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martedì 8 agosto 2017

Coloro che hanno fatto carriera sulla lotta alla mafia

Su "Panorama" vi è un articolo di Claudio Martelli intitolato "Trattativa Stato-mafia, cold case all'italiana".
Sappiamo tutti del fatto che la lotta alla mafia sia diventata anche terreno di scontro politico.
Sappiamo anche dell'archeologia giudiziaria che è un'attività fiorente anche nel nostro Paese.
Però, essa ha una caratteristica molto particolare: alcuni magistrati (grazie a Dio non tutti) hanno conquistato la fama dedicando anni di processi basati su dicerie e supposizioni aleatorie e senza prove.
Se poi il processo finisce con un nulla di fatto, c'è sempre qualcuno disponibile a farne un film.
Pensiamo al caso del magistrato Antonio Ingroia, il quale dopo avere imbastito un processo se n'è andato.
Il caso più eclatante è stato quello della presunta trattativa Stato-mafia, la presunta trattativa che ci sarebbe stata all'inizio degli anni '90 tra lo Stato italiano e la mafia.
Pensiamo a quei processi in cui gli ufficiali dei carabinieri dei Ros sono stati assolti, dopo che erano stati messi al centro della trattativa Stato-mafia dalla Procura di Palermo e che erano stati accusati di non avere perquisito il covo di Totò Riina e di non avere arrestato Bernardo Provenzano.
L'ex-parlamentare democristiano Calogero Mannino è stato accusato di essere stato la mente della trattativa, mentre colui che è stato eretto ad eroe dell'antimafia, quel famoso Massimo Ciancimino, figlio del sindaco mafioso di Palermo Vito, è stato sconfessato ed arrestato.
Così, tutto ciò è diventato oggetto di un film-documentario di Sabina Guzzanti.


Così, in tutta questa vicenda contorta entra anche il caso dell'ex-senatore Marcello Dell'Utri, il quale è stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Questo caso, però, si è intrecciato con l'attacco giudiziario contro il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi, di cui Dell'Utri era collaboratore in Fininvest.
Infatti, la cosa grave è il fatto che la lotta alla mafia (sacrosanta) sia finita nello scontro politico.
In questo scontro hanno una parte anche certi magistrati che, oltre ad essere politicamente orientati, fanno del loro orientamento politico una bandiera, quando il loro ruolo richiede la terzietà.
Sappiamo tutti di quei magistrati che sono passati alla politica.
Mettere la lotta alla mafia nella lotta politica è controproducente proprio ai fini del risultato.
Infatti, anziché unire le persone sotto la bandiera della legalità, politicizzare la lotta alla mafia ha l'effetto di dividere e di fare un gran casino, perdendo di vista il vero obiettivo.
Per questo, pubblico nuovamente la lettera che Dell'Utri mi aveva inviato in risposta ad una mia missiva nel 2006.
Poiché la lotta alla mafia è stata politicizzata, chi mi dice che Dell'Utri abbia veramente trattato con la mafia o che, invece,  egli si sia trovato in mezzo alla lotta politica e che, per via di una lotta alla mafia strumentalizzata dalla politica, egli sia oggi ingiustamente in carcere, con molti problemi di salute?
Quando pubblicai la lettera per la prima volta, qualcuno su Facebook definì questo mio gesto "un tantino di cattivo gusto".
Io rispondo a questa persona dicendo che la politica deve stare fuori dalla lotta alla mafia.
Altrimenti, il rischio è che, da una parte, vi sia la percezione dell'innocente finito in carcere e che, dall'altra, si perda di vista il vero obiettivo, ossia la lotta alla mafia. Questo è pericoloso, sia perché vi è il rischio di rovinare delle vite, sia perché si rischia di privare di efficacia la lotta alla mafia, vanificando il lavoro di grandi magistrati, come il Servo di Dio Rosario Livatino, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che pagarono con la vita il loro servizio alle istituzioni e alla legalità.
Della mafia ho scritto anche nell'articolo che invierò alla rivista "La Civetta", la rivista dell'Associazione Culturale "Pensiero e Tradizione" di Mantova.



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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.