Viviamo in un Paese stanco, invecchiato, colpito da una crisi come non conoscevamo da almeno trent’anni.
La politica è imballata, l’economia ferma, le aziende chiudono, non assumono, la disoccupazione cresce, soprattutto tra i ragazzi. Basta aprire un telegiornale per farsi venire un attacco d’ansia o un conato di bile. C’è da disperarsi, ma la speranza è più forte di tutto e si alza in volo ogni mattina, sempre con lo stesso, immutato slancio. Possiamo ammainare bandiera, chiudere baracca e burattini e decidere di non alzarci più dal letto? “Ci vuole pioggia, vento e sangue nelle vene” canta Jovanotti in una sua bella canzone “per sollevare le palpebre” e scendere dal letto ogni mattina. E lo possiamo fare solo se, anche depressi, disperati, accasciati, in fondo c’è ancora un piccolo barlume di speranza. La piccolissima possibilità che le cose possano cambiare, che il tumore possa regredire, che il lavoro si possa trovare al prossimo colloquio, che domani smetterà di piovere. C’è sempre qualcosa in cui sperare, e se non lo troviamo adesso è meglio incominciare a cercarlo. E a lavorare, perché quella piccola speranza diventi grande, diventi realtà. Sposarsi è un atto di speranza, mettere al mondo un figlio, due, tre o anche di più, è una sfida al domani, all’oggi, una scommessa che vale la pena giocare. E non c’è bisogno di guardare lontano, perché la speranza ce l’abbiamo in casa: ogni famiglia è incarnazione di speranza, perché dà il futuro e nei figli vive concretamente il futuro.
La politica è imballata, l’economia ferma, le aziende chiudono, non assumono, la disoccupazione cresce, soprattutto tra i ragazzi. Basta aprire un telegiornale per farsi venire un attacco d’ansia o un conato di bile. C’è da disperarsi, ma la speranza è più forte di tutto e si alza in volo ogni mattina, sempre con lo stesso, immutato slancio. Possiamo ammainare bandiera, chiudere baracca e burattini e decidere di non alzarci più dal letto? “Ci vuole pioggia, vento e sangue nelle vene” canta Jovanotti in una sua bella canzone “per sollevare le palpebre” e scendere dal letto ogni mattina. E lo possiamo fare solo se, anche depressi, disperati, accasciati, in fondo c’è ancora un piccolo barlume di speranza. La piccolissima possibilità che le cose possano cambiare, che il tumore possa regredire, che il lavoro si possa trovare al prossimo colloquio, che domani smetterà di piovere. C’è sempre qualcosa in cui sperare, e se non lo troviamo adesso è meglio incominciare a cercarlo. E a lavorare, perché quella piccola speranza diventi grande, diventi realtà. Sposarsi è un atto di speranza, mettere al mondo un figlio, due, tre o anche di più, è una sfida al domani, all’oggi, una scommessa che vale la pena giocare. E non c’è bisogno di guardare lontano, perché la speranza ce l’abbiamo in casa: ogni famiglia è incarnazione di speranza, perché dà il futuro e nei figli vive concretamente il futuro.
R. Florio
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