Luigi era famoso perché quando veniva scoperto in flagrante marachella, se ne andava dritto nello spazietto tra le due porte di ingresso che avevamo destinato a castigo.
Stava lì qualche secondo e poi chiedeva: “Posso uscire?”. Con grande divertimento delle mie amiche. Sarà stato un metodo antiquato o superato, ma aveva una sua logica e non lo rinnego. Luigi sapeva che se picchiava la sorellina o il gatto, scattava la punizione e finiva in castigo, “a pensare a quello che aveva fatto”. Tanto valeva andarci da solo e senza tante storie. Adesso sorrido, non riesco nemmeno a ricordare perché finisse in castigo. Ma sono convinta che di quelle punizioni gli sia rimasto il concetto per cui se fai qualcosa di sbagliato, qualcosa di apertamente contrario alle regole, ne soffrirai le conseguenze. Un passaggio essenziale, perché capire che ogni mia decisione e ogni mio gesto, così come le mie parole, producono un effetto sul mondo, sugli altri è il primo passo per imparare a frenarsi, a diventare pienamente consapevoli e responsabili. Le punizioni servono a questo, non certo a vendicarsi. E servono anche quando i ragazzi crescono e le marachelle si fanno più pesanti e sembra sempre più difficile per un genitore imporsi. Il furtarello al supermercato o la sbronza precoce vanno ripresi e sottolineati con una punizione calibrata: non potere uscire per una settimana o un mese può essere un modo molto chiaro per imparare che non si può fare quello che si vuole, senza subirne le conseguenze, perché non possiamo lasciar credere ai nostri ragazzi di poterla fare franca, impuniti e onnipotenti. Sapevano cosa avrebbe comportato su chi passava, ma anche sulle loro vite, quei ragazzi che si divertivano a lanciare sassi da un cavalcavia, ammazzando gli automobilisti di passaggio? Forse un po’ di tempo tra le due porte li avrebbe aiutati a sapere, a capire.
Stava lì qualche secondo e poi chiedeva: “Posso uscire?”. Con grande divertimento delle mie amiche. Sarà stato un metodo antiquato o superato, ma aveva una sua logica e non lo rinnego. Luigi sapeva che se picchiava la sorellina o il gatto, scattava la punizione e finiva in castigo, “a pensare a quello che aveva fatto”. Tanto valeva andarci da solo e senza tante storie. Adesso sorrido, non riesco nemmeno a ricordare perché finisse in castigo. Ma sono convinta che di quelle punizioni gli sia rimasto il concetto per cui se fai qualcosa di sbagliato, qualcosa di apertamente contrario alle regole, ne soffrirai le conseguenze. Un passaggio essenziale, perché capire che ogni mia decisione e ogni mio gesto, così come le mie parole, producono un effetto sul mondo, sugli altri è il primo passo per imparare a frenarsi, a diventare pienamente consapevoli e responsabili. Le punizioni servono a questo, non certo a vendicarsi. E servono anche quando i ragazzi crescono e le marachelle si fanno più pesanti e sembra sempre più difficile per un genitore imporsi. Il furtarello al supermercato o la sbronza precoce vanno ripresi e sottolineati con una punizione calibrata: non potere uscire per una settimana o un mese può essere un modo molto chiaro per imparare che non si può fare quello che si vuole, senza subirne le conseguenze, perché non possiamo lasciar credere ai nostri ragazzi di poterla fare franca, impuniti e onnipotenti. Sapevano cosa avrebbe comportato su chi passava, ma anche sulle loro vite, quei ragazzi che si divertivano a lanciare sassi da un cavalcavia, ammazzando gli automobilisti di passaggio? Forse un po’ di tempo tra le due porte li avrebbe aiutati a sapere, a capire.
R. Florio
Quanti ricordi... Ricordo che quando andavo all'asilo o al doposcuola mi mettevano diverse volte dietro a un muro a non far nulla
RispondiEliminaEri un birichino?
RispondiEliminaScherzo.
Un conto è mettere un alunno dietro la lavagna...un altro è picchiarlo.
Ti do perfettamente ragione.
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