Su "Atlantico Quotidiano" vi è un articolo di Michele Marsonet che è intitolato "Lenin e la pericolosa utopia di un mondo non conflittuale".
Ne riporto questo stralcio:
"Possiamo allora chiederci che senso ha porre l’accento sulle caratteristiche élitarie e giacobine del modello di partito proposto da Lenin, se poi non si ha il coraggio di notare che alla base di tutto vi è una concezione troppo presuntuosa e idealizzata della natura umana.
In altri termini, se si parte dal presupposto che alcuni rivoluzionari di professione abbiano accesso diretto alla teoria “vera”, in grado di condurre alla liberazione definitiva del genere umano, e che gli assiomi indiscutibili di detta teoria debbano essere trasmessi in modo automatico alle masse, si dà per scontato che tali rivoluzionari siano dei superuomini non sottoposti al normale travaglio delle passioni, degli egoismi e dei desideri.
Ma ciò non può essere: i rivoluzionari – e tra loro quelli leninisti – sono individui imperfetti come tutti gli altri. In assenza di meccanismi che consentano il controllo del loro operato essi tendono a trasformarsi in casta oppressiva, e lo sbocco staliniano è il logico risultato della lotta di potere all’interno di un gruppo chiuso.
Come ignorare, inoltre, che il concetto di eliminazione “definitiva” dei conflitti reca già in sé i germi della crisi? Il conflitto è parte integrante tanto del mondo naturale quanto della vita umana, e ipotizzarne la risoluzione finale significa chiudere gli occhi di fronte alla realtà: il conflitto può essere in una certa misura controllato, ma non eliminato del tutto".
Esso si dice contro ogni conflitto ma sul conflitto si fonda.
Basta pensare al concetto di "dittatura del proletariato".
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