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martedì 2 giugno 2015

LE PATATE DEL 2 GIUGNO DI NONNA di Dana Carmignani


Condivido con piacere questo racconto...

“Vammiappiglià du’ patate” – mi disse nonna quella mattina.

Salii in soffitta, dove ne tenevamo a mucchi, facendo i gradini a due a due e in un attimo tornai giù con il mio panierino pieno.
Lei si piazzò in salotto davanti a “quel coso”. Chiamava il televisore anche “quell’aggeggio infernale”, soprattutto quando mi interessava qualcosa a me, ma quando interessava a lei, allora succedeva quello che succedeva a quel ciuco, che “ a voleccelo portà gli strappon l’orecchi e per voleccelo levà gli strappon la coda”
La sua gamba malata sulla seggiola, un cencio sul grembiale, un cortellino per le patate, un tegame sul tavolo, aspettava intrepida, lavorando, la parata militare del due giugno, che come ogni anno si sarebbe trasmessa in televisione. E ogni anno che Dio metteva in terra, lei non se ne perdeva una, se la puppava tutta … e perché… per aspettare che passasse il corpo de Lancieri di Montebello.
Certo aveva vissuto bene la liberazione! Aveva visto sotto casa i tedeschi in ritirata, aveva visto portarsi via il figlio da loro e poi aveva anche visto gli americani, grandi e belli, che elargivano cioccolata e sorrisi, ma per lei soprattutto quello significava il 2 giugno: veder passare i soldati a cavallo!
“Era ne lancieri ir tu nonno sa affa’ir sordato” Lo sapevo che nonno Arturo aveva fatto il soldato nei Lancieri, e sapevo anche che l’avevano preso perché era alto e con le gambe un po’ torte, come diceva lei, adatte a cavalcare, ma ogni volta me lo ripeteva.
Sapevo che lei l’aveva aspettato due anni prima quando era soldato, e tre dopo, quando fu richiamato per la guerra. Sapevo che era stato allora che lei aveva voluto imparare a leggere e scrivere quel poco che imparò, perché voleva leggere le lettere di nonno da sola e non farsele leggere da chi lo sapeva fare, come si usava allora… e voleva scrivergli quello che voleva lei senza dettare niente a nessuno, per questo andò dalla cechina, che era si cieca, ma era anche una maestra eccezionale, e addirittura fu aiutata da mio padre che stava facendo la seconda elementare.
E poi sapevo che tanta era la paura che Arturo morisse in guerra, che lei fece voto che se fosse tornato non si sarebbe scapigliata più, e avrebbe portato sempre la pezzola a coprire quei capelli, che tanti dovevano essere e gonfi, perché lui la chiamava “ciuffo” in modo vezzeggiativo.
Di tutti i corpi dell’arma, assieme ai Bersaglieri, i Lancieri sono spettacolari e quando arrivano bardati e con quei copricapo su quei cavalli, strappano sempre l’applauso.
Ecco a quel punto lei si commuoveva, la bazza le tremava e cominciava a tirar su col naso. Io per sdrammatizzare le dicevo “Bada un po’ se ora tu fai cascà quarche gocciola sulle patate!”
Se aveva sottomano qualcosa me lo tirava, ma il più delle volte ridendo mi diceva… “Porina e son stata giovane anch’io e ero più bella di te e nonno era un bell’omo, con un cipiglio e certi baffi inviperiti…” E io pensavo che era vero, che quei due s’erano amati tutta la vita, che non poteva far altro che viversi quei momenti col gusto che giustamente le davano nel ricordo di ciò che aveva vissuto. Aveva vissuto una guerra, col marito al fronte, e anche l’altra, col figlio preso dai tedeschi. Le aveva viste tutte e poteva permettersi di commuoversi come voleva, ma una cosa notavo, che oltre la commozione, quando parlava di nonno, aveva un sorrisetto strano che le partiva da un fianco della bocca, e le tirava su il labbro in un espressione che la diceva lunga su esperienze, oltre alla povertà, che aveva vissuto con lui, cosa di cui non potevo esser messa al corrente… e io, quando la vedevo così, con quel sorrisetto malizioso, anche da vecchietta, non potevo fare a meno di strapazzarmela e allora le montavo in collo e la nemicavo, le tiravo giù la pezzola, le scarduffavo tutta la crocchia e la sbaciucchiavo, nel mentre che lei si divincolava, ligia alla sua immagine severa dicendomi… “ Ma bada stà grandigliona, ha voglia di fa’ le mattie… un mi nemià tanto…”
La lasciavo lì, alla sua parata, ai suoi ricordi e alle sue patate, dopo essermi gustata la nostra intimità, e pregustandomi anche il mangiarino che di lì a poco avrei mangiato, uscivo spalancando l’uscio.
Uscivo al sole già caldo di giugno, e mi sbracciavo per sentire i primi calori dell’estate sulla pelle anzi in quel momento del sole del 2 giugno.


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Ringrazio un caro amico di questa foto.