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giovedì 18 agosto 2011

POLITICA, SERVE RESPONSABILITA'!

Bersani: «Nel Paese clima pericoloso potrebbe bastare una scintilla»

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di Barbara Jerkov

ROMA - Il vertice franco-tedesco è la principale novità politica delle ultime ore sul fronte crisi. C’è chi parla di montagna che ha partorito il topolino. Qual è il suo giudizio, onorevole Bersani?
«Dopo l’euro l’Europa ha ripiegato nelle dimensioni nazionali, territoriali, corporative. Le destre hanno fatto le loro fortune su questo ripiegamento. Adesso timidamente allungano la testa verso quel che ci vorrebbe ma non hanno la forza per dire chiaramente: serve una Maastricht numero due che dia finalmente una dimensione politica all’Europa. Non ci arrivano perché tutte quelle formazioni sono trattenute da spinte conservatrici e populiste. Solo da una piattaforma progressista può partire un programma comune di costruzione europea. Non capiscono che se andiamo avanti così, a vertici più o meno inconcludenti, i mercati ci ammazzano uno a uno».

Non salva nemmeno il via libera di Merkel e Sarkozy alla Tobin Tax?
«E’ un anno che le forze progressiste europee hanno messo tra le loro proposte la tassa sulle transazioni finanziarie. Non è possibile che l’enorme mole dei debiti pubblici nati dalla crisi finanziaria ricaschi sul welfare e sull’occupazione e non venga pagata dalla finanza. Solo che avremmo dovuto farla già l’anno scorso. Ora la ipotizziamo. Cosa dire? Alla buon’ora».

E il ruolo del nostro Paese, segretario? L’Italia come si sta muovendo in questo contesto europeo?
«Siamo qua a far da spettatori all’ultimo banco. Prima di ogni altra considerazione, provo un’amarezza profonda. Siamo il secondo Paese industriale d’Europa, un Paese fondatore, non è possibile che ci siamo ridotti in questi termini. Quando parliamo dell’Europa che vorremmo parliamo dell’Europa di Delors e di Prodi, adesso siamo sullo strapuntino e non so quanto tempo ci vorrà per rimontare».

Proprio Prodi ha scritto l’altro giorno che non esistono manovre non dolorose. Gli italiani sono pronti a sacrificarsi o la stanchezza ormai prevale?
«C’è in questo momento in Italia una paura, un’incertezza, un disamore e uno scoramento che non ha precedenti. C’è anche un distacco pericoloso dalla politica e dalle istituzioni. Temo che questo dato sia largamente sottovalutato. La temperatura è molto più alta di quel che comunemente si pensi».

Sta dicendo che teme un autunno caldo in termini anche di ordine pubblico?
«Non lo so, basta una scintilla perché queste cose possano certamente sfociare in ribellismi. O può essere anche una tensione sorda e forse perfino più pericolosa, un disamore totale. E’ evidente, come dice Prodi, che ogni manovra in qualche misura è depressiva, però c’è modo e modo».

E qual è il modo giusto per chiedere sacrifici a un Paese?
«Punto primo: dev’esserci uno sforzo comune dove chi ha di più dà di più. Punto secondo: chi chiede questo sforzo civico deve avere la faccia per farlo. C’è chi pensa che il Pd chieda un nuovo governo come se fosse un ritornello di chi sta all’opposizione. Invece no, no e tre volte no. La nostra è un’analisi altrimenti da qui a cinque mesi siamo da capo. Queste due condizioni oggi mancano: non c’è il volto giusto a guidarci fuori dalla crisi, e chi c’è non sta chiamando i cittadini affinché chi ha di più dia di più, ma schiaccia l’occhio ancora una volta a chi non vuol contribuire in niente alla salvezza comune».

Berlusconi però non ha chiuso alla tassa sui patrimoni scudati proposta dal Pd. Non è un segnale nella direzione che lei auspica?
«Dopo due nanosecondi che hanno approvato all’unanimità la manovra si sono messi a brancolare afferrando un pezzo di proposta di qua e un pezzo di là. Ma la nostra proposta è all’interno di un pacchetto».

Lo vuole ricordare?
«Nei nostri sette punti parliamo di lotta all’evasione fiscale ma anche di dismissioni, di un’imposta sui patrimoni immobiliari rilevanti, di liberalizzazioni, pubblica amministrazione, istituzioni e costi della politica. C’è l’una tantum sui patrimoni scudati e ci sono misure strutturali. Quell’una tantum noi la facciamo considerevole perché vogliamo usarla per lo sviluppo, per mettere in giro cinque-sei miliardi di pagamenti della pubblica amministrazione alle piccole imprese e almeno altrettanti per fare un piano di piccole opere nei Comuni che partano in sei mesi e generino lavoro. Quindi non mi vengano a dire che aggiungono l’uno o due per cento. In una situazione di emergenza come questa sarebbe solo l’ennesimo condono».

Ma chi farà mai più un condono se a babbo morto spunta una nuova tassa? Non è un precedente pericoloso?
«E io dico: alla buon ora. E’ tempo che di condoni non se ne facciano più».

Invece in queste ore si starebbe ragionando proprio di questo.
«Non voglio condoni, sono un disastro. Noi non ne abbiamo mai fatti».

Ci sono anche dubbi di costituzionalità, comunque.
«So già che ora si apriranno dibattiti di scuola, mi divertirò molto. Dicono: sullo scudo c’è un patto che viene meno. Perché, il Tfr congelato agli statali non è un patto che viene meno? E l’allungamento della pensione? E il contributo Irpef straordinario per quelli che le tasse già le pagano? E non ci si dica che i nomi degli scudati non sono rintracciabili perché gli intermediari finanziari sanno benissimo chi sono e dove sono. Siamo disposti a mantenere loro l’anonimato, sia chiaro, purché paghino».

Altri due aspetti di questa manovra di cui si parla meno ma non meno importanti. Il mercato del lavoro: il Pd affiancherà la Cgil nella mobilitazione contro la riforma?
«Il Pd è un partito, non un sindacato, e partecipa alle manifestazioni che hanno una qualche coerenza con il suo programma. Ciò premesso, presenteremo un emendamento al Senato in cui chiediamo di rimandare questo tema all’implementazione dell’ultimo accordo fatto con le forze sociali. Siamo pronti, se ritenuta necessaria, a una legislazione di sostegno di quell’accordo. Mettere i piedi nel piatto adesso, creando un nuovo fattore di divisione, è da irresponsabili».

Infine lo spostamento delle festività civili: 25 aprile, Primo maggio e 2 giugno. Passerà così?
«Si provi ad andare in Francia a spostare il 14 luglio! Non mi stupisco che il Paese abbia reagito tanto bene intorno al Tricolore nel Centocinquantesimo. Non di solo pane vive l’uomo: se vogliamo una riscossa civica dobbiamo avere le nostre solennità civili e tornare ai fondamentali di quel che ci unisce e ci fa sentire Nazione. Ragionando con piccoli calcoli di bottega non si fa il bene, neppure economico, del Paese».

Giovedì 18 Agosto 2011 - 11:54


Cari amici ed amiche.

Leggete questo articolo de "Il Messaggero" , in cui parla il segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani. Ho ritenuto che questo articolo sia interessante e, pertanto, ho deciso di commentarlo.
In questo articolo, Bersani ha affermato che nel Paese vi è un clima pericoloso che potrebbe bastare una scintilla e la situazione potrebbe sfociare in ribellismi.
Al segretario del Partito Democratico, vorrei rispondere dicendo che proprio perché vi è un clima di grave incertezza bisogna moderare i toni.
Anzi, la politica tutta ha il dovere di evitare certe situazioni. La politica, infatti, serve anche a questo, a garantire la civile convivenza tra i cittadini.
Bisogna evitare, ad esempio, lo scontro tra lavoratori autonomi (imprenditori) ed i lavoratori dipendenti.
Bisogna evitare anche lo scontro tra ricchi e poveri.
Siamo tutti sulla stessa barca. Questo Paese ha bisogno di riforme, in tutti i settori, dall'architettura dello Stato al mercato del lavoro. Per troppi anni, vi fu immobilismo e non fu fatta nemmeno una riforma. Ciò avvenne perché si volle mantenere la pace con i sindacati e con altri settori della società che posero sempre dei veti. Pensiamo, ad esempio, al mercato del lavoro o anche alle riforme costituzionali, come il federalismo. Oggi stiamo pagando il prezzo di ciò. Fu un compromesso scellerato che fece danni nell'andare del tempo. Siamo molto indietro. Riguardo alle feste civili, va detta una cosa.
Io penso che la vera unità di una nazione non si veda dalla partecipazione o meno alle feste civili ma dal concreto modo di stare nella nazione stessa, interessandosi di più alla politica e alla società in cui si vive. Io trovo che tengano unita la nazione certe cose di tutti i giorni, come il lavoro dell'operaio e dell'imprenditore, quello del medico che cura i malati, le opere di buoni politici o quello che fa un prete mentre celebra una Messa, fa opere di carità o dice anche solo una parola buona a chi ne ha bisogno. Per questo io trovo che sia ingiusto usare le feste civili ed il Tricolore come delle bandiere contro la parte politica avversa. Se si usano le feste civili ed il Tricolore come "bandiere di partito", il rischio è quello di creare divisioni e non di aggregare gli Italiani, cosa che una festa civile dovrebbe fare. Tutti noi, cittadini comuni e politici, dobbiamo avere toni più responsabili.
Cordiali saluti.











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