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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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giovedì 14 luglio 2011

LAUREA E PROGRESSO, CON NOTA DI FILIPPO GIORGIANNI

Cari amici ed amiche.

Il Ministro dell'Istruzione e dell'Università, onorevole Mariastella Gelmini, ha proposto l'abolizione del valore legale dei titoli di studio.
Io sono favorevole a ciò e spiego anche il perché.
In Italia esiste un paradosso.
In tanti si laureano ma sono pochi quelli che studiano. Quindi, tante lauree sono solo pezzi di carta senza valore.
Eppure, questi pezzi di carta diventano un vincolo per la ricerca del lavoro e per l'accesso a taluni concorsi e quant'altro.
Ora, una situazione del genere sarebbe normale se alle lauree corrispondesse un buon livello di preparazione che sia ad esse proporzionato.
Molto spesso non è così.
Ci sono tanti laureati che non hanno un buon livello di preparazione.
Questo avviene perché la nostra università non è meritocratica.
Ora pongo una domanda.
Perché l'università non è meritocratica?
Il motivi è molto semplice.
L'università italiana si è sempre avvalsa di fondi pubblici. In molti casi, essa ha speso i soldi molto male, favorendo le "baronie", ossia quei professori molto influenti che si creano le "corti" di "discepoli", scelti spesso senza criteri meritocratici.
Le "baronie" sono retaggio del '68, quell'annus horribilis per tutta la gioventù.
Ora, il fatto che la pubblica istituzione abbia sempre elargito tanti fondi all'università è stato un male.
Infatti, l'uso fatto dalle "baronie" non è sempre stato positivo.
Questo determina la situazione. Vi sono tanti "dottori", "ingegneri" e "professori" che non sono formati e, quindi, sono degli incapaci. Ciò che è ancora rende più grave la situazione è il fatto che, oltre ad essere carenti di nozioni, questi laureati siano non abbiano giusti valori, come il rispetto verso gli altri e verso sé stessi e la cultura del merito. Ciò è colpa della politica ed in particolare dell'ideologia figlia del '68 che si è annidata nelle fila dei professori e degli studenti universitari.
I fautori di questa ideologia predicavano l'"eguaglianza" ma, di fatto, sradicarono la cultura del merito ed i valori tradizionali come il concetto di sacralità della vita e quello di inalienabilità della famiglia.
E' giusto che l'università torni, prima di tutto, a formare i ragazzi e non a "sfornare" lauree.
L'università deve formare i ragazzi sia sul piano culturale e sia su quello umano.
Ciò può avvenire solo con la regolare frequenza dei corsi e dei luoghi dell'università stessa, bar compreso. Qui, infatti, gli studenti possono socializzare. Anche la socializzazione aiuta a formare gli uomini del domani.
Questo non lo dico io come non lo dice nessun altro "pericoloso berlusconiano" o uomo di destra come me.
Lo sostiene un tale Philippe Daverio, uno che la pensa in modo diverso dal mio.
E allora, smettiamola di difendere l'indifendibile.
Ad esempio, facciamo sì che le università si reggano con fondi privati. Questo ridurrebbe il raggio d'azione dei baroni perché il privato vuole vedere i frutti e ciò che non porta frutti (e quindi profitto) viene eliminato.
Ora, qualcuno storcerà il naso di fronte a questa mia affermazione. Infatti, per certi "moralisti" questa logica è quasi "sacrilega".
Essi, i "moralisti" sono quelli che difendono a spada tratta l'attuale sistema vizioso e che vedono in ogni riforma il male.
I "moralisti" sono quelli che difendono questo sistema dei succitati "baroni" spesso foraggiati dai continui investimenti pubblici a pioggia e senza alcun controllo.
Questa non è buona università.
La buona università è quella che forma le persone sia sul piano culturale che umano.
La buona università è quella che non trasmette solo le nuove conoscenze ma anche quei valori radicati nell'uomo, come la lealtà, il rispetto verso gli altri e la cultura del merito.
Sono valori "antichi" ma sempre attuali.
In tale senso, voglio farvi leggere questa bellissima nota scritta dall'amico Filippo Giorgianni su Facebook.
Essa è tratta da un testo di Mortimer Adler, "God and modern man". Il vero progresso passa attraverso la conservazione di quei succitati valori che sono propri della nostra tradizione cristiana.
Ecco la nota e buona lettura:

"«Novità e progresso. Una passione per la novità sembra ossessionare molti nostri contemporanei, lasciandoli a una frenesia verso l’innovazione in tutte le cose e ad un amore per la novità fine a se stesso. Ma il progresso e la novità non sono la stessa cosa. Il nuovo come tale, come semplice nuovo, non è buono né cattivo, non è vero né falso, non è migliore o peggiore del vecchio. Il progresso, come ogni studente sa o dovrebbe sapere, non è il solo cambiamento, ma il cambiamento finalizzato al miglioramento, un cambiamento misurato da un’unità di misura che ci permetta di giudicare entrambi, vecchio e nuovo, e di compararne i meriti alla luce del medesimo sistema valoriale. Inoltre, il progresso è conservativo, perché è cumulativo, non sostitutivo. Esso non consiste semplicemente nel sostituire il vecchio con il nuovo. La sostituzione di una cosa con un’altra può lasciarci girare in modo circolare, senza avanzare né declinare. Per costituire un avanzamento genuino, il progresso deve conservare tutto ciò che di buono e vero vi sia nel vecchio e deve trasformarlo tramite l’addizione del nuovo, portando come risultato a un bene più grande o una verità più estesa. Stando così le cose, l’unico giudice legittimo, che possa dire quanto un cambiamento sia genuinamente un passo del progresso, è colui che sia adeguatamente e simpateticamente edotto delle conquiste del passato e che possa formulare e sostenere i criteri morali o intellettuali con i quali accertare se il nuovo sia un avanzamento nella bellezza o nella verità. Se uno è ignorante del passato, così come lo sono molti tra i nostri contemporanei (anche coloro che si reputano uomini e donne istruiti), egli è presumibile consideri novità qualcosa che in realtà non lo è affatto. E, se non avrà chiari i criteri con cui valutare i cambiamenti che prendono piede, non potrà sostenere il giudizio col quale riconoscere se la novità, persino ove questa impedisca una genuina novità, sia realmente un avanzamento. Qui noi vediamo come esista un paradosso: cioè, la maggior parte dei nostri contemporanei, che applaudono alle novità, difettano concettualmente o ricusano i molti criteri a cui dovrebbero appellarsi in genere per affermare che le novità, a cui applaudono, costituiscono il genuino progresso. Lasciatemi dire incidentalmente che io sono per il progresso nelle questioni umane e che penso il progresso sia stato prodotto non solo nella tecnologia e nella scienza, ma anche in filosofia e persino nella teologia e nella religione (il movimento ecumenico e il lavoro del Concilio fanno parte dei casi in questione). Ma molte delle novità che sono applaudite dai nostri contemporanei – specialmente nelle arti, nella filosofia e nella teologia – non sono progresso. Molte di esse non sono neppure novità. Esse appaiono esserlo soltanto a coloro che ignorano il passato.»

«Novelty and progress. A passion for novelty seems to obsess many of our contemporaries, leading to a frenzy of innovation in all things and a love of novelty for its own sake. But progress and novelty are not the same. The new as such, simply as new, is neither good nor bad, neither true not false, neither better nor worse than the old. Progress, as any schoolboy knows or should know, is not just change, but change for the better, change measured by a standard that enables us to judge both the new and the old, and to compare their merits in the light of the same set of values. Furthermore, progress is conservative, because it is cumulative, not substitutional. It does not consist simply in replacing the old with the new. The substitution of one thing for another would leave us going around in a circle, neither advancing nor declining. To constitute a genuine advance, progress must conserve whatever was good or true in the old and transform it by the addition of the new, resulting in a greater good or a larger truth. These things being so, the only sound judge who can say that a change is genuinely a step of progress is one who is thoroughly and sympathetically acquainted with the achievements of the past, and one who can formulate and defend the moral or intellectual standards by which he assesses the new as an advance in goodness or truth. If one is ignorant of the past, as so many of our contemporaries are (even those who regard themselves as educated men and women), one is likely to treat as a novelty something that is really not a novelty at all. And if one does not have clear standards by which to evaluate the changes that are taking place, one cannot defend the judgment that the change, even if it involves a genuine novelty, is really an advance. Here we see that a paradox exists: namely, that many of our contemporaries who applaud novelties in thought lack or deny the very standards to which they would have to appeal in order to claim that the novelties they applaud constitute genuine progress. Let me say in passing that I am for progress in human affairs and that I think progress has been made, not only in technology and in science, but also in philosophy, and even in theology and in religion. (The ecumenical movement and the work of the Council are cases in point.) But many of the novelties that are applauded by our contemporaries — especially in the arts and in philosophy and theology — are not progress. Many of them are not even novelties. They only appear to be so to those who are ignorant of the past.»"

Cordiali saluti.

6 commenti:

  1. Caro Fucilone, l'obiettivo della laurea è il primario obiettivo che ci si pone durante la vita studentesca... io sono d'accordo nel dire che ci sono tante lauree inutile tipo "Scienza delle X, Accademia delle Y, Scienza delle Z"... che sono facilemte conseguibili ma che poi hanno pochissimi sbocchi lavorativi! Ti dico solo che qualche giorno fa una persona che conosco si lamentava dell'esame di "Storia della Televisione".... dicendo fosse difficile... quasi impossibile da superare! Lui studia DAMS (una di quelle facoltà che obiettivamente non ne vedo l'utilità) e stava studiando Mike Bongiorno e Pippo Baudo.... capisci??????? sai come mi si sono girate le scatole a me, soprattutto pensando al fatto che un mio esame ad Ingegneria Civile durava mediamente 1 ora di orale (quando durava poco) solo ed esclusivamente se avevi passato lo scritto??? Ti dico solo che Scienza delle Costruzioni, la materia principe di ingegneria civile, mi è durato 3 ore di orale con il prof... questo per dire che, togliere il valore legale ad alcune facoltà (Medicina, Ingegneria; Giurisprudenza) che cmq sono sicuramente (e questo bisogna riconoscerlo) molto più impegnative di altre... sarebbe una cavolata... già ci sono delle cose ingiuste (fatte dalla riforma moratti) tipo l'accorpamento degli albi professionale... un ingegnere civile (che comunque segue un percorso di studi mirato) secondo tale riforma ha le stesse competenze di un ingegnere ambientale, o edile, che ti posso garantire ne sanno 1/4 di sismica e costruzioni... detto questo, la laurea qualunque essa sia è un obiettivo importante... che poi ci siano persone che la raggiungono immeritatamente è un altro conto... ma allo stesso tempo ci sono persone non laureate che occupano posti in uffici pubblici e/o privati solo perchè sono parenti o figli dello zio, dell'assesore e del nonno... quando invece quel posto spetterebbe ad un laureato meritevole!

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  2. Guarda che la riforma del ministro Gelmini punta alla meritocrazia e a ridurre le "baronie" nelle università.
    Infatti, farà sì che quelle facoltà inutili vengano tolte, perché non verranno più finanziate.
    Io ti dico che ci sono tanti laureati che non sanno nulla.
    La laurea in sé non è niente, se non c'è dietro un'adeguata formazione.
    Prima di deve essere una seria formazione, fatta di teoria e di pratica.
    Senza una formazione adeguata, la laurea è solo un pezzo di carta.
    Che poi ci siano dei "raccomandati" laureati e non è sotto gli occhi di tutti e lo so per esperienza personale.

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  3. Che la laurea in sè non è niente ... non te lo lascio dire.... perchè comunque per arrivarci devi fare enormi sacrifici.... economici e personali... la formazione avviene proprio durante il percorso di laurea... e poi ovviamente continua sul campo quando si inizia a lavorare... la laurea è un punto di partenza non un punto di arrivo...

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  4. Perché una laurea sia veramente tale deve (e sottolineo DEVE) avere alle spalle un percorso di formazione adeguata.
    Io non metto in dubbio i sacrifici personali (anche se vi è chi percorre altre vie) ma se uno si fregia del titolo di "dottore", "ingegnere" o "professore" deve dimostrarlo "sul campo", mostrando le proprie competenze.
    Se queste competenze ci sono, la laurea vale.
    In caso contrario, la laurea rischia di diventare solo un comune pezzo di carta.

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  5. Si vede che non hai fatto questo percorso... quindi parli da esterno... ti posso garantire che la formazione avviene sul campo... cioè quando inizi a lavorare ti rendi conto di come la professione che eserciti sia cosi ampia che il percorso di studi nn può toccare tutto quello che potrebbe capitarti... la laurea ti deve dare le basi e le giuste nozioni... poi applicando queste nozioni fai formazione...

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  6. La laurea deve essere funzionale al percorso di studi e non il contrario.
    Ergo, una buona formazione deve essere sul campo già dall'università, se non dalle scuole superiori, con gli stages.
    La laurea non deve portare le nozioni ma deve essere una certificazione del possesso delle stesse.
    La tua spocchia non ti aiuta.

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