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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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domenica 14 agosto 2011

ARTICOLO SU GILBERT KEITH CHESTERTON DEL BLOG "EL MATINER CARLI'", LA MIA RECENSIONE

G.K Chesterton y la Verdad

Una de las enfermedades del mundo moderno es no creer en la verdad e intentar su destrucción bajo la práctica del relativismo. “No existe una verdad absoluta”, dicen, mientras la misma afirmación los hace caer en una afirmación en la cual, para ser aceptable, tiene que ser una verdad absoluta. Y esa misma contradicción ha penetrado, como humo de Satanás, en la misma praxis de muchos hombres de Iglesia. Chesterton, nos recuerda, que el falso ecumenismo practicado hoy no es nada más que una falacia y no es otra cosa que esconder la Verdad bajo el celemín, con apariencia de congresos ecuménicos donde las contradicciones, mientras se estrechan las manos, aparentan no ser contradictorias.

Una interesante cita de Chesterton, a propósito del ecumenismo.

La dificultad radical del Parlamento de las Religiones fue que se ofreció como un ámbito donde los credos pudieran ponerse de acuerdo. El verdadero interés hubiera sido el de un lugar donde pudieran no estar de acuerdo. Los credos deben estar en desacuerdo, esto es lo divertido de esta cuestión. Si yo pienso que el universo es triangular y usted piensa que es cuadrangular, no va a haber lugar para dos universos. Podemos discutir con educación. Podemos discutir con humanidad. Podemos discutir con gran beneficio mutuo. Pero, obviamente, debemos discutir. La tolerancia moderna es realmente una tiranía. Es una tiranía porque es un silencio. Decir que no debo negar la fe de mi oponente es decir que no debo discutirla. Puedo no decir que el budismo es falso, y eso es todo lo que necesito decir sobre el budismo. Es lo único interesante que cualquiera puede querer decir sobre el budismo; o sea, que es falso o que es verdadero. Pero en esas asambleas modernas, que se supone son tolerantes y científicas, se ha difundido un acuerdo general y tácito de que no debe haber ninguna aserción o negación violenta de una fe. Esto no es sólo hipocresía sino falta de practicidad, porque no se va al grano. En una palabra, la torpeza de un congreso de credos es que si se encuentran dos credos absolutos, probablemente van a enfrentarse, y si no se enfrentan, no tiene mucho valor que se hayan encontrado”.
G. K. Chesterton, “La historia de las religiones”, 10 de octubre de 1908. En “Cien años después”, Ed. Vórtice, 2008.


Cari amici ed amiche.

Sul blog "El Matiner Carlì" (http://elmatinercarli.blogspot.com) vi è un articolo che parla del poeta e scrittore inglese (e cattolico) Gilbert Keith Chesterton.
A questo grande uomo di cultura è attribuita la frase che recita:
"Chi non crede più in Dio non è vero che non crede in nulla perché inizia a credere in tutto.".
Con il termine "tutto" si intende tutto ciò che Dio non è. A voi stanno l'interpretazione e la comprensione di queste parole.
Tema centrale dell'articolo è il relativismo, ossia quel pensiero figlio dell'Illuminismo francese che il filosofo Voltaire espresse nelle sue "Lettere inglesi" del 1733.
Per farvi capire meglio, vi faccio leggere questo brano della succitata opera di Voltaire che recita:
"Se in Inghilterra fosse una sola religione, il governo potrebbe diventare arbitrario; se ce ne fossero due, la gente si taglierebbe la gola a vicenda; ma poiché ce ne sono tante, tutti vivono felici e in pace.". Di sicuro, questo pensiero di Voltaire nasconde delle trappole. In realtà, sotto l'apparente tono conciliante e di pace si nasconde una grettezza di toni, grettezza che si palesò quando lo stesso filosofo francese si fece chiamare "Christomoque", ossia "derisore di Cristo" e, scrivendo ad Helvetius, disse che per garantire la pace si dovrebbe "strangolare l'ultimo gesuita con le budella dell'ultimo giansenista". Queste parole denunciarono anche i malesseri dentro la Chiesa del XVIII secolo, una Chiesa lacerata tra i vari giurisdizionalismi (come giuseppinismo e gallicanesimo) e le correnti di pensiero (come giansenismo e molinismo). Queste parole sono intrise di relativismo, ossia della negazione delle verità assolute che vede nella religione un fatto puramente privato e privo di pubblica dignità.
Era evidente che, secondo Voltaire, la tolleranza poteva essere per tutti meno che per i cristiani (e in particolare i cattolici). Questo pensiero divenne palese con la Rivoluzione francese, una rivoluzione che dapprima cercò di imbrigliare la Chiesa, con la "Costituzione civile del clero", e poi cercò di distruggerla, con la scristianizzazione operata nel periodo del Terrore.
Questo dimostrò che la Rivoluzione francese non puntò a migliorare la situazione di chi nel precedente regime si trovò a disagio ma puntò semplicemente a distruggere un potere e a sostituirlo con un altro che non fu meno corrotto e vizioso e che puntò anche diventare religione. La scristianizzazione e la nascita di culti simili a quelli pagani (dedicati alla "dea Ragione") fu la conseguenza del progetto rivoluzionario. Il concetto prima giudaico e poi cristiano del Dio unico, concreto e personale venne sostuito da quello di un "Essere supremo" astratto. Ora, questo pensiero fece un danno ancora più profondo che ancora oggi è presente, ossia la mistificazione della storia. Vi faccio un esempio pratico, quello di San Francesco d'Assisi. Leggete questa bellissima nota scritta su Facebook dall'amica Stefania Ragaglia:

"Quando si parla di rapporti tra mondo cristiano e mondo islamico, capita spesso che qualcuno citi il caso di san Francesco (1181-1226), più o meno in questi termini: «Si dovrebbe testimoniare il Vangelo come fece Francesco, in sottomissione e silenziosa discrezione; e quindi non si dovrebbe cercare di convertire nessuno, come san Francesco non voleva che si facesse». Ebbene, è corretta una simile visione?

In parole...

Innanzitutto va detto che questa interpretazione del pensiero e dell’azione del santo di Assisi deriva in particolare da un libro notevole e influente, scritto dallo storico Giovanni Miccoli e intitolato Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana. In quel volume Miccoli sostenne che Francesco voleva «realizzare una presenza cristiana priva di ogni ricerca di proselitismo». In altri termini, il santo assisiate avrebbe visto ogni tentativo di annuncio attivo del Vangelo - orientato cioè alla conversione del non cristiani — come una sorta di “ingerenza”, persino di violenza e di contrario allo spirito evangelico, intriso di sottomissione, rinuncia, povertà “assoluta” e testimonianza “pura”. Per sostenere questa tesi Miccoli cita la Regola non bollata (cioè non approvata dalla Chiesa, stesa tra il 1209 e il 1221) che al capitolo 16 recita: «I frati che vanno tra gli infedeli [e in specie tra i saraceni] possono vivere e comportarsi con loro, spiritualmente, in due modi. Un modo è che non suscitino liti o controversie, ma siano soggetti, per amore di Dio, a ogni umana creatura, e confessino di essere cristiani». Queste parole, certamente di Francesco, sembrano confermare quella lettura; tuttavia è necessario proseguire nel testo di quello stesso capitolo 16, che aggiunge immediatamente: «Un altro modo è che, quando vedessero che piace al Signore, annuncino la parola di Dio, affinché quelli credano in Dio onnipotente, Padre e figlio e Spirito Santo, creatore di ogni cosa, il Figlio redentore e salvatore; e siano battezzati e diventino cristiani, poiché chi non nasce dall’acqua e dallo Spinto Santo, non può entrare nel regno di Dio». Si tratta di parole molto chiare, che indicano al frate francescano (e, potremmo dire, al cristiano in genere) la necessità di cogliere le occasioni propizie per testimoniare esplicitamente e “attivamente” la buona novella, «affinché quelli credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di ogni cosa, il Figlio redentore e salvatore». Sono contenuti essenziali del Cristianesimo, ovvero la Trinità e la figura umana e divina di Cristo, morto e risorto per la salvezza dell’umanità. E si badi che si tratta proprio di quei punti che l’Islam nega esplicitamente: per l’Islam, infatti, Allah è Dio uno e indivisibile e l’idea cristiana della Trinità è un’assurdità quando non, peggio, una forma di idolatria, ovvero di abominio da distruggere. Ed è poi vero che il Corano riconosce in Cristo un grande profeta, precursore di Maometto; ma appunto Cristo, in quest’ottica, non è nient’altro che un uomo, per quanto eccezionale (inferiore comunque a Maometto), e non può in alcun modo essere Dio. Tanto è vero che, per il Corano, Cristo non è mai morto in croce e quindi non è neppure — e tantomeno — resuscitato. Come ha ben scritto Claudio Leonardi, uno del massimi esperti mondiali della mistica cristiana medievale, «Francesco non ha timore di fare proseliti: il proselitismo, cioè la conversione e l’ingresso dell’infedele tra i fedeli di Cristo e della Chiesa, è nella logica della predicazione e di ogni azione apostolica, anche se la conversione resta solo opera divina».

...e opere

Quanto abbiamo visto sin qui riguarda soprattutto il pensiero e la parola scritta di Francesco. Tuttavia egli si pose questo problema anche dal punto di vista pratico: volle cioè portare personalmente il Vangelo in terra islamica. Dopo un paio di tentativi falliti, fu nel 1219 che il santo riuscì a entrare in contatto con gli infedeli, durante la quinta crociata. L’episodio è a volte liquidato come un evento minore e secondario della sua biografia, perché Francesco rimase solo qualche giorno presso i musulmani, senza peraltro ottenere un particolare successo. Ma, anche in questo caso, è una lettura riduttiva: che un uomo del Medioevo provi per tre volte a superare il “confine”, geografico e spirituale, che divideva la Cristianità del tempo dal mondo islamico; che lo faccia a suo rischio e pericolo, accompagnato solo da un altro frate (di nome Illuminato); che cerchi di parlare — e ci riesca! — con il sultano d’Egitto, ovvero con l’autorità somma del potere islamico in quel momento; e infine che torni indietro sano e salvo... beh, son tutte cose eccezionali, non secondarie, come scrisse Dante nella Divina Commedia (Paradiso 11,100-105). Orbene, che cosa accadde? Nel giugno del 1219 Francesco e Illuminato raggiunsero il campo dei crociati che assediavano Damietta da qualche tempo. Tra la fine di quell’estate e l’inizio dell’autunno, i due frati attraversarono la “terra di nessuno” che divideva i crociati dai musulmani e chiesero di parlare con il sultano al-Kamil, discendente del grande Saladino. Sul fatto che i due si incontrarono e che, tramite interpreti, si parlarono, nessuno oggi dubita più.

Ciò che divide gli storici è semmai il contenuto del loro discorso, che diventa altamente dibattuto per il suo valore simbolico.

Non abbiamo nessun ricordo personale del santo, né cronache musulmane che ci riportino i contenuti di quel celebre incontro. Tuttavia, tra le fonti di parte cristiana ne spicca una contenuta nella biografia di Francesco scritta da san Bonaventura alcuni decenni dopo e che riporta la testimonianza di frate Illuminato. Eccone un passo decisivo. Il sultano si sarebbe così rivolto al santo: «Il vostro Dio ha insegnato nei suoi Vangeli che non si deve rendere male per male... Quanto più dunque i cristiani non devono invadere la nostra terra?». Niente male: al-Kamil usò il Vangelo come strumento per accusare i crociati di violenza e aggressione. Ma sentiamo la replica di Francesco: «Non sembra che abbiate letto per intero il Vangelo di Cristo nostro Signore. Altrove dice infatti: “Se un tuo occhio ti scandalizza, cavalo e gettalo lontano da te”..., con il che ci volle insegnare che dobbiamo sradicare completamente... un uomo per quanto caro o vicino — anche se ci fosse caro come un occhio della testa — che cerchi di toglierci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Per questo i cristiani giustamente attaccano voi e la terra che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quelli che potete. Se pero voleste conoscere il creatore e redentore, confessarlo e adorarlo, vi amerebbero come loro stessi». Insomma, in un colpo solo Francesco difese l’opera del crociati e propose al sultano la conversione. È vero che questo dialogo non è direttamente attribuibile a Francesco; tuttavia è l’unico resoconto disponibile di un testimone oculare, frate Illuminato, e non c’é un motivo specifico per non utilizzarlo, sia pure con cautela. Il Francesco che emerge è un santo eccezionale, che brucia dal desiderio di testimoniare in parole e opere la verità di Cristo e del suo Vangelo; e che si espone personalmente alla violenza e alla morte per suo amore. Sempre secondo le fonti cristiane, in effetti, Francesco propose al sultano anche un “giudizio di Dio” con i sufi islamici presenti: ovvero li sfidò ad affrontare i carboni ardenti per dimostrare la veridicità delle rispettive fedi. Ma quelli rifiutarono, e tra di loro vi fu forse un certo Fakhr al-Farisi, celebre consigliere del sultano, sulla cui tomba è scritto che ebbe «un famoso caso con un monaco cristiano».

Conclusioni

Francesco sapeva che i musulmani negano la divinità di Cristo, “bestemmiando” — tecnicamente parlando, non moralmente — il suo nome. Per questo si adoperò in parole e opere perché divenissero cristiani. Anche in questo caso, dunque, Francesco e il perfetto cavaliere di Dio. Pacifico, ma non pacifista. Amante, ma non succube. Innamorato di Dio, e non delle lodi del mondo.".

San Francesco viene oggi riproposto in tutte le salse. Esistono persino un "San Francesco musulmano" e quello "comunista". La realtà è ben diversa. San Francesco non andò dal sultano Al-Kamil per proporgli una nuova religione, una via di mezzo tra Islam e Cristianesimo. Una cosa simile non fu e non è possibile. Basti pensare al fatto che per i musulmani noi bestemmiamo quando facciamo il segno della croce e che Gesù Cristo non ha alcuna divinità. Questo mette in dubbio la teoria di continuità tra Cristianesimo ed Islam. Come può l'Islam porsi in continuità con il Cristianesimo, negando la divinità di Cristo? Mentre la teoria della continuità tra Giudaismo e Cristianesimo ha un suo fondamento, quella tra Cristianesimo ed Islam è in maggiore dubbio. Per noi cristiani, Gesù Cristo è il Figlio di Dio, il Principio e la Fine, l'Alfa e l'Omega, di tutta la storia. Per i musulmani, Gesù è solo un profeta. Eppure, oggi c'è chi sostiene San Francesco fosse andato lì per proporre compromessi con Al-Kamil. In realtà, quando egli dialogò con il sultano lo fece sì in tono di pace e di sincera amicizia ma testimoniando Cristo come Figlio unigenito di Dio senza se e senza ma. Eppure, oggi c'è chi strumentalizza questo grande Santo, facendone un'icona hippy o di chissà quale improbabile culto islamico-cristiano o sincretico tra tutte le religioni. Un cristiano è altro rispetto ad un ebreo ed un induista è altro rispetto ad un musulmano. Questo pensiero che mistifica ogni cosa è figlio di quell'Illuminismo di cui ho parlato prima e si chiama relativismo, un pensiero che rischia solo di distruggere le radici di una società. La nostra società, ad esempio, si fonda sulla tradizione giudaico-cristiana. Pensiamo ad opere letterarie (come la Divina Commedia di Dante Alighieri) o a quelle artistiche. Sono tutte impregnate di quella tradizione che prima ho citato. Il relativismo (che punta a negare ciò) rischia solo di creare una confusione. Ad esempio, in nome del pensiero relativista oggi si vogliono togliere i crocifissi dai pubblici uffici e dalle scuole e domani non si farà più leggere la Divina Commedia nelle scuole, non si parlerà più di Alessandro Volta come cristiano, si vorranno togliere opere importanti dalle chiese o si vorrà impedire ai preti di indossare il clergyman o l'abito talare in pubblico, per "non offendere" chi non è cristiano. Ora, qui da noi i non cristiani sono minoranza. Quindi, si rischia anche di passare dalla democrazia alla "dittatura della minoranza". Inoltre, vi è il problema della "fede fai da te", ossia di chi, ad esempio, si dice cattolico per via del Battesimo ma poi non frequenta la Messa e, magari, attacca la struttura e certi dogmi della Chiesa. Durante le mie ferie in Sicilia, io sono andato alle Messe domenicali, come faccio qui a Roncoferraro, nonostante ci fosse stato chi mi ha detto di "godermi la villeggiatura". Io gli ho risposto dicendo che per la fede non c'è vacanza. Le parole di Chesterton ci stanno mettendo in guardia da ciò. Spero di avervi dato un'occasione di riflettere, vista anche la festività di Maria che fu assunta in cielo, alla quale chiediamo di vegliare su di noi e che interceda presso suo Figlio perché l'umanità ritrovi la strada.

Cordiali saluti.



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