francese: D.Neuhaus, L'idéologie judéo-chrétienne et le dialogue juifs-chrétiens. Histoire et théologie, RSR 85/2 (1997) 249-276. Chiunque si occupi seriamente del dialogo ebraico-cristiano conosce gli importanti lavori di p.Bruno Hussar, di p.Marcel Dubois, di p.Pierre Lenhardt, di p.Francesco Rossi de Gasperis e le prospettive da loro aperte sulla via della riflessione cristiana sull'ebraismo. L'articolo di p.Neuhaus, che molto rilievo ha avuto negli ambienti di lingua francese, propone ulteriori e diverse domande, o, forse, pone le stesse da un diverso punto di vista. E' espressione, anche, di una nuova generazione che si affaccia a servizio di tale dialogo. Soprattutto è testimonianza di una voce che cerca di vivere il dialogo ebraico-cristiano non nei paesi occidentali, ma nel contesto dello Stato di Israele e della realtà palestinese, là dove la presenza cristiana è una piccola minoranza dinanzi alla maggioranza ebraica. Le discussioni seguite alla pubblicazione in francese dell'articolo hanno spinto l'autore ad ulteriori precisazioni ed approfondimenti nei 4 articoli: "Wie mann weiterkommt: Einigen Mythen des gegenwartigen Dialogs unter Juden, Christen und Muslimen zerlegt" in Offene Fragen im Dialog (ed. Jens Haupt et Rainer Zimmer-Winkel), Hofgeismar Vortrage, 1998, 28-44, "Pour l'amour de la Torah: R. Johanan ben Zakkai eet l'origine du judaisme rabbinique" dans Le Milieu du Nouveau Testament: Diversite du judaisme et des communautes chretiennes au premier siecle, Media Sevres, Paris, 1998, 239-252, "A la rencontre de Paul: Connaitre Paul aujourd'hui, un changement de paradigme?" dans Recherches de Science Religieuse, 90/3 (2002) 353-376, "Qehilla, Eglise et Peuple juif" di prossima pubblicazione su Proche Orient chretien, 53 (2003). Presentiamo così ai lettori italiani il testo di D.Neuhaus, perché possa suscitare ulteriori riflessioni.
L'Areopago

Indice:


L'ideologia ebraico-cristiana e il dialogo ebrei-cristiani. Storia e teologia

La Chiesa cattolica vive - dopo il Concilio Vaticano II - un periodo di dialogo con gli ebrei. Dopo trentacinque anni è molto cambiato lo sguardo che essa porta sull'ebraismo e sugli ebrei – come testimoniano i numerosi documenti ufficiali sull'ebraismo[2]. Si è, in qualche modo, tentato di cancellare duemila anni di disprezzo. Questa evoluzione, di cui ci si può ben rallegrare, rappresenta un vero progresso in rapporto all'insegnamento ecclesiale che, per secoli, ha affrontato in modo negativo ogni questione relativa agli ebrei e all'ebraismo.
Tuttavia noi solleveremo un certo numero di domande a partire da tre espressioni usate nel quadro dell'incontro ebraico-cristiano: la testimonianza religiosa, la storia dell'incontro e la teologia dell'incontro. Queste domande toccano il rapporto fondamentale che la Chiesa vede tra il cristianesimo e l'ebraismo. I documenti della Chiesa cattolica di oggi pretendono che i rapporti tra il cristianesimo e l'ebraismo siano unici e che essi siano “legati al livello stesso della loro propria identità”[3]. In questa prospettiva, il cristianesimo nasce dall'ebraismo; Gesù non era ebreo? Per di più i cristiani non hanno forse adottato “le Scritture ebraiche” (l'Antico Testamento) come prima parte del loro testo fondante (la Bibbia)? Infine, i cristiani, dimenticando questi legami, si sarebbero allora resi responsabili di tutte le violenze storiche perpetrate contro gli Ebrei. In queste condizioni, cosa può significare per noi l'incontro con l'ebraismo fondato su una tale elaborazione storica e teologica?
Nel corso di tutto questo articolo, i termini "ebraismo" ed "ebrei" faranno riferimento alla religione ebraica e a quelli che praticano questa religione. Non entreremo nel dibattito sull'identità ebraica di quelli per i quali l'ebraismo è sinonimo di appartenenza sociologica o politica. Ciò a cui si punta in questo articolo è piuttosto l'incontro con una testimonianza religiosa vivente. Oggi, trentacinque anni dopo il Concilio, una certa ideologia "ebraico-cristiana" si è istaurata poco a poco come fondamento dell'incontro ebraico-cristiano. In uno spirito di vero dialogo, questo articolo vorrebbe presentare una riflessione critica su questa ideologia. In effetti, è essenziale andare sempre più lontano nello slancio del dialogo: ma per fare questo è necessario approfondire una riflessione teologica a partire da questo incontro ebraico-cristiano.

1. Testimonianza religiosa

"Gli ebrei e l'ebraismo non dovrebbero occupare un posto occasionale e marginale nella catechesi e nella predicazione, ma la loro presenza indispensabile deve esservi integrata in modo organico"[4]. Nel discorso cattolico dopo il Concilio Vaticano II si è sostenuto regolarmente che il rapporto del cristianesimo con l'ebraismo è essenziale per la sua auto-comprensione. Il cristianesimo, in effetti, non può comprendere se stesso senza l'ebraismo che gli è storicamente anteriore. Così, secondo il Concilio Vaticano II, il cristianesimo testimonia della sua origine nel riconoscimento di Gesù come ebreo e nell'unità del Nuovo Testamento con l'Antico.

a) “Gesù l'ebreo”

“Gesù era ebreo ed è sempre rimasto tale”[5]. Gesù Cristo, che è l'incarnazione di Dio, è sorto dall'insieme dell'Antico Testamento e ha vissuto il suo ebraismo come ebreo praticante, fedele alla Legge e a tutte le sue prescrizioni. Riprendendo una espressione dei vescovi tedeschi, Giovanni Paolo II dice che “chiunque incontra Gesù Cristo incontra l'ebraismo”[6]. Cosa implica il rapporto tra Gesù e il suo ebraismo per l'auto-comprensione cristiana? Il fatto che Gesù sia ebreo comporta un rapporto speciale con l'ebraismo? Cosa significa l'espressione “Gesù l'ebreo”? Queste domande pongono già in partenza dei problemi di terminologia. Cosa significa "ebreo" nel vocabolario cristiano? Secondo noi è possibile dare almeno tre significati a questo termine.

1. L' “ebreo” del testo
L'ebreo del testo è quello che esiste nel testo fondante del cristianesimo, la Bibbia (l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento). La storia cristiana della salvezza si svolge in un racconto che riguarda un popolo specifico, Israele, eletto da Dio. Questa storia si completa con la nascita, la morte e la risurrezione di Gesù, egli stesso figlio di questo popolo. Ci sono tre categorie di ebrei nel testo. I "confessori" (quelli che hanno atteso la venuta di Cristo nell'Antico Testamento), "i testimoni" (quelli che hanno affermato la sua venuta nel Nuovo Testamento) e i "ciechi" (coloro che, nel Nuovo Testamento, hanno rifiutato Gesù come i loro antenati avevano rifiutato la Legge di Dio nell'Antico Testamento). L'ebreo del testo è definito allora dalla sua accettazione o dal suo rifiuto di Gesù come Cristo.
2. L' “ebreo” mitico
L'ebreo mitico è quello che esiste nell'immaginazione cristiana. E' l'ebreo come è percepito dopo la rottura irrevocabile del cristianesimo con l'ebraismo. Una lettura anti-giudaica del Nuovo Testamento (la negazione della religione ebraica vista come superata dopo la venuta di Cristo) ha dato origine a un antisemitismo forte nel mondo cristiano (il disprezzo degli ebrei stessi). L'anti-giudaismo cristiano vede l'ebraismo come una religione di paura e di legalismo ipocrita, privato di ogni vitalità, e vede nell'ebreo un deicida – l'uccisore di Cristo. E' contro tutte queste immagini che i documenti cattolici si levano dopo il 1965. L'ebreo mitico è quello che, nel suo rifiuto di Cristo e della Chiesa, rifiuta la verità, la luce e la vita e, in questo modo, tutti i valori umani. E' anche vero che esiste un certo filo-semitismo che vuole vedere negli ebrei delle persone particolarmente dotate intellettualmente o abili sul piano finanziario per esempio. In effetti questo filo-semitismo non è molto diverso dall'antisemitismo perché rinchiude l'ebreo in un immaginario cristiano che trova il suo principio e il suo fondamento in una lettura della Bibbia in cui il rapporto con l'ebreo reale è inesistente.
3. L' “ebreo” vicino
L'ebreo vicino è quello che vive in un mondo che il cristiano divide con lui. Questa immagine dell'ebreo come vicino non corrisponde né all'ebreo del testo, né all'ebreo mitico. L'ebreo vicino è, in una certa misura, un “altro” in un mondo pieno di altri. L'ebreo che resta al di fuori dell'accoglienza della testimonianza cristiana si ricollega alla stessa categoria di altri “non credenti”, come il musulmano, l'indù, il buddista o l'ateo. L'ebreo vicino come “altro” è presente da molto nella storia cristiana e costituisce una realtà sempre presente di alterità.

La confusione di questi tre significati è molto diffusa nel discorso cristiano sugli ebrei e sull'ebraismo. E' dunque fondamentale, in un vero dialogo, prendere coscienza della distinzione essenziale che esiste tra l'ebreo del testo e l'ebreo vicino per neutralizzare l'immagine (a volte molto violenta) dell'ebreo mitico. L'ebreo del testo è quello che indica la venuta di Cristo ma (per la maggior parte) rifiuta Cristo quando egli viene. L'ebreo vicino non può essere definito dal Cristo, né dall'evento cristiano, né dalle radici ebraiche di Gesù. Benché la maggior parte degli ebrei ignori totalmente Gesù, è vero che oggi ci sono alcuni autori ebrei (come M. Buber, F. Rosenzweig, S. Ben Chorin, D. Flusser, ecc.) che riconoscono in Gesù una sorta di riformatore ebreo, in buona fede, tra molti altri della sua epoca. Ma per i cristiani Gesù è più che un riformatore, più che un profeta.
Non c'è dubbio secondo il testo fondante del cristianesimo sul fatto che Gesù e i suoi discepoli fossero ebrei. Gesù e i primi cristiani sono stati formati nell'ebraismo, il culto dei sacrifici, le tradizioni, le pratiche e la Sacra Scrittura, del loro tempo. Situato nella particolarità del suo ebraismo, Gesù segna con questo una rottura che è al centro dell'avvenimento fondante del Cristianesimo. E' in questa rottura con l'ebraismo della sua epoca che Gesù apre una strada per il cristianesimo che altro non è che il compimento dell'Antica Alleanza.
In questo senso Gesù è definito nella tradizione cristiana per l' “instaurazione di un altro senso[7]”. Gesù è un ebreo per nascita e cultura, ma “suggerisce qualcos'altro, che critica l'assoluto rappresentato da questa condizione che ne è alla radice[8]”.
Pertanto, per comprendere il cristianesimo e l'ebraismo attuali, bisogna capire le loro rotture (al plurale) con la religione dell'Antico Testamento. La prima è evidentemente la rottura tra i discepoli di Gesù e il giudaismo istituzionale del loro tempo. La seconda è la rottura tra la Chiesa e la Sinagoga dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (nel 70 d.C.). Il Tempio è stato un punto d'incontro per quelli che hanno accettato Gesù e quelli che lo hanno rifiutato, ma è stato anche un punto di incontro per molte altre sette giudaiche, tra gli altri per quelli che hanno accettato una Torah orale (i Farisei) e quelli che l'hanno rigettata (i Sadducei). Infine, c'è stata una terza rottura – che spesso viene dimenticata dai cristiani che parlano del rapporto del Cristianesimo con l'ebraismo – la rottura tra il giudaismo antico e il giudaismo rabbinico che è fondato sulla consacrazione e la redazione di una Torah orale.
Gesù non rappresenta la sola rottura con la religione dell' “Antico Testamento” e non è il solo ad avergli dato un nuovo senso – ce ne sono altri. Rabbi Yohanan ben Zakkai, i suoi compagni e i suoi discepoli, le generazioni dei Tannaim, degli Amoraim, i rabbini, costituiscono un'altra rottura nei confronti di questa religione dell' “Antico Testamento”. Queste persone hanno costruito un nuovo modo di essere nel mondo, il significato religioso di un quotidiano regolato dalla volontà divina[9]. Sono questi saggi, i rabbini, che, tra il primo e il settimo secolo, hanno dato un nuovo senso al giudaismo dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C. Il giudaismo del Tempio era incentrato sui riti e sui sacrifici laddove il giudaismo rabbinico si fonda sullo studio della Torah, una vita di mitzvot (i comandamenti) e gli atti di misericordia[10]. E' la Torah che rappresenta allora un terzo cammino che non è né quello del Tempio, né quello dei discepoli di Gesù e della Chiesa che riconoscono in lui il Messia. L'interpretazione e la memorizzazione dei testi sacri mirano alla strutturazione interiore e segreta dell'esistenza, cercando di fare la volontà divina in una comprensione della creazione[11]. E. Lévinas descrive questo movimento fondamentale, che costituisce la rottura rabbinica con la religione antica, come un passaggio dal sacro al santo. “La Torah orale parla in spirito e in verità anche quando sembra "triturare" dei versetti e dei testi della Torah scritta. E' per questo che noi abbiamo intitolato il presente libro con delle parole che, a usare un linguaggio appropriato, concernono soltanto il tema trattato dal sacro al santo[12]”. La distinzione tra l'ebreo del testo e l'ebreo vicino concerne l'identità storica di ciò che noi chiamiamo ebraismo. La definizione dell'ebraismo che emerge dai documenti cattolici contemporanei – un ebraismo che è definito da citazioni bibliche – dovrebbe essere precedentemente verificata. In rapporto a questa definizione, bisogna domandarsi qual'è la realtà dell'ebraismo vissuto oggi. Ciò che manca a questa definizione è il cuore stesso dell'ebraismo: il progresso storico – i diciotto secoli che sono trascorsi tra la distruzione del Tempio e la liberazione degli ebrei europei. L'ebraismo, restando sempre vivo, si è sviluppato e la Torah scritta ha trovato il suo slancio nella formazione della Torah orale (il Talmud). Benché i rabbini non siano coloro che hanno dato origine alla Torah orale, sono essi, però, che l'hanno stabilita come autorità. Il Talmud costituisce un'altra trasformazione della religione del tempo di Gesù. Adin Steinsaltz, un pensatore ebreo contemporaneo, così spiega:

“Poiché il Talmud è di un'importanza tanto fondamentale per il popolo ebraico, studiato a fondo da ogni sapiente ebreo, è evidente che non soltanto esso è stato creato dal popolo ebraico, ma che esso stesso, di rimando, ha modellato questo popolo[13]”.
Questa realtà di un ebraismo in evoluzione è essenziale per il cristiano che desideri comprendere l'ebraismo. Per il cristiano, la sfida posta dall'esistenza dell'ebreo vicino dopo la venuta di Cristo, non è la fedeltà ebraica all' "Antico Testamento" che non troverebbe il suo compimento nel Nuovo Testamento, ma piuttosto l'elaborazione di un movimento nel seno stesso delle Scritture che andrebbe dall' "Antico" verso un altro “nuovo”. E' necessario dunque condurre un dialogo che riconosca l'ebraismo così come è stato definito dalla sua propria evoluzione. Solo un riconoscimento del Talmud permette di cogliere la differenza tra un ebraismo reale e quello che esiste nell'immaginario cristiano. Secondo J. Neusner, quando i cristiani dicono “Antico” Testamento, vogliono dire che c'è un "Nuovo" Testamento che porta a compimento l' "Antico". Ma ciò che la maggior parte dei cristiani ignora è che l'ebraismo stesso opera una distinzione tra un “Antico” – il Tanak (l'equivalente ebraico dell' "Antico Testamento") che contiene una parte della rivelazione – e la Torah orale insegnata dai rabbini e che sviluppa l'altra parte di questa stessa rivelazione[14].
La comprensione cristiana dell'ebraismo attuale non può essere fondata sulla presupposta giudaicità di Gesù di Nazareth perché l'ebraismo di questo Gesù è anteriore alla testimonianza ebraica delle due Toroth (Torah scritta e Torah orale). Bisogna notare che ci sono stati, dopo l'inizio dell'esegesi moderna, dei tentativi di comprendere Gesù e i suoi discepoli come degli ebrei “rabbinici”, utilizzando gli scritti rabbinici per ricostruire il quotidiano del I secolo [15]. Bisogna riconoscere che questa ricostruzione è il risultato di una proiezione erronea del giudaismo rabbinico successivo al 70 d.C. sul giudaismo del Tempio anteriore al 70 (quello di Gesù). Le domande che Gesù e i suoi discepoli pongono in rapporto alla Legge, alla rivelazione di Dio e all'elezione di Israele sono formulate in un contesto ebraico proprio del I secolo. Le domande dei rabbini sono di un'altra epoca. Si deve dunque situare il Gesù storico nella sua epoca per cogliere la novità che ciò rappresenta quando i suoi discepoli lo riconoscono come il Cristo. In questo riconoscimento il cristianesimo segna una rottura con la religione che lo precede, ma, nello stesso tempo, stabilisce una continuità con la rivelazione di Dio espressa nell'Antico Testamento. Non accade diversamente per l'ebraismo contemporaneo – si può parlare di passaggio da una religione antica incentrata su un tempio con dei sacrifici, un'autorità politica e un centro geografico, ad una religione incentrata sulla pietà personale e familiare e sullo studio fedele della Torah. In continuità, come il cristianesimo, con gli scritti dell'Antico Testamento, l'ebraismo rabbinico instaura un altro senso. Questo senso deve essere scoperto in un dialogo con l'ebreo vicino piuttosto che in un riferimento a “Gesù l'ebreo”.

b) "Il testo comune"

 

Una seconda fonte di confusione possibile nel discorso cristiano sul rapporto con l'ebraismo concerne ciò che è identificato, nella dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra Aetate”, come “il grande patrimonio spirituale comune” degli ebrei e dei cristiani – l'Antico Testamento. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che “a differenza delle altre religioni, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nell'Antica Alleanza[16]”. I documenti che pretendono che la giudaicità di Gesù renda necessario un rapporto con l'ebraismo, spiegano che c'è una "parentela" unica tra l'ebraismo e il cristianesimo a causa di "un testo comune" - l'Antico Testamento.
Tradizionalmente i cristiani hanno fatto riferimento alla Scrittura comune nella loro polemica con gli ebrei per tentare di convincerli che Gesù Cristo è il Messia e il Figlio di Dio[17]. Tommaso d'Aquino, per esempio, spiega che "sconfiggere tutti gli errori è difficile" poiché "i Maomettani e i pagani non si accordano con noi per riconoscere l'autorità della Scrittura, grazie alla quale si potrebbero convincere, mentre al contrario con gli ebrei noi possiamo disputare sul terreno dell'Antico Testamento[18] ". E' importante non dimenticare da dove viene questo linguaggio di comunione – esso è legato al tentativo di ricondurre gli ebrei al cristianesimo. Il fatto che gli ebrei abbiano questo testo “comune”, l'Antico Testamento, e non riconoscano il Cristo (che, beninteso, vi è prefigurato all'interno) ha giustificato l'assimilazione degli ebrei a dei “ciechi”. Il portale centrale di Notre-Dame a Parigi ne è un buon esempio. La Sinagoga cieca, la sua corona in terra, il suo scettro spezzato, lascia il posto alla Chiesa che scopre il vero senso del testo.
Molti cristiani, oggi, chiamano l'Antico Testamento, questa prima parte del testo fondante cristiano, “le Scritture ebraiche”. Perché sottolineare che questo testo è “comune”? Cosa implica il rapporto tra l'Antico Testamento e il suo compimento nel Nuovo Testamento per l'incontro tra l'ebraismo e il cristianesimo? Il problema non è quello di una rottura con una religione che avrebbe preceduto il cristianesimo e anche l'ebraismo contemporaneo, ma piuttosto quello di una continuità/unità di rivelazione. In un certo senso, il Gesù del Nuovo Testamento e la Torah orale dei rabbini rappresentano una rottura in rapporto all'Antico Testamento, ma d'altro canto, né il cristianesimo né l'ebraismo contemporaneo rendono conto di una rottura con i testi dell'Antico Testamento. Le due religioni pongono una ermeneutica di continuità/unità (un compimento dell'Antico Testamento per il cristianesimo e una “apertura di senso” della Torah scritta per l'ebraismo).
E' evidente che ebrei e cristiani venerano e leggono, in generale, dei testi che costituiscono ciò che i cristiani chiamano l'Antico Testamento. Ma il problema maggiore che sorge quando si argomenta di un “testo comune” è il presupposto che il testo esista “in se stesso”. Ora il testo non può essere separato dalla comunità che lo legge. Ogni lettura è propria ad una comunità particolare. Ricoeur propone una comprensione ermeneutica del “mondo del testo[19]”. Occorre ben riconoscere che questi due mondi, il mondo ebraico e il mondo cristiano, sono diversi. Bisogna anche sottolineare che questi testi divengono “testi fondatori” nelle due religioni in modo diverso. Infine bisogna rispettare questa differenza per rispettare l'alterità dell'ebreo vicino e per allontanarsi dall'ebreo del testo che conduce alla violenza dell'immagine dell'ebreo mitico. Tre differenze fondamentali dissolvono il presupposto di un “testo comune”.
1.Il luogo del testo
E' molto importante prendere coscienza del fatto che il testo non occupa lo stesso posto nel cristianesimo e nell'ebraismo. Gli ebrei sono un “popolo del Libro” mentre, per i cristiani, la parola è incarnata in Gesù. Per ciò che concerne il luogo della Scrittura, bisogna sottolineare che, nel cristianesimo post-patristico, la Bibbia (lectio) e la Teologia (quaestio) sono state progressivamente separate man mano che il centro del pensiero cristiano si focalizzava su una elaborazione teologica e dogmatica. Questa distinzione tra Bibbia e Teologia è divenuta un punto centrale nel dibattito tra cattolici e protestanti. Dopo il Concilio Vaticano II, c'è stato un certo ritorno alla Bibbia per trovare una risposta alla moderna crisi di senso. E' vero che un cristianesimo rinviato alle fonti riscopre il “Gesù storico” – un “ebreo” – e l'Antico Testamento, spesso dimenticato. Tuttavia non bisogna confondere questo ritorno alle fonti del cristianesimo con la realtà degli ebrei e dell'ebraismo che costituiscono una sfida permanente alla pretesa di universalità del cristianesimo. Il ritorno alla Bibbia, anche se è definito in termini di “patrimonio comune” tra ebrei e cristiani, non offre una soluzione semplice alla domanda: come comprendere la testimonianza ebraica reale che rigetta l'universalità del cristianesimo? In effetti, il testo fondante del cristianesimo, la Bibbia, propone il Nuovo Testamento come il compimento necessario dell'Antico Testamento. Benché ci sia questo ritorno alle “fonti” (la Bibbia e i Padri della Chiesa l'utilizzano come punto di partenza) nel cattolicesimo moderno, il cristianesimo non può essere compreso come una religione del Libro. Mentre per gli ebrei è il "testo" sacro (rappresentato dal nucleo centrale della Torah, il Pentateuco, scritta su un rotolo) che riceve un'adorazione rituale, per i cristiani è il corpo di Gesù che riceve l'adorazione dei fedeli nei sacramenti.
Gli ebrei sostituiranno dopo il 70 d.C. l'immagine del Monte Sion (il Tempio di Gerusalemme) con l'immagine fondatrice del Monte Sinai che sarà totalmente reinterpretato nella Torah orale. Uno dei “miti fondatori” dell'ebraismo rabbinico si incentra sulla figura di Mosè che ha ricevuto sul Sinai una rivelazione scritta e un'altra orale, trasmessa, in seguito, dai maestri ai discepoli. L'unità di queste due rivelazioni contiene il disegno rivelato dallo stesso Architetto dell'Universo. Lo studio di questo disegno divino è da intendersi non tanto come un mezzo di conoscenza ma piuttosto come un atto di riverenza verso Colui che in questo modo si rivela agli uomini. Nel suo studio il rabbino imita Dio[20]. Mosè diventa il primo rabbino e il testo della Torah (orale e scritta) diventa il punto di incontro con il divino[21]. Y. Leibowitz, uno dei più eminenti pensatori ebrei contemporanei, lo conferma. “Occorre sottolineare che il mio ebraismo... non proviene dall'ebraismo biblico, ma realmente dall'ebraismo della Legge orale... Nella struttura dell'ebraismo così come ci è pervenuto, Soura e Pumbédita (dove il Talmud fu redatto) sono più importanti di Gerusalemme. Non un ebraismo come nozione astratta, ma l'ebraismo reale che si esprime attraverso un programma di vita per i credenti, ed è questo ebraismo che i negatori della religione rifiutano[22] ".
Non si potrebbe dire che il Monte Sion della religione antica all'epoca di Gesù diviene il Monte Calvario per i cristiani e il Monte Sinai per gli ebrei? In questo senso l'idea di compimento di questo “testo comune” è presente nel cristianesimo. Il Nuovo Testamento dà la prospettiva definitiva dell'Antico Testamento e presenta Gesù come suo compimento perfetto e completo. Per il cristiano, l'avvenimento fondatore è l'Incarnazione che termina con la Crocifissione e la risurrezione di Cristo. Il Calvario sostituisce il Sinai e Gesù sostituisce il corpo del testo. Mosè diventa, allora, per il cristiano, non soltanto un precursore, ma anche una prefigurazione di Gesù. Quanto alla Torah orale, essa apre lo scritto ad una infinità di significati. E. Lévinas spiega che per la Torah orale, “il senso letterale, che è interamente significante, non è ancora il significato. Questo resta da cercare" [23].


2. Le frontiere del testo
Bisogna riconoscere la differenza reale tra “l'Antico Testamento” e la “Torah scritta” o il “Tanak” malgrado la loro apparente somiglianza. Il cristianesimo, chiamando la prima parte della Bibbia “Antico Testamento”, esprime l'idea che l'Antico Testamento debba essere letto a partire dal Nuovo Testamento. L'ebraismo rabbinico, da parte sua, delimita anch'esso il proprio punto di partenza nei testi della Torah orale che dà il senso alla Torah scritta. Secondo i rabbini, la Torah orale precede la Torah scritta, rivelata sul Sinai, e ciò permette di spiegare come i Patriarchi siano vissuti secondo i comandamenti prima che essi fossero rivelati a Mosè. In ogni caso l'unità della Scrittura è indivisibile. Il testo alla base del cristianesimo (la Bibbia, che unisce Antico e Nuovo Testamento) e quello dell'ebraismo (la Torah che unisce Torah scritta e orale) sono presentati in lingue diverse – il greco per la Bibbia, l'ebraico e l'aramaico per la Torah. Nel cristianesimo è la versione greca dell'Antico Testamento (la LXX) che ha costituito la prima parte della Bibbia. Gli evangelisti, S.Paolo e gli altri autori del Nuovo Testamento citano soltanto la versione greca dell'Antico Testamento, e come loro, la maggior parte dei Padri. Con Origene, e dopo di lui Girolamo, inizia il fascino cristiano per la versione ebraica dell'Antico Testamento, un interesse che Lutero manifesterà con forza collocando la versione masoretica ebraica ad un livello superiore della LXX. Bisogna però notare che la lingua (il greco) e il canone (più ampio di quello della versione masoretica) della LXX permettono di cogliere pienamente i rapporti interni tra i due Testamenti (Antico e Nuovo Testamento).
Il rifiuto del greco da parte dei rabbini e la sua adozione da parte degli Apostoli e dei Padri sono un elemento essenziale nella rottura tra la Chiesa e la Sinagoga. Poco a poco, l'ebraismo rabbinico ha rifiutato l'inculturazione della cultura ebraica nella cultura greca, iniziata alcuni secoli prima della nascita del cristianesimo. Accadde fino al Medio Evo, quando Maimonide tra gli altri, riscopre la filosofia greca. In un primo tempo i rabbini hanno rigettato la LXX, desiderando così eliminare “una versione greca che la nuova setta cristiana usava a vantaggio delle sue tesi[24]”, ma hanno autorizzato altre traduzioni greche per restare in rapporto con gli ebrei ellenizzati. Eppure, in un secondo tempo, la semplice traduzione della Scrittura è stata malvista: “Le Scritture non devono essere scritte... in greco. 70 anziani scrissero la Torah per il re Tolomeo in greco, e quel giorno fu per Israele altrettanto funesto di quello in cui fu fabbricato il vitello d'oro[25]”. I rabbini hanno rigettato gli scritti greci dell'Antico Testamento e hanno usato una lingua ebraica rinnovata per scrivere la Mishna. Per la Gemara (la seconda parte del Talmud), hanno utilizzato l'aramaico.
La definizione di un “canone” delle Scritture – la Bibbia per la Chiesa e la Torah (orale e scritta) per la Sinagoga – rivela due processi decisionali paralleli e non si devono ignorare le differenze tra i due[26]. Così, nell'ebraismo rabbinico, i rabbini hanno eliminato gli scritti in greco e la lettura di alcuni altri testi del Tanak troppo legati alla lettura cristiana dell'Antico Testamento. Non dimentichiamo che i fedeli, ebrei e cristiani, non leggono gli stessi testa tra quelli che sono apparentemente comuni. Mentre la lettura ebraica dà il primato al Pentateuco (è questa parte che si trova nel tabernacolo scritta sul rotolo e che riceve l'adorazione rituale), la lettura cristiana dà il primato ai profeti e ai testi sapienziali, poiché essi rivelano una progressione che conduce al Nuovo Testamento. Per la lettura ebraica il Talmud di Babilonia trae i suoi fondamenti halakici solo dalla Torah (Pentateuco) poiché lo considera il solo testo che abbia autorità a questo riguardo[27]. Per la lettura cristiana, è negli ultimi libri dell'Antico Testamento (i libri profetici nell'ordine seguito nella LXX e non i libri della Sapienza come nella versione ebraica) che i segni della venuta di Cristo divengono sempre più evidenti.".


Vi invito anche a leggere l'articolo messo su Facebook dall'amico Angelo Fazio (il "genietto di Palermo") che è intitolato "Pio XII, gli ebrei ed il mistero dei dispacci".
Nemmeno la Chiesa è in sé antisemita.
Quindi, gli idioti hanno torto su tutti i fronti.
Cordiali saluti. 

2 commenti:

  1. ....ti giuro Gabriele, io non ce l'ho fatta a leggere il tutto.... come penso tanta altra gente. Spero però lo facciano quelli che, io definirei persone poco informate, leggermente" tronfie", e non dico altro perkè non ho visto ancora la "portata " delle offese. Di certo, per quel che ti conosco, vedo in te un ragazzo serio, trasparente, colto che ama continuamente aggiornarsi, educato e sempre rispettoso del prossimo (devo anche dire pero' che-non sempre- sono in accordo con te per certe scelte politiche, ma questo fa parte di un altro ambito)... EBBENE, CON CREDENZIALI DEL GENERE, TE LA PRENDI PER LE LORO BECERE E MALEDUCATE CONTESTAZIONI? La gente conosce TE... E ALLORA MANDEI IN MONA E FREGHETENE...NON MERITANO ULTERIORE ATTENZIONE!

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  2. Immagino che lei sia veneto. Io conosco un po' il dialetto veneto, abitando non molto lontano dal Veronese.
    Concordo con quello che lei afferma.
    La cosa che mi ha fatto arrabbiare non è tanto l'offesa in sé.
    Di insulti ne ho beccati tanti nella vita ma io li lascio cadere.
    La cosa che mi ha fatto arrabbiare è il fatto che tali insulti possano (in qualche modo) mettermi in cattiva luce.
    In pratica, una persona che non sa e che legge simili frasi offensive contro gli ebrei ed Israele può pensare che io sia connivente con queste persone.
    Inoltre, qui da me, ci sono persone che non mi hanno in simpatia e che possono usare (in tale senso) codeste frasi contro di me.
    Mi creda, ci hanno già provato in passato.
    Questo mi può creare dei problemi anche nella ricerca del lavoro.

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Ringrazio l'amico Morris Sonnino di questo screemshot de "Il Corriere della Sera".