Se dovessi riassumere in una virtù l’esperienza del genitore, sceglierei senza dubbio la pazienza.
Aspettare è per buona parte del nostro percorso l’unica cosa che possiamo fare: conviene farlo bene, con lo stile del contadino, quello di una volta, che sapeva attendere la maturazione dei suoi frutti al compimento del loro tempo. Non può che pazientare la mamma in attesa: non ci sono scorciatoie e nemmeno ritrovati scientifici in grado di regalarci un bambino già pronto in 5, 6 mesi… Si aspetta e basta. Come si aspetta che il bambino cresca, impari a mangiare da solo, a mettersi le scarpe, che diventi autonomo. Lo vorresti autonomo già a tre anni, perfettamente in grado di scegliere cosa mangiare e quale sport praticare. E se non è proprio così, se ancora litiga con i lacci, ti sembra che non ce la farà, che non succederà mai, che forse c’è qualcosa che non va… Pazienza, invece, ci vuole solo pazienza, un mix di fiducia e rispetto per i tempi, diversi, di ognuno. Prima o poi, spesso malgrado le nostre continue intrusioni, imparerà a vestirsi, imparerà a leggere, imparerà persino le tabelline. E mamma e papà potranno ritenersi soddisfatti di non avere passato pomeriggi a sbraitare e vacanze sui compiti estivi… La pazienza del genitore deve crescere insieme ai loro figli: ora che il ragazzo è autonomo (quanto lo abbiamo desiderato!), dobbiamo imparare a “stare a guardare”, non più protagonisti, ma spettatori della sua vita, che ormai si svolge più o meno lontano da noi. Non possiamo fare altro che esserci, quando sarà il momento delle decisioni importanti, quando ci vorrà una spalla su cui piangere, quando servirà attutire il colpo di una caduta, quando deciderà di andarsene da casa, dalla scuola, dalla sua fede e quando deciderà di tornare. Come il figliol prodigo della parabola. Che pazienza: forse troppa per la nostra generazione del “tutto e subito”, del click e invia. Forse è per questo che non vogliamo più figli? Perché non abbiamo pazienza di sopportarli? Perché non possiamo averli già belli che laureati e sistemati in tempi brevi? Perché non sappiamo aspettare che siano loro a decidere quando è il momento di crescere? O di nascere?
Aspettare è per buona parte del nostro percorso l’unica cosa che possiamo fare: conviene farlo bene, con lo stile del contadino, quello di una volta, che sapeva attendere la maturazione dei suoi frutti al compimento del loro tempo. Non può che pazientare la mamma in attesa: non ci sono scorciatoie e nemmeno ritrovati scientifici in grado di regalarci un bambino già pronto in 5, 6 mesi… Si aspetta e basta. Come si aspetta che il bambino cresca, impari a mangiare da solo, a mettersi le scarpe, che diventi autonomo. Lo vorresti autonomo già a tre anni, perfettamente in grado di scegliere cosa mangiare e quale sport praticare. E se non è proprio così, se ancora litiga con i lacci, ti sembra che non ce la farà, che non succederà mai, che forse c’è qualcosa che non va… Pazienza, invece, ci vuole solo pazienza, un mix di fiducia e rispetto per i tempi, diversi, di ognuno. Prima o poi, spesso malgrado le nostre continue intrusioni, imparerà a vestirsi, imparerà a leggere, imparerà persino le tabelline. E mamma e papà potranno ritenersi soddisfatti di non avere passato pomeriggi a sbraitare e vacanze sui compiti estivi… La pazienza del genitore deve crescere insieme ai loro figli: ora che il ragazzo è autonomo (quanto lo abbiamo desiderato!), dobbiamo imparare a “stare a guardare”, non più protagonisti, ma spettatori della sua vita, che ormai si svolge più o meno lontano da noi. Non possiamo fare altro che esserci, quando sarà il momento delle decisioni importanti, quando ci vorrà una spalla su cui piangere, quando servirà attutire il colpo di una caduta, quando deciderà di andarsene da casa, dalla scuola, dalla sua fede e quando deciderà di tornare. Come il figliol prodigo della parabola. Che pazienza: forse troppa per la nostra generazione del “tutto e subito”, del click e invia. Forse è per questo che non vogliamo più figli? Perché non abbiamo pazienza di sopportarli? Perché non possiamo averli già belli che laureati e sistemati in tempi brevi? Perché non sappiamo aspettare che siano loro a decidere quando è il momento di crescere? O di nascere?
Tratto da un testo di R. Florio
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