Riporto questo stralcio di un articolo scritto su "Atlantico Quotidiano" da Fabrizio Borasi, articolo intitolato "I silenzi delle femministe woke peggio di ciò che urlano in piazza":
"Ma i peggiori influssi della cultura woke si vedono nei contenuti della protesta, tanto in ciò che viene detto (meglio sarebbe dire “urlato” nella piazze e nei titoloni) quanto in ciò che viene taciuto. Cominciamo con quello che viene detto. Che nel femminismo ci sia da sempre una critica (anche a volte esagerata nei contenuti, a volte troppo calcata nei toni) verso il mondo sociale maschile è inevitabile, in parte per ragioni oggettive (i torti commessi dal maschilismo verso il “gentil sesso”) in parte perché nelle contrapposizioni vengono in luce gli estremismi di entrambe le posizioni, comprese quelle femminili.
Rimane un fatto però, che il femminismo classico ha sempre considerato la critica alla mentalità maschilista come strumentale al fine di far valere i propri diritti, e nelle menti più illuminate anche come un modo per migliorare i rapporti tra i sessi dal punto di vista sociale ed umano: questo perché il femminismo classico aveva dei valori “in positivo”, magari discutibili ma li aveva, in relazione ai quali orientare la propria azione.
La cultura woke invece si basa su una concezione sostanzialmente di tipo nichilista, nel senso che la stessa è portata soprattutto a criticare in negativo le realtà umana e sociale, nella convinzione che basti eliminare il presunto male per realizzare il mondo perfetto. Di conseguenza, la critica al mondo sociale maschile perde il suo carattere di strumento e diventa il fine e il contenuto principale degli slogan, e più a monte del pensiero femminista in versione woke.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: dai cartelli esagitati che invitano le “sorelle” a “distruggere”, agli stereotipi sugli uomini “tutti violenti e prepotenti”, che ricordano le battute grevi del maschilismo di un tempo sulle donne “tutte ….. questa o quella cosa”, alle analisi dettagliate che dall’alto della propria visione postmoderna “decostruiscono” una cultura di secoli prendendosela persino con l’uso nominale dei participi “maschilisti”, quali ad esempio “presidente” (participio valido per entrambi i generi già in latino)".
Qui sta il nocciolo della questione.
L'omicidio di Giulia Cecchettin è stato un fatto orribile ed esecrabile ma le proteste di questi giorni, con tanto di atti di violenza contro la sede dell'Associazione Pro Vita e Famiglia e quella del quotidiano "Libero", non avevano nulla a che fare con lo sdegno che ha creato quella turpe vicenda.
Nessun commento:
Posta un commento