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mercoledì 29 agosto 2012

Francisco Canals Vidal, "Derechismo", in 'Cultura & Identità' n. 17/2012, pagg. 65-68

Cari amici ed amiche.

Leggete questo articolo che è stato riportato su Facebook dall'amico Filippo Giorgianni:



"L’articolo di Francisco Canals Vidal (1922-2009), che proponiamo in prima traduzione italiana, necessita di una precisazione terminologica previa. Con “conservatore”, termine cui associa una valenza negativa, l’autore intende il conservatorismo liberale — che chiama “destrismo” —, cioè quella corrente di compromesso con lo spirito dell’Ottantanove che si crea per la prima volta all’interno dei parlamenti costituzionali — in senso più o meno largo — ottocenteschi. A esso, contrappone il suo “conservatorismo radicale” o conservatorismo tradizionalista, una prospettiva dottrinale che rivendica il passato non solo nella Rivoluzione ma della Rivoluzione, ossia l’ordine naturale e cristiano, ultimo vestigio della cristianità medievale, che con il 1789 tramonta. La tesi parallela secondo cui il conservatorismo nasce con e nei parlamenti pare ridurre la destra al solo liberalismo parlamentare: in realtà, i parlamenti costituzionali a ridosso della Restaurazione — per esempio quello sardo-piemontese fino al 1849 — vedranno la presenza di una destra radicale e talora legittimista ben diversa dalla destra “storica”, ovvero liberale-elitaria, che farà il Risorgimento e l’unità d’Italia. Con queste avvertenze, l’argomentazione relativa allo slittamento progressivo a sinistra della “destra” dellaRivoluzione è del tutto convincente. Canals Vidal, catalano, filosofo e giurista, è stato uno dei più brillanti e attivi intellettuali cattolici conservatori contro-rivoluzionari iberici del secolo scorso.


Il conservatorismo liberale e la sua deriva fatale

«La destra e la sinistra nascono nei parlamenti: bisogna tener sempre presente questo fatto, perché esso spiega l’anomalia specifica della mentalità “destrista” [derechista], che la rende perennemente inerme davanti alla “sinistra” ed è la ragione del perché il “destrismo” sia divenuto sinonimo d’incapacità e di predestinazione al fallimento. La “destra” non solo nasce nei parlamenti: nasce dal parlamentarismo. La destra si configura come quel settore politico che, nell’ambito del costituzionalismo liberale, desidera chiaramente salvaguardare l’ordine e l’autorità ma all’interno dell’ortodossia del liberalismo. O, come è stato detto in occasioni celebri, è il partito di coloro che vogliono conciliare la libertà con l’ordine. L’ordine e la libertà non sono per loro natura incompatibili. Se tanto si è parlato di una loro conciliazione è perché la libertà in questione era quella del liberalismo, quella che sempre era stata e sempre continuerà a essere un vessillo della Rivoluzione, e l’ordine che si trattava di difendere era precisamente quello nato dalla Rivoluzione. Si comprende, allora, come l’operazione non sia mancata di difficoltà: occorreva, infatti, difendere, di fronte all’esecrata “reazione”, l’ordine rivoluzionario e per questo bisognava proclamare come buoni e immortali i principi della Rivoluzione e avallare le sue gesta più rivoluzionarie, come la confisca dei beni ecclesiastici o l’esproprio in Francia dei beni degli “emigrati”: quelle gesta che avevano fatto nascere concretamente l’“ordine nuovo”. Ma, allo stesso tempo, occorreva evitare che la Rivoluzione stessa, nelle sue nuove e più radicali fasi, ponesse in pericolo le “preziose conquiste” già conseguite. Così nasce la mentalità “moderata” o “conservatrice”. Possiamo trovare una definizione adeguata di essa in quel giudizio di [Jaime] Balmes (1810-1848), secondo cui il partito conservatore è conservatore “della Rivoluzione”. I conservatori, davanti alle nuove tappe percorse dalla Rivoluzione, avrebbero dovuto adottare atteggiamenti che li avrebbero esposti necessariamente all’accusa di essere “reazionari”, nemici della libertà e del progresso, ecc. Di fronte a un così grave insulto, la loro “reazione” non poté essere altra che quella di accusare a loro volta le “sinistre” di essere corruttrici della libertà e di sostenere e proclamare che erano loro — i “destristi”, i “conservatori” — i veri e sinceri liberali. Con questo si può già arrivare a definire la destra così come appare nella maturità e nell’età dell’oro del parlamentarismo liberale: la destra, “partito dell’ordine”, difensore dei principi e degl’interessi conservatori, è il partito liberale propriamente detto, precisamente perché è — secondo quanto osserva con geniale paradosso padre [Henri] Ramière[, S.J.; 1821-1884] — “il più inconseguente dei partiti liberali”. Per questo, mentre la sinistra — che incarnava il dinamismo rivoluzionario — prese come motto “pas d’ennemis à gauche” [nessun nemico a sinistra] e come tale lo ha proclamato e praticato in fondo sempre, la destra sembra aver preso come norma di condotta questo motto: “pas sans ennesi à droite” [mai senza nemici a destra]. Mentre la sinistra proclamava che nulla le sembrava troppo rivoluzionario, la destra si sforzava sempre di porre in rilievo la “moderazione” e la “prudenza” del suo atteggiamento anti-rivoluzionario e si vantava per questo di poter mostrare, come testimonianza del suo amore per la libertà e per il progresso, il fatto di non smettere mai di essere considerata come rivoluzionaria dagli “estremisti di destra”, dai “reazionari”.Il prodotto inevitabile di questa posizione è stato il costante slittamento verso sinistra non solo dell’opinione pubblica e dei partiti, ma anche del criterio con cui si valutava se questo o quell’atteggiamento era riconducibile al destrismo o al sinistrismo. Prima del 1848, la democrazia era la divisa del “sinistrismo” e la destra [liberale] era avversaria del suffragio universale [ma sostenitrice del suffragio ristretto]. Questa destra liberale e “antidemocratica” accusava la democrazia di falsare e di distruggere il vero liberalismo e di essere per questo funesta quanto la reazione stessa. Anni dopo, gli antichi liberali accoglieranno la democrazia schieratasi contro il socialismo come movimento liberale e “d’ordine”. Quindi, la destra, liberale e ormai anche democratica, sarà accusata dal socialismo di essere avversaria della vera democrazia e per ciò stesso reazionaria e distruttrice del progresso e della libertà. D’altro canto, e senza che ciò sia in fondo contraddittorio, accade che i partiti che raccolgono la maggioranza dei voti “conservatori” e “destristi” tollerino che li si chiami “di centro”, preferiscano che li si consideri di “sinistra” e arrivino al punto di considerare insultante essere chiamati “destristi” e “conservatori”, così come, da un secolo a questa parte [1853-1953], è per loro intollerabile che li si consideri “reazionari”, mentre, al contrario, si gloriano del titolo di “conservatori”. Già si è visto usare dalle attuali destre “sinistrorse” come slogan elettorale il suggestivo proclama: “La vera Rivoluzione la facciamo noi”. Se, all’inizio del processo, la destra [parlamentare] era il vero partito liberale, si è arrivati al punto che la “destra” si proclama il vero partito rivoluzionario o, il che è lo stesso, la vera “sinistra”. La Rivoluzione ha proseguito il suo cammino. Tuttavia, a margine di questo processo si è verificato un fatto ancor più spiacevole. Quando i “conservatori” hanno iniziato a temere la Rivoluzione violenta e aperta e molto meno la “reazione”, già ridotta all’impotenza, hanno chiamato in loro aiuto quelli che chiamavano “reazionari”, cioè quelli che avevano conservato in qualche modo i principi e lo spirito cui la Rivoluzione si opponeva. Li hanno invitati all’unione in difesa dei “principi e degl’interessi conservatori” e li hanno chiamati a combattere sotto la bandiera dell’“ordine” e anche sotto quella della “libertà”. Non era forse giusto esigere che i “reazionari” rinunciassero ai loro “estremismi inquisitoriali” e alle loro “utopie medievaliste” e si rendessero così utili alla salvezza della società? Poche volte gli antichi “contro-rivoluzionari” hanno evitato di cedere alla tentazione “conservatrice”. La chiamo “tentazione” perché, sebbene fosse tipico dell’autentico spirito contro-rivoluzionario sostenere sempre tutto quanto potesse porre un freno alla Rivoluzione violenta, non lo era al prezzo che il fusionismo “destrista” confondesse e diluisse quello spirito in un atteggiamento “conservatore” — cioè, in sequenza, “liberale”, democratico, centrista, sinistrorso moderato, veramente rivoluzionario, ecc. —, il cui esito fu la quasi totale estinzione dell’ideologia e dell’atteggiamento che sarebbe stato necessario e coerente con l’impresa politica più grandiosa e difficile di tutti i tempi: la lotta contro la Rivoluzione. Proprio tutto, soprattutto le realtà e i valori più fondamentali della vita umana: la religione, la filosofia, i gusti letterari, i costumi, l’educazione e, infine, tutto ciò che oggi si chiama “la cultura”, ha rapporto con la politica. Per questo l’evoluzione “conservatrice” della battaglia contro-rivoluzionaria doveva produrre una grave conseguenza. In tutti i suoi aspetti il combattimento cristiano è stato contagiato, ove più ove meno, da uno spirito che potremmo designare come “conservatorismo culturale”. Questo conservatorismo ha sostituito e indebolito — fino a distruggerlo a più riprese — il culto della verità e persino il rispetto della tradizione. Lo stesso ruolo “fusionistico” e “conservatore della Rivoluzione” che nella politica hanno giocato “gl’interessi comuni”, per la cui salvezza si sono dimenticate la difesa e la restaurazione dell’ordine cristiano, nella battaglia delle idee hanno giocato le illusioni borghesi e razionalistiche della “cultura”, della “elevatezza intellettuale”, dell’“ampiezza di vedute”, dell’“oggettività e imparzialità scientifica” (Santo Dio!) e, quindi, le supreme illusioni dell’“originalità”, dello “spirito progressivo” e “creatore” e dell’“attualità”. Ecco perché l’atteggiamento “destrista” in campo culturale ha obbedito alla consegna “pas sans ennemis à droite”. Per dimostrare l’“elevatezza” e l’“attualità” di un pensatore accusato di reazionarismo è oggi indispensabile esibire la gloriosa circostanza che questi abbia trovato nemici nell’“estrema destra” e il fatto che egli sia stato considerato un progressista dai reazionari dimostra fino a che punto egli sia stato “comprensivo” e “aperto” nel dialogo con gli eterodossi. Se il lettore riflette su questa condizione, si accorge che essa doveva inevitabilmente produrre un continuo scivolamento del criterio di giudizio delle dottrine stesse. Il “conservatorismo culturale” finirà per essere sommerso dalla dialettica “evoluzionista” e “progressista”. La sua difesa non si riduce forse a proclamare che noi — i conservatori — siamo i veri “innovatori” e che, in fin dei conti, la vera Rivoluzione — anche nell’ordine della cultura e del pensiero — la facciamo noi? È facile vedere che per questa strada non si va con tutta probabilità da nessuna parte, se non alla corruzione della verità. O, nel migliore dei casi, non si va proprio da nessuna parte. Sto per caso proponendo come atteggiamento migliore di essere neutrali fra destra e sinistra? In nessun modo. Credo che convenga concretamente denunciare nel “conservatorismo” la sua inversione di valori e la sua fedeltà ai principi rivoluzionari. Se qualcuno chiama “destrismo” l’autentico spirito di difesa dell’ordine cristiano contro la Rivoluzione anticristiana — e così lo intendono molti che, nell’attaccare la destra, difendono fino in fondo lo spirito rivoluzionario —, allora credo che non vi sia altro da fare se non proclamarsi “ultradestristi”. Ma questo è precisamente ciò a cui la “destra” conservatrice della Rivoluzione non si ridurrà mai.»".

Filippo è sempre geniale!
Io credo che bisogna capire quale sia il reale significato della parola "destra".
Con il termine "destra" si intende definire l'insieme di ideologie in cui il progresso parte (prima di tutto) dalla difesa dei valori più profondi di un popolo.
In pratica, nella visione di destra, il progresso può avvenire solo in armonia con la società, senza forzature né rotture, cosa che, per esempio, fa la sinistra.
La destra difende i valori fondanti di una società non per "falso tradizionalismo" legato solo all'esteriorità delle tradizioni ma perché essa si immedesima belle stesse.
Così, una sana visione di destra europea si unisce, ad esempio, alla tradizione giudaico-cristiana, da cui prende (per esempio) i valori della sussidiarietà, della difesa della famiglia e della vita.
Inoltre, essere di destra significa anche essere per le riforme utili al Paese e compatibili con il proprio valore.
Il grande pensatore cattolico Plinio Correa de Oliveira condannava lo statalismo che piegava ogni tradizione regionale.
Lo statalismo (come tale) è figlio della Rivoluzione, un moto tipicamente di sinistra.
Basti pensare alla Rivoluzione francese del 1789, rivoluzione che volle mortificare (ad esempio) le minoranze bretoni, o all'Unione Sovietica, che volle mortificare le popolazioni non russe presenti in certe aree, come la Moldavia.
Pertanto, essere di destra significa essere contro lo statalismo, la concezione di uno Stato invasivo.
Inoltre, essere di destra significa anche avere un atteggiamento che non punta all'insulto e alla delegitimazione dell'avversario.
Per la destra non deve esistere la "macchina del fango", cosa che è tipica di altri partiti politici.
Io credo che la vera destra debba tornare a parlare.
Cordiali saluti. 



2 commenti:

  1. Bellissimo articolo e bellissimo commento!

    P.S. Nella settima riga partendo dal basso c'è un piccolo errore di battitura.

    RispondiElimina
  2. Grazie, Francesca!
    Ho corretto l'errore.
    Ho espresso un parere sulla destra.

    RispondiElimina

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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.