Osare il sentiero dei valori
Onestà, la prima scuola è dentro la famiglia
Viaggiando nei chilometri di nulla della campagna neozelandese, può capitare di imbattersi in un banchetto, coperto da una tettoia.
Sul banchetto sacchetti di pomodori, o mele, o kiwi; accanto una cassetta e un cartello con il prezzo. Tu passi, prendi il tuo sacchetto, lasci i due dollari richiesti e te ne vai. Ci pensate? Da noi quel banchetto non resisterebbe mezza giornata. D’altra parte da noi nessuno si sognerebbe di lasciare incustoditi dei beni in vendita, né tanto meno i soldi del ricavo. La distanza che ci separa da quella mitica terra non è solo misurabile in miglia: l’abisso culturale è drammatico. Prendete, per esempio, il nostro sistema fiscale: da noi si dà per scontato che il contribuente voglia imbrogliare il fisco e quindi, se non rientra in certi parametri astrusi e complicatissimi, è un presunto evasore, che deve dimostrare il contrario. Insomma, si parte dal presupposto che la gente sia disonesta. Se poi, per caso, non lo è, tanto meglio. È come se ce l’avessimo iscritto nel DNA del nostro Paese, dove i mascalzoni vengono chiamati bonariamente “furbetti” e tra truffato e truffatore, tra ladro e derubato, cornuto e traditore, il vincitore è sempre l’eroe negativo. Se poi la cronaca più e meno recente ti racconta sempre storie di amministratori pubblici e politici vari corrotti e intrallazzatori, che usano la cosa pubblica come se fosse loro, scialando e sprecando mentre tanta gente non sa come pagare le bollette, falsi invalidi, evasori e mafiosi, sembra che il mondo sia fatto tutto così. Non a caso è proprio l’onestà, secondo un recente sondaggio Confesercenti, la virtù che gli italiani ricercano e apprezzano di più in un personaggio politico… In questo quadro tragico, in questo clima pesante di sfiducia “globalizzata”, bisogna reagire: lo dobbiamo ai nostri figli perché non vogliamo che si convincano che questa cloaca a cielo aperto sia l’ambiente naturale in cui sopravvivere, tra squali, e, appunto, furbi. Non è vero che siamo tutti farabutti, che siamo pronti a cogliere l’occasione per “fregare” gli altri: il nostro Paese è fatto di persone che si alzano ogni mattina per andare a lavorare e cercano di fare del loro meglio, senza approfittare degli altri. L’onestà si impara in famiglia, respirando comportamenti trasparenti, assumendosi le proprie responsabilità, seguendo le tracce di mamma e papà. Con una buona dose di orgoglio, per non essersi venduti per ottenere una promozione, o non avere mentito e ingannato per guadagnare di più. Perché onestà fa davvero rima con libertà e chi sa di avere la coscienza a posto, sa di non dovere niente a nessuno.
Sul banchetto sacchetti di pomodori, o mele, o kiwi; accanto una cassetta e un cartello con il prezzo. Tu passi, prendi il tuo sacchetto, lasci i due dollari richiesti e te ne vai. Ci pensate? Da noi quel banchetto non resisterebbe mezza giornata. D’altra parte da noi nessuno si sognerebbe di lasciare incustoditi dei beni in vendita, né tanto meno i soldi del ricavo. La distanza che ci separa da quella mitica terra non è solo misurabile in miglia: l’abisso culturale è drammatico. Prendete, per esempio, il nostro sistema fiscale: da noi si dà per scontato che il contribuente voglia imbrogliare il fisco e quindi, se non rientra in certi parametri astrusi e complicatissimi, è un presunto evasore, che deve dimostrare il contrario. Insomma, si parte dal presupposto che la gente sia disonesta. Se poi, per caso, non lo è, tanto meglio. È come se ce l’avessimo iscritto nel DNA del nostro Paese, dove i mascalzoni vengono chiamati bonariamente “furbetti” e tra truffato e truffatore, tra ladro e derubato, cornuto e traditore, il vincitore è sempre l’eroe negativo. Se poi la cronaca più e meno recente ti racconta sempre storie di amministratori pubblici e politici vari corrotti e intrallazzatori, che usano la cosa pubblica come se fosse loro, scialando e sprecando mentre tanta gente non sa come pagare le bollette, falsi invalidi, evasori e mafiosi, sembra che il mondo sia fatto tutto così. Non a caso è proprio l’onestà, secondo un recente sondaggio Confesercenti, la virtù che gli italiani ricercano e apprezzano di più in un personaggio politico… In questo quadro tragico, in questo clima pesante di sfiducia “globalizzata”, bisogna reagire: lo dobbiamo ai nostri figli perché non vogliamo che si convincano che questa cloaca a cielo aperto sia l’ambiente naturale in cui sopravvivere, tra squali, e, appunto, furbi. Non è vero che siamo tutti farabutti, che siamo pronti a cogliere l’occasione per “fregare” gli altri: il nostro Paese è fatto di persone che si alzano ogni mattina per andare a lavorare e cercano di fare del loro meglio, senza approfittare degli altri. L’onestà si impara in famiglia, respirando comportamenti trasparenti, assumendosi le proprie responsabilità, seguendo le tracce di mamma e papà. Con una buona dose di orgoglio, per non essersi venduti per ottenere una promozione, o non avere mentito e ingannato per guadagnare di più. Perché onestà fa davvero rima con libertà e chi sa di avere la coscienza a posto, sa di non dovere niente a nessuno.
R. Florio
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