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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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giovedì 26 aprile 2012

Roger Scruton, "Del buon uso del pessimismo (e il pericolo delle false speranze)"

Cari amici ed amiche.

L'ottimo Filippo Giorgianni mi ha fatto avere questa nota di Roger Scruton su Facebook:

"«Il poeta e storico Robert Conquest in un’occasione parlò di tre “leggi della politica”, la prima delle quali affermava che tutti sono di destra in merito a ciò che conoscono meglio[1]. Con l’espressione “di destra”, Conquest intendeva un atteggiamento sospettoso nei confronti degli entusiasmi e delle novità, e di rispetto per la gerarchia, la tradizione e le consuetudini ben fondate. Un indice di ignoranza, sosteneva, è il preferire l’originalità alla consuetudine, le soluzioni radicali all’autorità tradizionale. Certo, abbiamo bisogno di originalità, proprio come possiamo aver bisogno di soluzioni drastiche quando le circostanze cambiano in maniera radicale. Ma queste cose ci servono solo in situazioni eccezionali, e Conquest ci voleva mettere in guardia contro il desiderio di considerare ogni circostanza come un’eccezione. […] Ma ciò che Conquest intendeva ha un significato più ampio. Quando si tratta della nostra vita, delle cose che conosciamo e sulle quali abbiamo acquisito sia conoscenza sia competenza, adottiamo un punto di vista misurato. […] La levatrice che conosce il proprio mestiere rispetta e pratica le soluzioni verificate dalle generazioni che l’hanno preceduta, riconoscendo in esse un’autorità alle quali istintivamente obbedisce. Tuttavia misura le proprie valutazioni di contro a un sapere accumulato dalla tradizione, e se si assume un rischio, perché il problema che si trova ad affrontare manca di precedenti chiari, presta attenzione ai costi dell’eventuale errore, e si assicura che possano essere sostenuti. Una persona di questo tipo non è pessimista; la potremmo definire un’ottimista con degli scrupoli, una persona cioè che valuta la dimensione di un problema e che per risolverlo consulta il bagaglio di conoscenze accumulate nel tempo, affidandosi all’iniziativa personale e all’ispirazione quando non trova altra guida, o quando “un qualcosa” nella difficoltà che si trova ad affrontare innesca una determinata reazione in lei. In tutte le cose che conosciamo meglio, e in tutte le relazioni che ci sono care, il nostro atteggiamento è, o lo è normalmente, altrettanto scrupoloso. Abbiamo acquisito tutta la competenza possibile e sappiamo dove cercare consiglio e guida. E quando andiamo incontro a debolezze, oppure commettiamo degli errori, ci sforziamo di migliorare. Siamo profondamente consapevoli di essere solo uno fra tanti nel nostro settore di competenza, siamo disposti a rivolgerci a chi ha conoscenza ed esperienza, e abbiamo più rispetto per il sapere accumulato dagli altri che per il piccolo contributo che potremmo apportare noi stessi. È con educato senso della prima persona plurale che dispieghiamo quella conoscenza che è il nostro bene personale più sicuro. Questo ottimismo scrupoloso conosce anche gli usi del pessimismo, e sa quando ricorrervi per moderare i nostri progetti. Ci incoraggia a tenere in considerazione il costo del fallimento, a formarci un’idea del peggiore scenario possibile e ad avere piena consapevolezza dei pericoli di ciò che accadrebbe se il rischio non pagasse. L’ottimismo senza scrupoli non è affatto così. Fa dei salti logici che non si basano su atti di fede, ma sul rifiuto di ammettere che manca il sostegno della ragione. Non tiene conto del costo del fallimento, né immagina il peggior scenario possibile. Al contrario, è caratterizzato da quella che potrei chiamare la fallacia della “migliore delle ipotesi”. Davanti alla necessità di operare delle scelte in condizioni d’incertezza, immagina il miglior risultato possibile e presume che non serva considerarne altri. Si vota a quell’unico risultato e, o dimentica di mettere in conto il costo del fallimento, oppure – e questo nel suo aspetto più pernicioso – fa in modo che tale costo ricada su qualcun altro. La fallacia della migliore delle ipotesi caratterizza la mentalità del giocatore d’azzardo. A volte si dice che i giocatori siano persone capaci di assumersi dei rischi e che questa loro qualità sia degna d’ammirazione, poiché hanno il coraggio di rischiare ciò che possiedono nel gioco che li appassiona. In realtà, ciò è tutt’altro che vero. I giocatori d’azzardo non sono persone capaci di assumersi dei rischi; giocano aspettandosi solamente di vincere, spinti dalle loro illusioni a bearsi di un senso di sicurezza irreale. Ai loro occhi, non si stanno affatto assumendo dei rischi, ma procedono semplicemente verso un obiettivo predeterminato con la piena collaborazione della loro abilità e della loro sacrosanta fortuna. Hanno preventivato il miglior scenario possibile, nel quale la fortuna è assicurata dalla loro maestria nel lancio dei dadi, ed è questo il risultato al quale tendono, inesorabilmente. Lo scenario peggiore, nel quale loro, e le loro famiglie, si ritrovano in rovina, qualora mai si affacci alla loro mente, la considerano una fatalità di cui loro non hanno colpa, un brutto colpo del destino che sarà certamente compensato da un successo futuro, e che in sé diviene quasi una fonte di piacere poiché rende ancora più inevitabile la futura vittoria. È il carattere del personaggio descritto da Dostoevskij ne Il giocatore, oltre che il suo stesso carattere, che causò la rovina sua e della famiglia. Ed è anche il carattere dell’ottimista senza scrupoli, in ogni ambito. Un esempio ancora più significativo lo troviamo nell’attuale “stretta creditizia”. Sono numerosi i fattori che hanno concorso a produrre questa crisi, ma non dobbiamo guardare troppo lontano per capire che al cuore di tutto c’è la fallacia della migliore delle ipotesi. Le prime avvisaglie si possono rintracciare nel Community Reinvestment Act, trasformato in legge dal presidente americano Carter nel 1977. Secondo questa legge, le banche e le altre istituzioni prestatrici devono offrire mutui ipotecari in modo da rispondere “ai bisogni delle comunità” nelle quali operano, e soprattutto ai bisogni delle famiglie a basso reddito e appartenenti alle minoranze. In breve, chiede loro di mettere da parte il normale modo di ragionare dei prestatori di denaro in merito alla sicurezza di un debito, e di offrire il credito come parte di una politica sociale e non come una transazione d’affari. Il ragionamento sottostante la legge era un impeccabile atto di ottimismo, a partire dallo scenario della migliore delle ipotesi, nel quale gruppi altrimenti svantaggiati sarebbero così ascesi al novero dei proprietari di casa, il primo passo verso la realizzazione del sogno americano. Tutti ne avrebbero tratto benefici, e nessun’altro più delle banche, che in tal modo aiutavano le proprie comunità a prosperare. Di fatto, ovviamente, le banche che avevano subito pressioni affinché ignorassero i vecchi requisiti della prudenza, e alle quali era stato proibito per legge di tener conto della peggiore delle ipotesi, finirono inesorabilmente con l’accumulare insolvenze, il che alla fine portò alla “crisi dei mutui subprime” del 2008. Nel frattempo, altri operatori avevano iniziato a immettere sul mercato questi debiti. Dopo tutto, la prospettiva del miglior scenario possibile ci dice che un mutuo, essendo basato su una casa, e quindi sul maggior investimento del mutuatario, non può non ripagare gli interessi. E un mutuo ipotecario a tasso fisso può essere venduto con un profitto, quando i tassi d’interesse scendono al di sotto del tasso concordato. Il peggior scenario possibile – talmente ovvio che nessuno si preoccupò di controllarlo – ci dice che, quando i tassi d’interesse scendono, il denaro perde il suo valore, e i tassi fissi diventano più difficili da pagare. Il debito si trasforma in insolvenza, indipendentemente da quanto fosse stato investito nella casa che gli fa da garanzia. Alcuni sosterranno che in questo caso il problema non sia nell’ottimismo in sé, ma nella visione irrealistica della natura umana che ne sta alla base. A me sembra, però, che l’errore sia ancora più profondo. Esiste una sorta di dipendenza da illusione che informa le tipologie più distruttive di ottimismo: il desiderio di cancellare la realtà come premessa dalla quale far partire il ragionamento pratico, e di sostituirla con un sistema d’illusioni compiacenti. Il “futurismo” è così. L’esaltata descrizione di possibilità future che troviamo negli scritti di Buckminster Fuller[3] e Ray Kurzweil, e nelle fantasie di trans-umanisti e cybernerds, deve la sua capacità d’attrazione alle irrealtà che evoca nella mente del lettore. In questi scritti troviamo il richiamo profondo del tempo futuro. Cambiando un “è” con un “sarà” permettiamo all’irreale di vincere sul reale, e a mondi senza limiti di cancellare quelle limitazioni che ben conosciamo. La stessa dipendenza dall’irrealtà può essere vista nell’atteggiamento nei confronti del credito. Una piccola dose di pessimismo ci avrebbe ricordato che, quando le persone finanziano i propri consumi ricorrendo a un prestito da ripagare in futuro, trattano un bene irreale – la promessa di una produzione futura – e che possono sorgere un migliaio di contingenze che impediscono che tale bene venga realizzato. Un’economia del credito, di conseguenza, dipende da una fiducia condivisa nella natura umana e dal potere delle promesse, in circostanze in cui l’obbligo di mantenerle è sempre meno riconosciuto, proprio perché le persone stanno prendendo l’abitudine di posporre i propri debiti. In queste circostanze subentra una particolare illusione. La gente smette di vedere il mondo finanziario come un mondo composto da esseri umani, con tutte le loro debolezze morali e gli schemi di tornaconto personale, e lo vede come un qualcosa composto da grafici e indici, cifre che a loro volta rappresentano quote, tassi d’interesse e valute, tutte cose che possono essere scambiate con l’energia umana, ma che di per sé sono solamente delle astrazioni, il cui valore economico dipende solo dalla fiducia che le persone ripongono in esse. Il mercato finanziario assume, nelle loro teste, le caratteristiche di un grande cartone animato, in cui le cose si muovono su uno schermo come se fossero sospinte da vita propria, e questo nonostante il fatto che lo schermo in sé sia solamente una lontana proiezione delle azioni e dei desideri delle persone. La verità morale fondamentale, che una piccola dose di pessimismo avrebbe reso d’importanza cruciale per tutte le decisioni dalle quali dipende il mercato, è che il credito si basa sulla fiducia, la fiducia dipende dal nostro senso di responsabilità e, in un’economia di credito nella quale la gente vuole godere subito del possesso di qualcosa e pagare in un secondo momento, il senso della responsabilità è in costante diminuzione, fuoriuscendo dal sistema attraverso lo stesso meccanismo che da esso dipende.»

[1] Le altre due leggi sono: 2. Qualsiasi organizzazione che non sia esplicitamente di destra prima o poi diviene di sinistra, e 3. Il modo più semplice per spiegare il comportamento di un’organizzazione burocratica è presumere che sia controllata da una cricca di suoi nemici.

[3] Oggi quasi dimenticato, questo trans-umanista avant la lettre negli anni ’60 era il beniamino di architetti progressisti, riformatori sociali e panglossiani. Si veda Buckminster Fuller, in Roger Scruton,The Politics of Culture and Other Essays, Carcanet, Manchester 1981.
".


Innanzitutto, faccio i complimenti a Filippo Giorgianni e lo ringrazio dello spunto che mi ha dato. 
Essere di destra non significa essere tetragoni di fronte ad ogni cosa nuova e grettamente conservatori.
Essere di destra significa essere attaccati ai valori più comuni di coloro che vivono nella propria realtà, senza trascurare i cambiamenti che avvengono.
Essere di destra significa dare delle speranze in base alle potenzialità della propria realtà, senza voli pindarici.
Questo distingue la destra dalla sinistra.
La sinistra (specialmente quella comunista)  instilla false speranze, arrivando ad incitare all'odio e all'invidia sociale, per "fare un mondo migliore".
Questa è la peggiore delle false speranze 
Io penso che oggi ci siano tante persone (politici in primis) che alimentano false speranze.
Un esempio è Barack Hussein Obama, il presidente degli Stati Uniti d'America.
Egli, ad esempio, aveva fatto una riforma della sanità di stampo europeo una riforma che "avrebbe stabilito una maggiore eguaglianza" del diritto alle cure mediche.
Purtroppo, con la crisi che c'è, quella riforma della sanità ha creato dei problemi perché ha pesato sulle casse del Paese.
Il discorso vale anche per i vari europeisti italiani che hanno visto nell'Unione Europea e nell'Euro la panacea.
Oggi, la storia li sta smentendo.
Allora, queste parole di Scruton sono molto attuali.
Riflettiamo.





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