Su "La Civetta", la rivista dell'Associazione Culturale "Pensiero e Tradizione" di Mantova, con la quale ho l'onore di collaborare, vi è un articolo (piuttosto lungo) che è stato da me scritto e che è intitolato "I dialetti italiani". Domani, presenterò questo mio articolo per la seconda fase dell'assessment che sto facendo presso la cooperativa "So.L.Co" di Mantova, per un inserimento lavorativo.
Sono una persona seria e quello che è riportato sul mio curriculum vitae non risponde al falso.
Io non dichiaro il falso.
Ora, in quell'articolo, tratto il tema dei dialetti italiani.
L'Italia è il Paese dei tanti dialetti che sono frutto della storia.
Inoltre, ci sono dialetti veneti e lingue straniere, come il tedesco in Alto Adige.
Ora, l'Italia è il Paese dei tanti dialetti, i quali sono parti della storia della lingua italiana.
Basti pensare alla lingua italiana moderna, che ufficialmente provenne dal calco fiorentino ma che in realtà subì l'influenza di altre parlate.
Penso, per esempio, alla Scuola Poetica Siciliana dell'imperatore Federico II.
Oggi, in nome del mondialismo, non solo vi è un pericolo per l'italiano (il quale è sempre più invaso dalle parole anglosassoni) ma anche gli stessi dialetti.
Anzi, ci sono dialetti che stanno scomparendo.
I dialetti rappresentano la storia di una lingua.
Per esempio, sapevate che il dialetto romanesco era della famiglia del napoletano e che poi subì l'influenza delle parlate toscane e persino della comunità ebraica?
In nome del mondialismo più sfrenato, noi stiamo perdendo la nostra identità.
Questo è il guaio.
Noi rischiamo di vedere scomparire la nostra lingua, la nostra cultura e persino il nostro cibo.
Così facendo, la nostra civiltà muore.
Questo ci deve fare riflettere.
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