Il giorno di mercato nelle nostre zone era il giovedì.
O meglio, si mancava un po’ d’inverno, perché era troppo freddo e brutto, visto che noi si andava a piedi, ma in primavera e d’estate quel percorso era una goduria.
Si andava a piedi come tutti, era normale farlo… i contadini erano un popolo di appiedati.
Quel giorno però era un viavai più degli altri giorni. Per me una festa. Grandi piccini e vecchi si incamminavano… ti salutavano… si fermavano a scherzare… facevano un pezzo di strada con noi… e quindi godevo di uno spettacolo privilegiato fatto di personaggi particolarmente particolari e di tutti i tipi.
Vedevi le massaie con quelle sporte di paglia classiche toscane cariche di uova o conigli o polli da vendere, legate alla in bicicletta se ne possedevano una. Si chiamavano quelle borse, “le sporte con le code”, perché quando le donne andavano si vedevano spuntare da dentro le code dei polli… e quando ritornavano vedevi uscire dalle stesse, le code dei baccalà che era stato preso in cambio di qualche vendita.
Le massaie vendevano quel poco che avevano in più per comprare altri generi alimentari come il baccalà per esempio, che insieme a tanta polenta e tante zuppe di pane era un alimento presente su tutte le mense della zona.
Noi non si andava per comprare generi alimentari… “avevamo del nostro”…come diceva nonna…che poi era come quello che avevano gli altri.. quindi all'epoca al mercato non è che si dovevano fare grandi spese e di conseguenza non avevamo grossi carichi da portare, ma siccome a me piaceva tanto, nonna a volte, invece di andare a piedi prendeva “il legno”.
Era chiamato così un carro trainato dal cavallo e chiuso con un telo sopra proprio come una diligenza, guidato da un vetturino. Si saliva da dietro con un predellino e nell'interno erano previsti una decina di posti o anche più, su panchine di legno appunto, messe di lato.
Erano gli autobus di allora e facevano servizio proprio il giovedì. Ne partivano da diverse zone e frazioni, caricavano per strada le persone, le portavano al paese e poi tornavano e ricominciavano il giro.
“Te un chiacchierà tanto- mi diceva nonna sottovoce mentre mi caricava sopra- se tu devi dì quarcosa me l'hai addì primaammè … e un chiede nulla... ringrazia se ti arriva una caramella, eppoi un fissà la gente con quell'occhiacci... un mi fa fa' figure, hai capito!”
Come facevo a non fissare la gente.. mi piaceva...la gente intendo … osservavo tutto, e come diceva nonna piantavo gli occhi addosso a qualcuno e non glieli levavo più. Mi pareva di entrare nella persona, e da come queste si muovevano o da come erano le fattezze del viso, le espressioni, capivo, e in qualche modo partecipavo alla vita che avevano da chissà quale parte e che perdevo non appena scendevano coi loro fagotti.
Immaginavo una vita molto simile alla nostra per quei contadini, ma anche lì c'era chi era meglio vestito e allora pensavo doveva essere più ricco di noi, o invece chi era più povero e si vedeva dai cenci che indossava e soprattutto dagli odori che si tirava dietro, anche se gli odori in quel mio mondo popolato di vecchi erano normali, c'ero abituata.
Mi piaceva guardare il viso di quelle persone e quasi contare le rughe di quei volti. Volti scuri , bruciati dal sole o vizzi incartapecoriti, anche se poi ti accorgevi che magari erano più giovani di nonna. C'erano uomini solari e altri bruschi, oscuri, c'era che mi rivolgeva un sorriso sdentato e chi mi guardava torvo sotto il cappello se era un maschio, o sotto la pezzola classica se era una femmina. Le donnine le guardavo tutte, perchè dal viso si capiva di che indole erano, se erano meste o forti. E ce n'erano di beghine stizzose, si vedeva dalla bazza tirata e dalla bocca che era di solito una smorfia, il buono lo ricavavo dal viso di nonna, e poche ne vedevo come lei, la maggioranza della gente, eran donne e uomini più che brutti, abbruttiti da una vita di miseria.
Si arrivava al paese, sia in carro che a piedi, dopo aver attraversato una campagna che pareva dipinta e disegnata col righello, tanto era precisa e ben tenuta; si arrivava dalla vecchia strada, c'era solo quella, nella piazza d'entrata, che era il posto dove si intrattenevano i sensali, dove si facevano affari e si concludevano patti di vendite. Era piena di uomini in piedi infatti che chiacchieravano e fumavano e ridevano fra loro. Da lì si cominciava il nostro giro.
Le piazze centrali vecchie servivano ognuna ad uno scopo diverso. Comunicanti e medievali erano usate una per gli animali, una per la frutta e verdura e una per le granaglie, infatti prendevano il nome dall'uso e anche se avevano nomi diversi, venivano chiamate solitamente, la piazza dei polli, o del grano, o della frutta. Erano attraversate da piccole vie dove si affacciavano le più svariate botteghe di artigiani … bottai...maniscalchi, fabbri, funai, falegnami,vetrai, arrotini, ciabattini, stagnini, tutti mestieri ormai inesistenti.
Sempre all'inizio , sotto enormi pini erano posizionati i banchetti delle stoffe e merceria, che erano quelli che a me e nonna interessavano di più perchè a volte nonna comprava un grembiulino o una pezzolina nuova, o un fazzoletto da naso per sé e magari una stoffina di cotone a fiorellini per me, che poi mi avrebbe fatto cucire dall'Alaghise, la nostra sarta.
Comprava dai banchetti alimentari qualche caramella al miele o alla menta, e se riuscivo a convincerla qualche savoiardo per me... o a volte alla pasticceria proprio, mi prendeva una pastina... una... che dovevo mangiare rigorosamente a casa.
Ma il posto assolutamente che a me interessava di più quando si arrivava all'estate, e si andava al mercato, era la bottega dello zoccolaio, perchè era lì che nonna mi comprava ogni anno degli zoccoletti nuovi per la stagione estiva.
La bottega dello zoccolaio era vecchia e fresca, con un pavimento di mattoni. Al soffitto erano appese agganciate tutte le forme in legno di tutte le misure, da bambino e da grande, da uomo e da donna, pari pari o con un po' di tacco.
“Come li vuole questa bimba”- diceva lo zoccolaio alzandosi dal banchettino, quando io e nonna si entrava, capendo subito chi sarebbe stata la cliente .
Iniziava il battibecco fra noi due, lei voleva degli zoccoli semplici, io, vanitosa, li volevo diversi.
“Intanto metti il piede qui – diceva lo zoccolaio prendendo una forma di legno e mettendomici sopra il piede- così si vede la misura..”
Si ma già lì facevo storie perchè io non li volevo bassi. C'erano delle forme di legno con un po' di tacco, più a signorina insomma... ecco io volevo quelle.
“ E ti fanno male poi- insisteva nonna indicandomi quelle piatte e liscie- quelle vanno bene..”
Scuotevo il capo.
Lo zoccolaio capendo l'antifona e visto la tipina, tirava giù delle formine belline belline che finivano anche un po' a punta con un pezzetto di tacco dietro... deliziose...le provavo … ecco si... “E la tomaia come la voi ora?”- diceva sospirando e ridendo nello stesso tempo.
In pratica te li faceva al momento, sceglievi il sotto e il sopra che ti andassero bene e poi lui con due battute di chiodi te li rifiniva.
Ecco quello il punto … “Fattici mette questa a striscia intera”...- diceva nonna – tu li porti bene e un ti fanno male”...
La mia testa ricominciava a scuotersi e a guardarsi intorno.
Sceglievo invece delle striscioline intrecciate magari con qualche tocchino brillante. Un gruppetto di sei erano tenute insieme in un nodino centrale... ecco volevo quelle...
Lo zoccolaio non banfava e nemmeno nonna tanto sapeva che era inutile insistere, quindi in un baleno uscivo con li zoccolini ai piedi per ritornare verso casa.
E quante volte a casa in quelle estati ci son tornata con gli zoccoli in mano perchè poi aveva ragione nonna... mi facevano male, zoccoli in mano e anche a piedi, perchè con tutto il mio gingillarmi s'era fatto tardi e s'era perso il legno... allora io avanti spedita e zitta, e nonna dietro che bofonchiava... “Te l'aveo detto io!”
Dana Carmignani
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