Lo sapete che in campagna di solito i contadini non portavano l’orologio?Due erano i motivi, primo: con il sudore e la polvere di sarebbe subito rovinato, secondo: non serviva perché vi erano ben altri segnali naturali per conoscere sempre l’ora esatta.
Tuttavia in ogni casa esisteva una scatola di latta colorata che conteneva gli orologi. Erano spesso di un bel giallo vivace e si diceva: ‘’ iè d’or chiga zveta’’ (sono color cacca della civetta cioè di oro finto). Piccolissimi e rotondi quelli delle donne e più grandi e con il cinturino in quasi vero acciaio quelli degli uomini. Non esisteva il funzionamento a pila e bisognava caricarli manualmente. Spesso si sregolavano ed era impossibile metterli a punto. ‘’ E fiol ad Vizaia’’ (il figlio del contadino soprannominato Vizaia) sapeva che il suo orologio rimaneva indietro di circa 10 minuti al giorno ed ogni mattina lo portava avanti di dieci minuti, a volte lo faceva avanzare di 20 e per due giorni era a posto. Alla domenica lo teneva ben in mostra per farlo vedere con il suo bel cinturino in metallo e la gente per prenderlo in giro gli chiedeva l’ora. Lui rispondeva correggendo sempre il numero che leggeva. Spesso il bel colore giallo, dopo alcuni mesi, si imbruniva e diventava opaco. A volte il vetro si rompeva e formava una piccola crepa ma non era un buon motivo per cambiarlo. L’orologio veniva regalato ai bambini per la cresima, per la comunione no perché erano troppo piccoli. Veniva regalato fra i fidanzati ma solo dopo l’anello di fidanzamento, quello si d’oro vero. Era spesso un regalo di nozze. Insomma la scatola ne accumulava anche quattro o cinque di solito non funzionanti o con qualche difetto. Si indossava quando si era invitati ‘’ai parint’’ (ospiti dei parenti per la festa della parrocchia),oppure ai matrimoni. Si puliva ben bene con uno straccetto ed anche se non funzionava faceva comunque la sua bella figura perché non serviva per leggere l’ora ma per mostrarlo come un oggetto di bellezza. Io ero un bambino e ricordo ancora la ‘’Dalgisa ad Piciecia’’ (Piciecia era il soprannome del marito). Aveva circa 70 anni, molto simpatica, era una gran comunista ed abitava nel podere vicino al cimitero di San Tommaso. Quando in prossimità delle elezioni nazionali un funzionario del partito comunista veniva a tenere un comizio, lei sedeva sempre nella panca davanti. Per lei era un giorno di grande festa. Alta,con un fisico imponente indossava ‘’un zinalone’’ chiaro con fantasia di fiori. I capelli bianchi erano raccolti con una grande spilla, un leggero velo di ‘’cipria’’(sarebbe il fondotinta) non riusciva a mascherare completamente la peluria sopra il labbro superiore e sotto il mento. Gli occhi erano vivaci ed esprimevano gioia. Indossava per l’occasione un orologino al polso sinistro ed una catenina d’oro. Una piccola catena d’oro le abbelliva il collo. Portava la fede d’oro anche se controvoglia si era sposata in chiesa. Il marito le sedeva acconto con un grande cappello ed un fazzoletto rosso al collo. Teneva il giornale L’Unità piegata in tasca e se per caso non si vedeva bene, la moglie lo redarguiva: ‘’fala avdè, tant vargugnarè miga?’’ (Falla vedere bene L’Unità,non ti vergognerai mica?). Spesso nei momenti cruciali del comizio quando l’oratore abbassava il tono, faceva una pausa e poi alzava il volume citando i gloriosi progressi della grande Unione Sovietica, i due si spellavano le mani per applaudire e grandi goccioloni rigavano il loro volto. E sì, perché gli oratori all’epoca parlavano a braccio e sapevano come toccare le corde sensibili dei presenti guardandoli dritto negli occhi, non come ora che i nostri politici leggono i discorsi che hanno scritto i loro addetti stampa e spesso inciampano nella lettura del fogliettino. L’oratore in quel caso (mi sembra che si chiamasse Suzzi) era particolarmente bravo e si preparava. Al pomeriggio prima del comizio si fermava da mio babbo e davanti ad un bicchier di sangiovese si faceva raccontare le ultime vicende del paese e quindi parlava poi con conoscenza dei fatti. Comunque alla fine del comizio terminava dicendo: ‘’ed ora saluto e vi chiedo un grande applauso per la compagna Dalgisa, che sia per tutti noi un esempio ed inoltre se non fosse già sposata me la sposerei’’. Quello che seguiva era un vero e proprio boato. Comunque gli orologi come gli oggetti d’oro si acquistavano a Cesena nella famosa ‘’Via diureps’’ (via degli Orefici) ricca di negozi del genere. A volte dopo avere scelto l’orologio diventava snervante la scelta del cinturino in pelle: quale colore, quale spessore, con le cuciture laterali o senza e poi ‘’ pelle’’ era una parola grossa, diciamo simile alla pelle infatti a volte se si prendeva un acquazzone si apriva come una scatola di tonno. Comunque la scelta del cinturino era un momento gioioso perché era già stato concordato il prezzo dell’orologio che lo comprendeva e poterlo scegliere dava l’idea di potersi sbizzarrire ‘’a gratis’’. Chi si è stancato di leggermi può terminare qui. Per chi vuole continuare dopo una pausa caffè, racconto il motivo per il quale l’orologio non serviva. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di Cesena ed abitato prevalentemente da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di quelle. Quando i contadini lavoravano nei campi la campana grossa del campanile suonava le ore, per esempio per le ore 10 erano 10 rintocchi. La mezz’ora era segnalata da un rintocco della campana piccola che aveva un suono leggero e gioioso, mi piaceva molto. A mezzogiorno la campana grande suonava a stormo per un minuto e tutti si avviavano a casa per il pranzo. Ovviamente le azdore erano già ritornate alle 11,30 per fare la piadina e preparare la tavola. Ed ora ditemi voi, a cosa sarebbe servito l’orologio? Mio babbo in estate si alzava all’alba per andare a vendere la frutta con l’asina al mercato ortofrutticolo ed io che ero un bimbo lo accompagnavo. Mio babbo aveva l’orologio biologico incorporato e non si sbagliava mai. In tutti i casi il canto del gallo veniva in aiuto e vi garantisco che la suoneria ‘’gallo’’ era molto più bella di quelle odierne. Io come tutti i bambini facevo fatica a svegliarmi, ma niente paura perché mia mamma mi vestiva semiaddormentato e mio babbo mi metteva dipeso sopra ‘’ e baruzen’’ dove continuavo a sonnecchiare durante il tragitto. Al mercato ortofrutticolo un suono di sirena breve diceva a tutti i contadini in fila che dopo mezz’ora si aprivano i portoni. Alle sei spaccate un suono lungo di sirena dava il via alle operazioni. Il ritorno a casa era previsto dopo due ore ed un leggero ritardo era segnalato dall’asina che scalpitava ed inoltre aveva sete. Non c’era bisogno dell’orologio per sapere quando dare da mangiare ai maiali. I loro insistenti grugniti avvisavano che era ora di preparare la broda (pastone fatto con l’acqua calda e la crusca che sono le bucce dei chicchi grano ricche di proteine). Alla domenica pomeriggio i rintocchi della campana piccola dicevano che era ora di mettersi in cammino per andare ‘’alla benedizione’’ (funzione religiosa) e poco dopo la campana grossa dava inizio alla funzione. Quando si sentivano le tre campane suonare a stormo tutte insieme se non si era arrivati era inutile entrare in chiesa perché ormai il Santissimo Sacramento era stato ‘’sollevato’’. Al pomeriggio, in estate, la fine del canto delle cicale sui mandorli diceva che il solleone era passato edera ora di terminare la siesta. Mio zio che dormiva sotto la quercia faceva finta di non accorgersene e continuava a dormire. Arrivava mia zia che era la padrona di casa con un ‘’venz’’(ramo di vimini) e cominciava a colpirlo nel sedere. Si alzava come la polvere. Quando andavo a scuola a Cesena sentivo la corriera arrivare 10 minuti prima perché suonava prima di ognuna delle numerose curve in salita. Comunque quando arrivava, se qualcuno mancava, l’autista si fermava ad aspettare per non lasciare a piedi nessuno. Anche questa era la solidarietà in campagna.
Tuttavia in ogni casa esisteva una scatola di latta colorata che conteneva gli orologi. Erano spesso di un bel giallo vivace e si diceva: ‘’ iè d’or chiga zveta’’ (sono color cacca della civetta cioè di oro finto). Piccolissimi e rotondi quelli delle donne e più grandi e con il cinturino in quasi vero acciaio quelli degli uomini. Non esisteva il funzionamento a pila e bisognava caricarli manualmente. Spesso si sregolavano ed era impossibile metterli a punto. ‘’ E fiol ad Vizaia’’ (il figlio del contadino soprannominato Vizaia) sapeva che il suo orologio rimaneva indietro di circa 10 minuti al giorno ed ogni mattina lo portava avanti di dieci minuti, a volte lo faceva avanzare di 20 e per due giorni era a posto. Alla domenica lo teneva ben in mostra per farlo vedere con il suo bel cinturino in metallo e la gente per prenderlo in giro gli chiedeva l’ora. Lui rispondeva correggendo sempre il numero che leggeva. Spesso il bel colore giallo, dopo alcuni mesi, si imbruniva e diventava opaco. A volte il vetro si rompeva e formava una piccola crepa ma non era un buon motivo per cambiarlo. L’orologio veniva regalato ai bambini per la cresima, per la comunione no perché erano troppo piccoli. Veniva regalato fra i fidanzati ma solo dopo l’anello di fidanzamento, quello si d’oro vero. Era spesso un regalo di nozze. Insomma la scatola ne accumulava anche quattro o cinque di solito non funzionanti o con qualche difetto. Si indossava quando si era invitati ‘’ai parint’’ (ospiti dei parenti per la festa della parrocchia),oppure ai matrimoni. Si puliva ben bene con uno straccetto ed anche se non funzionava faceva comunque la sua bella figura perché non serviva per leggere l’ora ma per mostrarlo come un oggetto di bellezza. Io ero un bambino e ricordo ancora la ‘’Dalgisa ad Piciecia’’ (Piciecia era il soprannome del marito). Aveva circa 70 anni, molto simpatica, era una gran comunista ed abitava nel podere vicino al cimitero di San Tommaso. Quando in prossimità delle elezioni nazionali un funzionario del partito comunista veniva a tenere un comizio, lei sedeva sempre nella panca davanti. Per lei era un giorno di grande festa. Alta,con un fisico imponente indossava ‘’un zinalone’’ chiaro con fantasia di fiori. I capelli bianchi erano raccolti con una grande spilla, un leggero velo di ‘’cipria’’(sarebbe il fondotinta) non riusciva a mascherare completamente la peluria sopra il labbro superiore e sotto il mento. Gli occhi erano vivaci ed esprimevano gioia. Indossava per l’occasione un orologino al polso sinistro ed una catenina d’oro. Una piccola catena d’oro le abbelliva il collo. Portava la fede d’oro anche se controvoglia si era sposata in chiesa. Il marito le sedeva acconto con un grande cappello ed un fazzoletto rosso al collo. Teneva il giornale L’Unità piegata in tasca e se per caso non si vedeva bene, la moglie lo redarguiva: ‘’fala avdè, tant vargugnarè miga?’’ (Falla vedere bene L’Unità,non ti vergognerai mica?). Spesso nei momenti cruciali del comizio quando l’oratore abbassava il tono, faceva una pausa e poi alzava il volume citando i gloriosi progressi della grande Unione Sovietica, i due si spellavano le mani per applaudire e grandi goccioloni rigavano il loro volto. E sì, perché gli oratori all’epoca parlavano a braccio e sapevano come toccare le corde sensibili dei presenti guardandoli dritto negli occhi, non come ora che i nostri politici leggono i discorsi che hanno scritto i loro addetti stampa e spesso inciampano nella lettura del fogliettino. L’oratore in quel caso (mi sembra che si chiamasse Suzzi) era particolarmente bravo e si preparava. Al pomeriggio prima del comizio si fermava da mio babbo e davanti ad un bicchier di sangiovese si faceva raccontare le ultime vicende del paese e quindi parlava poi con conoscenza dei fatti. Comunque alla fine del comizio terminava dicendo: ‘’ed ora saluto e vi chiedo un grande applauso per la compagna Dalgisa, che sia per tutti noi un esempio ed inoltre se non fosse già sposata me la sposerei’’. Quello che seguiva era un vero e proprio boato. Comunque gli orologi come gli oggetti d’oro si acquistavano a Cesena nella famosa ‘’Via diureps’’ (via degli Orefici) ricca di negozi del genere. A volte dopo avere scelto l’orologio diventava snervante la scelta del cinturino in pelle: quale colore, quale spessore, con le cuciture laterali o senza e poi ‘’ pelle’’ era una parola grossa, diciamo simile alla pelle infatti a volte se si prendeva un acquazzone si apriva come una scatola di tonno. Comunque la scelta del cinturino era un momento gioioso perché era già stato concordato il prezzo dell’orologio che lo comprendeva e poterlo scegliere dava l’idea di potersi sbizzarrire ‘’a gratis’’. Chi si è stancato di leggermi può terminare qui. Per chi vuole continuare dopo una pausa caffè, racconto il motivo per il quale l’orologio non serviva. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di Cesena ed abitato prevalentemente da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di quelle. Quando i contadini lavoravano nei campi la campana grossa del campanile suonava le ore, per esempio per le ore 10 erano 10 rintocchi. La mezz’ora era segnalata da un rintocco della campana piccola che aveva un suono leggero e gioioso, mi piaceva molto. A mezzogiorno la campana grande suonava a stormo per un minuto e tutti si avviavano a casa per il pranzo. Ovviamente le azdore erano già ritornate alle 11,30 per fare la piadina e preparare la tavola. Ed ora ditemi voi, a cosa sarebbe servito l’orologio? Mio babbo in estate si alzava all’alba per andare a vendere la frutta con l’asina al mercato ortofrutticolo ed io che ero un bimbo lo accompagnavo. Mio babbo aveva l’orologio biologico incorporato e non si sbagliava mai. In tutti i casi il canto del gallo veniva in aiuto e vi garantisco che la suoneria ‘’gallo’’ era molto più bella di quelle odierne. Io come tutti i bambini facevo fatica a svegliarmi, ma niente paura perché mia mamma mi vestiva semiaddormentato e mio babbo mi metteva dipeso sopra ‘’ e baruzen’’ dove continuavo a sonnecchiare durante il tragitto. Al mercato ortofrutticolo un suono di sirena breve diceva a tutti i contadini in fila che dopo mezz’ora si aprivano i portoni. Alle sei spaccate un suono lungo di sirena dava il via alle operazioni. Il ritorno a casa era previsto dopo due ore ed un leggero ritardo era segnalato dall’asina che scalpitava ed inoltre aveva sete. Non c’era bisogno dell’orologio per sapere quando dare da mangiare ai maiali. I loro insistenti grugniti avvisavano che era ora di preparare la broda (pastone fatto con l’acqua calda e la crusca che sono le bucce dei chicchi grano ricche di proteine). Alla domenica pomeriggio i rintocchi della campana piccola dicevano che era ora di mettersi in cammino per andare ‘’alla benedizione’’ (funzione religiosa) e poco dopo la campana grossa dava inizio alla funzione. Quando si sentivano le tre campane suonare a stormo tutte insieme se non si era arrivati era inutile entrare in chiesa perché ormai il Santissimo Sacramento era stato ‘’sollevato’’. Al pomeriggio, in estate, la fine del canto delle cicale sui mandorli diceva che il solleone era passato edera ora di terminare la siesta. Mio zio che dormiva sotto la quercia faceva finta di non accorgersene e continuava a dormire. Arrivava mia zia che era la padrona di casa con un ‘’venz’’(ramo di vimini) e cominciava a colpirlo nel sedere. Si alzava come la polvere. Quando andavo a scuola a Cesena sentivo la corriera arrivare 10 minuti prima perché suonava prima di ognuna delle numerose curve in salita. Comunque quando arrivava, se qualcuno mancava, l’autista si fermava ad aspettare per non lasciare a piedi nessuno. Anche questa era la solidarietà in campagna.
Fiorenzo Barzanti
Nessun commento:
Posta un commento