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giovedì 28 giugno 2012

Identità e diversità secondo Kuehnelt-Leddihn-traduzione di Filippo Giorgianni

Cari amici ed amiche.

Sul sito di Ludwig von Mises Italia c'è questo brano scritto da Erik von Kuhenelt-Leddihin (1909-1999):

"Visti da una certa angolazione, siamo tutti soggetti a due spinte basilari: identità e diversità. Né nella vita delle persone né nella storia delle nazioni queste due spinte hanno sempre la medesima intensità e il medesimo equilibrio. Esse come si manifestano? Tutti noi sperimentiamo uno stato d’animo durante il quale sentiamo il desiderio di essere in compagnia delle persone della nostra stessa età o della stessa classe, sesso, convinzioni, religione o gusto.

Molto probabilmente, condividiamo con il mondo animale questa spinta verso la conformità, per una forte sensazione di identità che è come un istinto di branco, un comune e forte sentimento di comunità che guarda ogni altro gruppo con ostilità. Nelle rivolte razziali e nelle manifestazioni etniche, questo sentimento collettivo può mostrare una grande forza: l’istinto conformista del branco è stato, per esempio, il motore guida dietro le organizzazioni ginniche nazionaliste dei tedeschi e degli slavi, così potente nella prima parte di questo secolo. Guardando cinque o diecimila uomini e donne, vestiti identicamente, compiere i medesimi movimenti, si è assaliti da un’impressione irresistibile di omogeneità, sincronizzazione, simmetria, uniformità. L’identità e la sua spinta tendono all’autocancellazione, tendono a un «nostrismo» in cui l’ego viene eliminato.

Certamente, il «nostrismo» (termine creato dal nazionalsocialista austriaco Walther Pembaur) può essere, e di solito è, un’intelligente moltiplicazione degli egoismi. Chiunque esalti un’unità collettiva a cui partecipi (una nazione, una razza, una classe, un partito) esalta anche sé stesso. E dunque tutte le spinte verso la conformità non solo prendono posizione per l’uniformazione e si oppongono all’alterità, ma sono anche autoreferenziali. L’omosessualità possiede un aspetto di uniformazione a sé insieme a un rifiuto di stabilire un ponte – intellettuale, spirituale e psicologico –, a volte difficile, con l’altro sesso. Sotto questo aspetto, l’omosessualità è una forma di narcisismo, di immaturità e denota dei limiti da “sempliciotto”[2]. Fortunatamente, l’uomo nella sua maturità e nel pieno delle sue capacità non possiede solo spinte verso l’identità, ma anche verso la diversità, non solo un istinto del branco, ma anche un sentimento romantico. Più spesso che non, noi aneliamo ad incontrare persone del sesso opposto, un altro gruppo d’età, di mentalità, classe, persino di un’altra fede e convinzione politica.

Tutti i tipi di curiosità per il nuovo – il desiderio di viaggiare, di mangiare altri cibi, di sentire musica differente, di tenersi in contatto con varie culture e civiltà – derivano dalla tendenza alla diversificazione. Un cane non ha desiderio di viaggiare, né si oppone molto al cibarsi dello stesso cibo. Lo stadio della formica o della termite può rimanere inalterato attraverso i secoli. Ma il desiderio dell’uomo di cambiare produce risultati nella storia, come sappiamo. C’è qualcosa in noi che non sopporta la ripetizione. Questa brama per il nuovo può essere micidiale, certamente, se non viene fusa con un elemento di permanenza – e con la prudenza. In altri termini, condividiamo con le bestie l’istinto di cercare l’identità con l’altro; ma diventiamo completamente umani solo attraverso la nostra spinta e il nostro entusiasmo per la diversità.

Nonostante il pericolo, tutte le maggiori religioni teiste poggiano appieno su questo anelito, su questo amore per l’alterità. Anche se non sottoscriverei la formula di Karl Barth del Gott als der ganz andere(Dio come il totalmente altro), nessun teista può negare l’alterità di Dio. Noi siamo creati a Sua immagine, per quanto non siamo un facsimile di Dio. Questa è una ragione del perché l’Incarnazione smuova gli uomini così profondamente, del perché il primo Concilio Ecumenico si sia infuriato con asprezza con riguardo all’esatta natura dell’Incarnazione, del perché essa abbia dato origine a tragiche eresie e scismi.

Osservando queste due spinte, identità e diversità (entrambe hanno fondamenta psicologiche, ma solo la seconda possiede un carattere intellettuale), dobbiamo concludere che i tempi moderni sono molto più favorevoli all’istinto di branco che alla diversità. Questo potrebbe non essere di immediata evidenza, perché in qualche modo l’opposto sembra essere la regola: la brama di viaggiare può essere ora molto facilmente soddisfatta e nelle arti esiste una grande varietà di gusti e di scuole. Ma in altri più importanti reami, l’identità è stata favorita in ogni modo, in parte dalle passioni (per lo più di ordine animale) e in parte dalla moderna tecnologia e dalle procedure che formano la civiltà moderna. Sebbene sia di moda parlare del pluralismo dei nostri giorni, infatti, tutte le tendenze moderne puntano verso lo spettro di una terrificante, più grande e più spietata, conformità. A tal proposito, l’identità è una cugina dell’eguaglianza. Ogni cosa che sia identica è automaticamente uguale. Due monete da cinquanta centesimi della stessa provenienza non sono solo identiche, ma anche eguali. Due quarti sono uguali a una moneta di cinquanta centesimi, ma essi non le sono identici.

L’identità è uguaglianza: essa è eguaglianza a prima vista, un’eguaglianza che non necessita di alcun lungo ragionamento o accurata indagine per essere ritrovata. Di conseguenza, tutte le forme politiche o sociali che sono ispirate dall’idea di uguaglianza punteranno quasi inevitabilmente al concetto di identità e favoriranno l’istinto del branco, con il susseguente sospetto, se non avversione, per coloro i quali osino essere differenti o per coloro i quali reclamino una superiorità. C’è un’ottusa inclinazione animalistica verso la conformità sociale (l’identità) così come un programmatico e fanatico impulso in quella direzione. Nietzsche[3] ne era consapevole, così come lo era Jacob Burckhardt[4]. Il suo motore portante è la paura, proveniente da un complesso d’inferiorità che genera l’odio, e l’invidia come sua sorella di sangue. Questa paura deriva dal sentirsi inferiori a un’altra persona (o ad una situazione); l’odio è possibile solo attraverso il sentirsi impotenti davanti a una persona più forte. Uno schiavo debole e imbelle può temere e odiare il suo padrone; il padrone, d’altro canto, non odierà ma piuttosto proverà disprezzo per il suo schiavo. Chi odia in tutto il corso della storia ha commesso orribili atti di crudeltà (la vendetta dell’inferiore)[5], mentre il disprezzo – spesso accoppiato a un senso di superiorità – ha prodotto crudeltà solo raramente.

La domanda di eguaglianza ed identità nasce precisamente al fine di evitare quella paura, quel senso di inferiorità. Nessuno è migliore, nessuno è superiore, nessuno si sente toccato, tutti sono “tranquilli”. Inoltre, se l’identità, se l’uniformità viene raggiunta, le azioni e le reazioni delle persone possono essere previste. Senza (sgradevoli) sorprese, emerge una calda sensazione collettiva di fratellanza. Questi sentimenti – questo rigetto della qualità (che ineluttabilmente differisce da persona a persona) – spiegano molte cose a proposito dello spirito dei movimenti di massa degli ultimi duecento anni. Simone Weil ci ha insegnato che l’“io” viene dall’uomo, ma il “noi” proviene dal Diavolo. L’altro fattore dell’identità è l’invidia. L’invidia possiede diverse e complesse radici psicologiche. C’è, prima di tutto, la strana sensazione secondo cui, qualunque situazione viva una persona, ciò dipenderebbe in qualche modo da qualcun altro: “Sono povero perché lui è ricco”. Questo sentimento intimo e spesso taciuto riposa sull’assunto che tutte le cose buone in questo mondo sono limitate. Nel caso del denaro, o più ancora nel caso della proprietà fondiaria, potrebbe avere qualche fondamento (da qui l’invidia enorme dei contadini per i beni immobili di qualcun altro). Questa contesa, tuttavia, è spesso inconsciamente estesa ai valori che non sono limitati. Isabella è bellissima; Luisa è brutta. Eppure la bellezza di Isabella non è il risultato della bruttezza di Luisa, né l’intelligenza di Roberto dipende dalla stupidità di Timoteo. L’invidia a volte usa inconsciamente un argomento statistico: “Non tutte le nostre sorelle possono essere belle, né tutti i nostri fratelli intelligenti. Il destino mi ha discriminato!”. Il secondo aspetto dell’invidia risiede nella superiorità di un’altra persona in un diverso ambito. Un’invidia bruciante può essere creata dal mero sospetto che un’altra persona si senta superiore a causa dello sguardo, dell’intelligenza, dei muscoli, dei soldi o quant’altro. Il solo modo per compensare è trovare qualità inferiori nella persona oggetto dell’invidia: “Lui è ricco, ma è cattivo”, “Ha successo, ma la sua vita familiare è miserabile”. Le carenze della persona invidiata servono quali consolazioni: a volte esse servono come accusa per attaccarla, specialmente se le sue carenze sono morali.

Negli ultimi duecento anni lo sfruttamento dell’invidia – la sua mobilitazione presso le masse – accoppiata alla denigrazione degli individui, ma molto frequentemente anche di classi, di razze, di nazioni, di comunità religiose, sono state la chiave del successo politico[6]. La storia del mondo occidentale dalla fine del diciottesimo secolo non può esser scritta senza tenere questo fatto sempre a mente. Tutti gli “ismi” sinistrorsi suonano intorno a questo tema: vale a dire, sul privilegio dei gruppi che sono oggetto dell’invidia e, al medesimo tempo, che vengono considerati inferiori in qualche aspetto intellettuale o morale. Essi non hanno diritto alla loro posizione di rilievo, bando alle ipocrisie. Essi dovrebbero adeguarsi, divenire identici al “popolo”, rinunciare ai loro privilegi, conformarsi. Se parlano un altro linguaggio, dovrebbero astenersi dal farlo in favore dell’idioma comune. Se sono benestanti, le loro ricchezze dovrebbero essere tassate maggiormente o confiscate. Se aderiscono ad una ideologia impopolare, dovrebbero rinunciarvi[7]. Ogni cosa speciale, ogni cosa astrusa, ogni cosa non facilmente comprensibile dai più, diventa sospetta e malvagia (come, per esempio, le sempre più “antidemocratiche” arte e poesia moderne[8]). Un tipo di minoranza impopolare che non può conformarsi e quindi è sempre in pericolo di essere esiliata, oppressa o massacrata, è la minoranza razziale.

Poiché – come sempre – l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù, il cattivo incitamento all’invidia non verrà mai pubblicamente invocato. La persona o il gruppo non conformisti, peccando contro il sacro principio dell’uniformità, saranno invece trattati come traditori e, se non sono traditori, la maggioranza invidiosa li spingerà in quella direzione (ancora nel 1934 alcuni ebrei tedeschi provarono a formare un proprio gruppo Nazista; essi consideravano ingenuamente l’antisemitismo una “fase passeggera”. Ma si può immaginare un ebreo tedesco nel 1943 non pregare per una vittoria Alleata? Essi sono stati spinti in quella direzione). Di conseguenza, essere diversi significa essere trattati da (o diventare un) traditore.

Persino laddove lo schema “nonconformista = traditore” non sia apertamente utilizzato, frequentemente esso si nasconde dietro la mentalità dell’uomo moderno, che si abbracci o meno direttamente il totalitarismo. Quante, tra le molte persone che rigettano sinceramente tutte le dottrine totalitarie, oggi sottoscriverebbero la famosa massima di Santo Stefano, Re d’Ungheria, che scrisse nel suo testamento al proprio presunto erede, Sant’Emerico: «Un regno con una sola lingua e un solo costume è una cosa stupida»[9]?

Unicità e conformità sono mischiati nelle nostre menti. La moderna fascinazione dell’uniformità è stata incrementata non solo dalla tecnologia che produce oggetti identici (un tipo d’auto di proprietà “comune” a mezzo milione di persone), ma anche dalla percezione subcosciente che l’uniformità sia legata alla compera a buon mercato e al fatto che essa rende più intelligibili le cose per le menti semplici. Leggi identiche, dimensioni identiche, lingua identica, identica valuta, potere politico identico (“una testa – un voto”), abiti identici o quasi identici (i blue-jeans maoisti): tutto questo sembra altamente desiderabile. Semplifica le cose. È più economico. Evita di far pensare. A certe menti pare addirittura “più giusto”. Ma queste tendenze identiche si imbattono in due ostacoli: la natura e l’uomo (che è parte della natura). Tra le due, la natura può più facilmente essere compressa dallo sforzo umano in modelli identici, come testimoniano certi tipi di giardinaggio o le colline che vengono livellate.

Ma inserire l’uomo in uno stampo identico è un’impresa più difficile, per quanto non priva di speranza per lo stolto che dichiari allegramente: “Tutti gli uomini sono uguali” e “Tutte le persone sono tra loro più simili che dissimili”. Ciò evoca Procuste, il leggendario predone sadico che stendeva le sue vittime su di un letto: coloro che erano troppo corti venivano stirati e martellati sino a giungere alla loro forma, coloro che erano troppo lunghi venivano tagliati alla giusta misura. Procuste è il precursore della tirannia moderna. Ma inevitabilmente il livellatore si scontra con il mistero della personalità. Gli esseri umani sono diversi. Sono diversi per età, per sesso; variano nella forza fisica, nell’intelletto, nell’educazione, nell’ambizione. Hanno differenti caratteristiche, diverse disposizioni e diversi tipi di memoria; essi reagiscono differentemente allo stesso trattamento (tutte cose che resistono all’egualitarista). Mentre il calzolaio dà per scontata la diversità, il grattacapo sorge per il calzaturiere. Se essa è naturale per la governante e non è un mistero per il genitore, può divenire un problema insolubile per l’insegnante di una classe di grandi dimensioni.

In effetti, i gruppi di rilevanti dimensioni tendono a rinunciare almeno in parte alla personalità. L’uomo-massa ha la tendenza a pensare, agire e reagire in modo sincronizzato con la folla (un fenomeno che può avere una spiegazione scientifica). Più precisamente, poiché l’identità umana è difficile da raggiungere, deve essere frequentemente approntato un mediocre succedaneo. Questo succedaneo è l’uguaglianza: ed essa è ugualmente inattuabile.

Di Erik von Kuehnelt Leddihn

Traduzione di Filippo Giorgianni
[1] Herman Borchardt, The Conspiracy of the Carpenters,Simon&Shuster,New York 1943.

[2] Il dottor Marcel Eck scrive in un suo saggio che l’«inferno dell’omosessualità» sta proprio nel fatto che essa evita il vero dialogo; l’amore omosessuale non è la ricerca di un altro, ma semplicemente una ricerca di se stessi. Cfr. Marcel Eck, Propos de la sexualité, in Idem, Qu’est-ce-que l’homme, Pierre Horay, Parigi 1955, p. 110.

[3] José Ortega y Gasset scrive: «Probabilmente l’origine della furia anti-individuale risiede nel fatto che nei loro cuori più intimi le masse si sentono deboli e indifese di fronte al loro destino. In una pagina amara e terribile Nietzsche nota come, nelle società primitive che erano deboli allorquando si confrontavano con le difficoltà dell’esistenza, ogni atto individuale e originale fosse un crimine e come l’uomo che provava a condurre una vita solitaria fosse un malfattore. Egli doveva comportarsi in ogni cosa al modo della tribù». Cfr. José Ortega y Gasset, Invertebrate Spain, traduzione di Mildred Adams, Norton, New York 1937, pp. 170-171. Sull’antagonismo tra libertà ed eguaglianza, liberalismo e democrazia, si veda anche Roger John Williams, Free and Unequal: The Biological Basis of Individual Liberty, University of Texas Press, Austin 1953; Alexander Dunlop Lindsay, The Modern Democratic State, Oxford University Press, Londra 1945, vol. I, pp. 46 e 79; Franz Schnabel, Deutsche Geschichte im Neunzehnten Jahrhundert, Herder, Friburgo in Brisgovia 1933, vol. II, pp. 97-98; Heinz Otto Ziegler, Autoritärer oder totaler Staat, J. C. B. Mohr, Tubinga 1932, p. 10; Wilhelm Stählin, Freiheit und Ordnung, in Der Mensch un die Freiheit, Neues Abendland, Monaco 1954, p. 17. Werner Jaeger pone l’accento sul fatto che Atene fosse democratica, che essa insistesse sull’ison (eguaglianza), ma non sulla libertà personale: cfr. Werner Jaeger, Paideia, Walter de Gruyter, Berlino 1954, vol. II, p. 104. Il professor Goetz Briefs ricorda che tutti i democraticismi (che egli distingue dalla democrazia) devono concludersi in un dispotismo dal momento che essi si oppongono alla realtà dell’uomo e della società: cfr. Goetz Briefs, Zwischen Kapitalismus und Syndakalismus, A. Francke, Berna 1952, p. 75. Herbert Marcuse, riferendosi a Hegel, giunge a conclusioni simili: cfr. Herbert Marcuse, Reason and Revolution, Boston Press, Boston 1960, pp. 242-243.

[4] Jacob Burckhardt nella sua lettera a Friedrich von Preen, datata 1 gennaio 1879 scrive: «Sei perfettamente nel giusto: si vuol educare la gente agli incontri. Alla fine, le persone inizieranno a gridare ove non formino folle di almeno un centinaio di componenti». cfr. Jakob Burckhardt, Briefe an seinen Freud Friedrich von Preen 1864-1893, Deutsche Verlaganstalt, Stoccarda 1922, p. 130.

[5] Friedrich Nietzsche, Werke, Kröner, Lipsia 1917, vol. XII, p. 140.

[6] Sull’invidia, si vedano i magistrali lavori di Gonzalo Fernández de la Mora, La invidia igualitaria, Planeta, Barcellona 1984; Helmut Schoeck, Der Neid, Karl Alber, Friburgo in Brisgovia 1966 e Idem,Recht auf Ungleichheit, Herbig, Monaco 1979.
La candida dichiarazione del Presidente Wilson poco prima dell’entrata dell’America nella Prima Guerra Mondiale fu: «La conformità sarà la sola virtù. E ogni uomo che rifiuti di conformarsi sarà sanzionato». Cfr. Harold U. Faulkner, From Versailles to the New Deal, Yale University Press, New Haven 1950, p. 141.

[7] La candida dichiarazione del Presidente Wilson poco prima dell’entrata dell’America nella Prima Guerra Mondiale fu: «La conformità sarà la sola virtù. E ogni uomo che rifiuti di conformarsi sarà sanzionato». Cfr. Harold U. Faulkner, From Versailles to the New Deal, Yale University Press, New Haven 1950, p. 141.

[8] Gran parte dell’arte moderna è simultaneamente: 1) una reazione contro la democrazia e il “populismo”, 2) una bufala enorme a spese degli ingenui, che sfrutta la loro ammirazione snobistica per i «Vestiti Nuovi dell’Imperatore» e 3) (a volte) un pizzico di Satanismo, una protesta contro la creazione di Dio. Ma ricordiamo che il superfuturista d’Italia, Marinetti, era un devoto fascista e che il nazionalsocialismo e il comunismo russo (dopo un periodo di accettazione) si sono rivoltati violentemente contro l’arte moderna (Khruschev pensava che tutti gli artisti moderni fossero omosessuali e quindi li faceva incarcerare). C’è, comunque, un’arte moderna legittima.

[9] «Monita quibus Stephanus filium Emericum instruxit, ut regnum recte pieque administraret», cap. VI, in Jacques Paul Migne, Patrologiae Cursus Completus, Series Latina, vol. CLI, pp. 124 e ss
.".

Lo devo proprio dire, sono onorato di avere una persona come Filippo tra i miei interlocutori.
Per me è un piacere interloquire con una persona come lui.
E' intelligente, colto e disponibile a dialogare.
E' una brava persona.
Ora, quello che c'è scritto è pienamente condivisibile.
L'uguaglianza non esiste.
Ogni uomo è diverso dl suo simile.
Questo non fu deciso dall'uomo ma da Dio.
Basti pensare ai doni dello Spirito.
Lo Spirito dà i carismo ad ogni uomo ed ogni uomo riceve doni diversi.
Leggete questo brano della lettera di San Paolo agli Efesini (capitolo 4, versetti 6-11):

"[6] Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
[7] A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.

[8] Per questo sta scritto:
Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri,
ha distribuito doni agli uomini.

[9] Ma che significa la parola "ascese", se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?

[10] Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.

[11] È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri,

[12] per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo,

[13] finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.".



Se Dio stabilì ciò, come può pretendere l'uomo di fare il contrario.  
La diseguaglianza non è un crimine.
Ogni uomo ha una sa funzione nella società.
E' un po' come nel corpo umano.
L'occhio è diverso dal cuore ed il fegato è diverso dalle ossa.
Eppure, ogni organo serve.
Lo stesso discorso vale per la società.
Ci sono i politici, gli imprenditori, gli operai, i preti, i contadini, gli insegnanti ed altri.
Ogni categoria ha la sua funzione.
Certo, ognuno deve rispettare l'altro ma la diseguaglianza in sé non è negativa.
Immaginate una società composta da soli politici, da soli operai, da soli preti, da soli contadini, da soli insegnanti o solo da qualsiasi altra categoria, escludendo le altre. 
Una società del genere sarebbe destinata allo sfascio.
Invece, la presenza di più categorie garantisce la sopravvivenza di una società.
Certo, non è escluso che un operaio possa diventare un politico o che un contadino possa diventare un imprenditore ma la presenza di più categorie è la situazione più naturale di una società umana.
Per questo, idee come il comunismo sono sbagliate.
Cordiali saluti. 

2 commenti:

  1. Grazie a te, caro Antonio. Sono onorato io della tua attenzione :)

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  2. Sono io che devo ringraziare te!
    Per me è un onore interloquire con una persona intelligente e saggia come te! :)

    RispondiElimina

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