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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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martedì 10 gennaio 2012

SALVIAMO LA TENUTA CARDITELLO!


Cari amici ed amiche.

Leggete questo articolo de "Il Giornale del Sud" che è intitolato "Petizione per salvare Carditello, possibile che non c'è il tempo di mettere una firma?".
Il comitato "Real Circolo Francesco II di Borbone" ha lanciato una petizione per salavare un'antica dimora dei Borboni che si trova a San Tammaro, in Provincia di Caserta.
Il link della petizione è http://www.petizionionline.it/petizione/salviamo-la-real-tenuta-di-carditello/5853?fb_comment_id=fbc_10150456507799658_22980657_10150507367874658#fe3141fc8.
Io sottoscrivo in pieno questa iniziativa e la sostengo.
Non è una questione di nord e di sud ma è una questione di principio.
L'Italia ha un patrimonio culturale enorme che è poco valorizzato.
Cito, ad esempio, la chiesa di Susano (che si trova a Castel d'Ario, in Provincia di Mantova) o quella di San Luca, che si trova a Galati Mamertino, in Provincia di Messina.
Sarebbe giusto valorizzare il nostro patrimonio culturale.
Spesso si parla tanto di storia e di cultura ma sono una storia ed una cultura ad uso e consumo di di certe forze politiche.
Così non va perché si uccide la cultura.
Uccidere la cultura significa uccidere un popolo.
Cordiali saluti.

lunedì 9 gennaio 2012

LA CHIESA DEL CONCILIO, PARLA DON GIOVANNI TELO', PARROCO DI VILLA GARIBALDI




Cari amici ed amiche.

Ieri sera, qui a Roncoferraro (in Provincia di Mantova), si è tenuto un incontro che ha avuto come tema centrale il Concilio Vaticano II.
L'evento è stato organizzato dall'Unità Pastorale di San Leone Magno, di cui fa parte anche la parrocchia di Roncoferraro. Qui sopra vi è la scaletta dell'incontro.
L'incontro si è tenuto presso l'oratorio della Parrocchia di San Giovanni Battista.
Ospite della serata è stato don Giovanni Telò, parroco di Villa Garibaldi, una frazione di Roncoferraro.
Moderatore della serata è stato il parroco di Roncoferraro, don Alberto Bertozzi, che ha iniziato l'evento con dei salmi cantati.
Don Giovanni ha illustrato quello che fu il Concilio Vaticano II e, in particolare, ha parlato del ruolo che devono avere oggi i sacerdoti, i religiosi ed i laici cattolici nella Chiesa e nella società.
Il presule ha affermato che grazie al concilio la Chiesa cessò di essere "clericale" ed arroccata su sé stessa ma si è aperta al mondo.
Tuttavia, egli ha affermato che il percorso iniziato dal concilio con è ancora completo.
Infatti, non basta concedere spazi al laicato cattolico dentro la Chiesa ma bisogna fare sì che la comunità cristiana assimili quello che è il significato teologico ed eccelsiologico della missione dei laici poiché se non vi è un laicato maturo non potrà esservi una Chiesa matura.
Così, don Giovanni si è riallacciato alla Costituzione dogmatica "Lumen Gentium" , cercando di riassumerla nei seguenti punti:

  1. Il mistero della Chiesa.
  2. Il popolo di Dio.
  3. Costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare dell'episcopato.
  4. I laici.
  5. Universale vocazione alla santità della Chiesa.
  6. I religiosi.
  7. Indole escatologica della Chiesa peregrinante e la sua unione con la Chiesa celeste.
  8. La Beata Vergine Maria Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa.
Da tutto ciò emerge la comunione dentro la Chiesa.
Essa è il mistico corpo di Cristo ed il Papa, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi ed i laici sono membra vive di questo corpo, ciascuna con il suo ruolo.
Il clero ha la funzione sacramentale mentre i laici ne hanno altre.
Questo ultimi sono chiamati alla santità attriverso le opere nel mondo, dalla politica al lavoro, arrivando alla cultura e alla famiglia.
La Chiesa, tuttavia, deve valorizzare il laico cattolico, tenendo conto della sua identità.
Infatti, la laicità non è sinonimo di "rifiuto di Dio o della Chiesa".
La laicità è l'appartenenza al "laos", il popolo.
Don Giovanni ha citato l'esortazione apostolica del Beato Giovanni Paolo II "Christifideles laici".
Il laico ha il dovere di partecipare attivamente nel mondo, attraverso il proprio lavoro, la politica, il volontariato, la cultura e la famiglia.
Il presule ha poi affermato che Cristo morì per tutta l'umanità.
Quindi, il laico cattolico è missionario nel mondo ma non deve costringere la gente ad entrare nelle chiese. Infatti, deve prima portare Cristo nel mondo, deve farsi testimone di lui.
Don Giovanni ha poi concluso con una preghiera di monsignor Tonino Bello che recita:

"Spirito Santo, donaci il gusto di essere estroversi. Rivolti, cioè, al mondo, che non è una specie di Chiesa mancata, ma l'oggetto ultimo di quell'incontenibile amore per il quale la Chiesa stessa è stata costituita. Se dobbiamo attraversare i mari che ci distanziano dalle altre culture, soffia nelle vele perché sciolte le gomene (corde) che ci legano agli ormeggi del nostro piccolo mondo antico, un più generoso impegno missionario ci solleciti a partire.Se dobbiamo camminare sull'asciutto, mettici le ali ai piedi perché, come Maria, raggiungiamo in fretta la città. La città terrena. Che tu ami appassionatamente. Che non il ripostiglio dei nostri rifiuti, ma il partner agonizzante con cui dobbiamo agonizzare perché giunga a compimento l'opera di redenzione.".

Poi c'è stato lo spazio del confronto tra don Giovanni ed i presenti nella sala.
Il primo ad intervenire sono stato io e ho posto un problema molto recente.
Ho affermato che il Concilio Vaticano II ha teso ad aprire la Chiesa al mondo ma ha anche fatto sì che il mondo entrasse dentro la Chiesa.
Ho citato i concili precedenti (come quelli di Efeso e di Trento) e ho fatto notare che nel Concilio Vaticano II non vi furono condanne verso certe idee, idee che oggi, purtroppo, influenzano sia parte del laicato cattolico e sia parte del clero.
Nello specifico, ho citato certi casi di preti che non fanno bene il proprio mestieri, influenzando negativamente i laici. Ho parlato, ad esempio, del caso di don Giorgio De Capitani, parroco di Rovagnate (Lecco), che ha fatto delle affermazioni gravi contro il proprio vescovo e la Chiesa.
Un altro prete lì presente è intervenuto dicendo che la politica non deve entrare nella Chiesa e ha posto il problema del rapporto tra fede e denaro, citando il caso dell'Ospedale San Raffaele di Milano.
Don Giovanni ha risposto dicendo che i preti possono non condividere l'idea dei vescovi o del Papa ma è tenuto ad obbedire ad essi e non può esternare il proprio dissenso in modo così plateale.
Il prete deve tenere unito il mistico corpo di Cristo.
Quanto all'Ospedale San Raffaele, don Giovanni ha affermato di essere molto dispiaciuto per quanto è successo.
Il compito del cristiano è quello di testimoniare Gesù Cristo anche nelle opere.
E' intervenuto anche Antonio Menegazzo (membro dell'Unità Pastorale ed iscritto all'Associazione Civica Mantovana) che ha affermato di essere un "dito senza un corpo".
Egli, infatti, ha denunciato la carenza di comunicazione sia tra clero e laici e sia tra i laici stessi.
Don Giovanni ha condiviso la sua preoccupazione e ha ribadito quanto ha detto prima.
Il laicato deve maturare e deve essere conscio del ruolo che può avere dentro la Chiesa.
E' intervenuta una signora che ha posto il problema del sacro che troppo spesso si sente avulso anche rispetto alla dimensione sacramentale.
In poche parole, il laico non ha ancora delle responsabilità.
Don Giovanni ha affermato che il punto è proprio questo.
Il Concilio Vaticano II fu fatto per aprire la Chiesa ai laici e fare in modo che essi abbiano un ruolo importante in essa.
Oggi, il cammino è rimasto incompleto.
L'evento è terminato con una preghiera diretta da don Alberto e con la benedizione impartita dallo stesso.
Sono stati poi offerti thè e biscotti.
Concludo esprimendo il mio pensiero.
Io penso che l'idea del Concilio Vaticano II sia stata buona ma penso anche che tale idea sia stata male applicata.
Questo è dovuto d un vulnus del concilio stesso.
Il concilio, infatti, avrebbe dovuto condannare certe idee (come comunismo e relativismo), idee che oggi, purtroppo, sono dentro la Chiesa.
Don Giovanni ha fatto un'affermazione forte dicendo che Cristo morì anche per i comunisti.
Io gli potrei rispondere dicendo che Cristo morì anche per i massoni o per altri.
Effettivamente, Cristo morì per salvare tutti, anche i massoni, i comunisti ed altri.
Tuttavia, se è giusto non condannare l'errante, ossia il comunista, il massone o qualasiasi altra persona, è giusto, invece, condannare l'errore, ossia le idee che hanno il comunista, il massone o qualsiasi altra persona che abbia delle idee incompatibili con il Cristianesimo.
Come in ogni cosa, serve equilibrio.
Cordiali saluti.

UNA RIFLESSIONE INTERESSANTE

Cari amici ed amiche.

Nel commentare su Facebook l'articolo intitolato " Il protestantesimo e le ideologie attuali", l'amico Filippo Giorgianni ha fatto questa riflessione, prendendo spunto dal testo di Plinio Correa de Oliveira.
Essa recita:

"Diceva Corrêa de Oliveira ("Rivoluzione e Contro-Rivoluzione"), dopo aver parlato della crisi/autunno della Cristianità "medievale":

Questo nuovo stato d’animo conteneva un desiderio possente, sebbene più o meno inconfessato, d’un ordine di cose fondamentalmente diverso da quello che era giunto al suo apogeo nei secoli XII e XIII. L’ammirazione esagerata, e non di rado delirante, per il mondo antico, servì da mezzo d’espressione a questo desiderio. Cercando molte volte di non urtare frontalmente la vecchia tradizione medioevale, l’Umanesimo e il Rinascimento tesero a relegare in secondo piano la Chiesa, il soprannaturale ed i valori morali della religione. Il tipo umano, ispirato ai moralisti pagani, che quei movimenti introdussero come ideale in Europa, e la cultura e la civiltà coerenti con questo tipo umano, erano soltanto i legittimi precursori dell’uomo avido di guadagni, sensuale, laico e pragmatista dei nostri giorni, della cultura e della civiltà materialistiche in cui ci andiamo immergendo sempre più. Gli sforzi per un Rinascimento cristiano non giunsero a distruggere nel loro germe i fattori dai quali derivò il lento trionfo del neopaganesimo. In alcune parti d’Europa esso si sviluppò senza portare all’apostasia formale. Notevoli resistenze gli si opposero. E anche quando s’insediava nelle anime, non osava chiedere loro — almeno all’inizio — una rottura formale con la fede. Ma in altri paesi attaccò apertamente la Chiesa. L’orgoglio e la sensualità, nel cui soddisfacimento consiste il piacere della vita pagana, suscitarono il protestantesimo. L’orgoglio diede origine allo spirito di dubbio, al libero esame, all’interpretazione naturalistica della Scrittura. Produsse la rivolta contro l’autorità ecclesiastica, espressa in tutte le sette con la negazione del carattere monarchico della Chiesa universale, cioè con la rivolta contro il papato. Alcune, più radicali, negarono anche quella che si potrebbe chiamare l’alta aristocrazia della Chiesa, ossia i vescovi, suoi prìncipi. Altre ancora negarono lo stesso sacerdozio gerarchico, riducendolo a una semplice delegazione da parte del popolo, unico vero detentore del potere sacerdotale. Sul piano morale, il trionfo della sensualità nel protestantesimo si affermò con la soppressione del celibato ecclesiastico e con l’introduzione del divorzio.
L’azione profonda dell’Umanesimo e del Rinascimento fra i cattolici non cessò di estendersi in tutta la Francia, in un crescente concatenamento di conseguenze. Favorita dall’indebolimento della pietà dei fedeli — prodotto dal giansenismo e dagli altri fermenti che il protestantesimo del secolo XVI aveva disgraziatamente lasciato nel Regno Cristianissimo — tale azione produsse nel secolo XVIII una dissoluzione quasi generale dei costumi, un modo frivolo e fatuo di considerare le cose, una deificazione della vita terrena, che preparò il campo alla vittoria graduale dell’irreligione. Dubbi relativi alla Chiesa, negazione della divinità di Cristo, deismo, ateismo incipiente furono le tappe di questa apostasia. Profondamente affine al protestantesimo, erede di esso e del neopaganesimo rinascimentale, la Rivoluzione francese fece un’opera in tutto e per tutto simmetrica a quella della Pseudo-Riforma. La Chiesa Costituzionale che essa, prima di naufragare nel deismo e nell’ateismo, tentò di fondare, era un adattamento della Chiesa di Francia allo spirito del protestantesimo. E l’opera politica della Rivoluzione francese fu soltanto la trasposizione, nell’ambito dello Stato, della “riforma” che le sette protestanti più radicali avevano adottato in materia di organizzazione ecclesiastica:
— Rivolta contro il re, simmetrica alla rivolta contro il Papa;
— Rivolta della plebe contro i nobili, simmetrica alla rivolta della “plebe” ecclesiastica, cioè dei fedeli, contro l’aristocrazia della Chiesa, cioè il clero;
— Affermazione della sovranità popolare, simmetrica al governo di certe sette, esercitato in misura maggiore o minore dai fedeli.
Nel protestantesimo erano nate alcune sette che, trasponendo direttamente le loro tendenze religiose nel campo politico, avevano preparato l’avvento dello spirito repubblicano. San Francesco di Sales, nel secolo XVII, mise in guardia il duca di Savoia contro queste tendenze repubblicane. Altre sette, spingendosi oltre, adottarono princìpi che, se non si possono chiamare comunisti in tutto il senso odierno del termine, sono almeno pre-comunisti. Dalla Rivoluzione francese nacque il movimento comunista di Babeuf. E più tardi, dallo spirito sempre più attivo della Rivoluzione, sorsero le scuole del comunismo utopistico del secolo XIX e il comunismo detto scientifico di Marx. E cosa vi può essere di più logico? Il deismo dà come frutto normale l’ateismo. La sensualità, in rivolta contro i fragili ostacoli del divorzio, tende di per sé stessa al libero amore. L’orgoglio, nemico di ogni superiorità, attaccherà necessariamente l’ultima disuguaglianza, cioè quella economica. E così, ebbro del sogno d’una Repubblica Universale, della soppressione di ogni autorità ecclesiastica e civile, dell’abolizione di qualsiasi Chiesa e, dopo una dittatura operaia di transizione, anche dello stesso Stato, ecco ora il neobarbaro del secolo XX, il più recente e più avanzato prodotto del processo rivoluzionario.
(...)
Come i cataclismi, le cattive passioni hanno una forza immensa, ma volta alla distruzione. Questa forza ha già in potenza, fin dal primo momento delle sue grandi esplosioni, tutta la virulenza che si manifesterà più tardi nei suoi peggiori eccessi. Nelle prime negazioni del protestantesimo, per esempio, erano già impliciti gli aneliti anarchici del comunismo. Se, dal punto di vista della formulazione esplicita, Lutero era soltanto Lutero, tutte le tendenze, tutto lo stato d’animo, tutti gli elementi imponderabili dell’esplosione luterana portavano già in sé, in modo autentico e pieno, sebbene implicito, lo spirito di Voltaire e di Robespierre, di Marx e di Lenin.

Due piccole mie aggiunte: anche i protestanti di Thomas Muentzer arrivarono a esportare le idee protestanti in politica (ma Lutero non ebbe il coraggio di seguirli e anzi li fece perseguitare); e anche in ambito politico alcuni orientamenti giunsero al comunismo effettivo: gli anabattisti della città di Munster. E, come rilevavi tu, non dimentichiamo diggers e levellers inglesi...".

Effettivamente, il protestantesimo contribuì a fare nascere certe ideologie, sconvolgendo anche lo stesso assetto dell'Europa.
Basti guardare solo quello che accadde nel Sacro Romano Impero.
Esso si reggeva sul rapporto tra Papato ed Impero, un rapporto spesso difficoltoso.
Con la crisi della corona imperiale, che avvenne dopo la morte di Federico II di Svevia nel 1250, e quella del Papato (che avvenne dopo l'oltraggio di Anagni, nel 1306, la "Cattività avignonese", tra il 1309 ed il 1377, e lo Scisma d'Occidente, tra il 1378 ed il 1417), il Sacro Romano Impero vide una fase di declino.
Benché non fosse sempre stato idilliaco, il rapporto tra Papa ed imperatore garantiva la stabilità dell'Impero.
Con l'avvento della Riforma protestante, la crisi fu conclamata e, di fatto, l'Impero cessò di esistere.
L'Impero vide una sempre più forte frammentazione.
Ora, ciò deve essere esteso a tutta l'Europa.
Inoltre, senza più un'unica Chiesa in grado di morigerare e di moderare certe tendenze ideologiche, gli Europei entrarono in una situazione di scontro sempre più radicale.
Ci furono scontri sia tra cattolici e protestanti e sia tra le stesse Chiese riformate.
Inoltre, ci fu un maggiore radicalismo politico.
Ciò spiega quanto fece Thomas Muntzer (nella foto), i fatti di Munster (1534) e ciò che fecero i diggers ed levellers in Inghilterra.
Da questo radicalismo politico nacquero le ideologie come nazionalismo, comunismo, relativismo, nichilismo, disobbedienza civile ed individualismo.
Per capire il presente, bisogna conoscere il passato.
Cordiali saluti.






LA SINISTRA? PREDICA BENE MA RAZZOLA MALE!


Cari amici ed amiche.

Leggete questo articolo sul quotidiano "Libero" che è intitolato "Pisapia, Capodanno lusso nel resort in Thailandia".
Esso parla del Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha passato il Capodanno in un resort di lusso in Thailandia.
Io penso che a sinistra ci sia una certa ipocrisia.
La sinistra, infatti, parla tanto di rigore ma poi molti dei suoi membri hanno gli stessi atteggiamenti dei "capitalisti" che tanto odiano.
Inoltre, essi fanno tanto i moralisti verso il presidente Berlusconi per il fatto che abbia la villa in Sardegna piuttosto che quella di Arcore ma poi le stesse persone passano le vacanze nei resort di lusso.
Se questa non è ipocrisia...non so cos'altro sia.
Inoltre, mio padre mi racconta sempre che quando lui venne a vivere qui dall'Abruzzo (dopo avere vissuto a Roma per un certo periodo di tempo) i suoi colleghi di lavoro dicevano gli dicevano che doveva andarsene perché, a loro modo di vedere, "rubava il lavoro ai loro figli".
Questi signori non erano della Lega Nord ma avevano tessere dei sindacati (precisamente della CGIL) e votavano il Partito Socialista o quello comunista.
In passato, c'erano quelli che mi insultavano e mi davano del ""terrone".
Queste persone non erano della Lega Nord ma erano (e sono tuttora) dichiaratamente di sinistra.
Oggi, questi stessi signori sono quelli che vogliono "aprire le frontiere agli immigrati" ed attaccano la Lega Nord.
Adesso, la sinistra fa la "caccia alle streghe" contro gli evasori fiscali.
Chissà perché questa parte politica bolla "come evasori" , coloro che, notoriamente, non la votano.
Leggete questa lettera al direttore de "Il Foglio", Giuliano Ferrara, che è stata scritta da Giovanni Formicola (membro di Alleanza cattolica) e che è stata riportata su Facebook.
L'ho trovata attraverso la mia "Homepage" sul social-network, in quanto è stata pubblicata anche sul profilo di una persona in contatto con me, l'amica Irene Bertoglio, che ringrazio.
La lettera recita:

"Gentilissimo Signor Direttore,

lo Stato del XX secolo pretendeva l'obbedienza ideologica; quello del XXI secolo pretende l'obbedienza fiscale; non senza la comune tendenza ad integrarsi in un sistema sovra e anti nazionale: un superStato "imperiale" senza popolo. A tal fine, per "far rispettare la legge", si dilata l'apparato repressivo e di controllo, che sempre più irrompe nella società e la invade. Certo, Equitalia e la tributaria non sono la stessa cosa della Gestapo. Certo, le legittime libertà di religione e di pensiero sono gerarchicamente sovraordinate alle legittime libertà economiche e al diritto di proprietà. Epperò, il sistema delle libertà è organico, e quindi l'una tiene le altre e viceversa, così come l'invasione è invasione, anche senza gli stivali chiodati, il passo dell'oca e i lager (meno male). Il totalitarismo si è ammorbidito nelle forme, ma non nella sua realtà, e importa relativamente se la proprietà e le libertà sono aggredite in nome di una classe, di una razza o dello spread; non cambia la sostanza delle cose se è la maggioranza democratica - e da noi, oggi, neppure questa - a colpire la società e le famiglie, ovvero un'avanguardia rivoluzionaria (domanda politologica: un'accolita di tecnici e banchieri, pretesi portatori di sapere e competenza superiori, le somiglia?). Anche la pretesa fiscale ha un limite, e quando questo limite è superato - oltre il sessanta per cento tra imposte dirette e indirette è al di là di ogni limite? - la disobbedienza non solo è un diritto, ma un dovere di resistenza civile. Altrimenti, si deve concludere che il governo in materia fiscale può tutto, et de hoc satis. Nè si argomenti in proposito invocando l'esistenza di una representation: senza mandato imperativo, essa è soltanto derisoria. E come tutti i totalitarsmi, anche questo ha il suo "nemico del popolo", cui imputare tutti i mali, che neppur'esso ovviamente riesce ad eliminare, e contro il quale scatenare con appositi spot i "Due Minuti d'Odio" d'orwelliana memoria: l'evasore.Ma forse l'ideologia - il "politicamente corretto" integrato e servito dal "fiscalmente corretto" - non è del tutto assente nel costituendo superStato fiscal-finanziario, senza Dio, patria e famiglia: il caso Ungheria dice niente?

Cordialmente

Giovanni Formicola".

Ora, la sinistra fa tanto la moralista verso gli altri ma dovrebbe guardare in casa propria.
Mi risulta, ad esempio, che vi sono dei dipendenti del pubblico impiego che hanno due o più lavori, uno dei quali in nero.
Tradizionalmente, coloro che operano nel pubblico impiego votano la sinistra.
La sinistra dice di avere il senso dell'istituzione.
Peccato che essa era quella parte politica che predicava la rivoluzione, anche armata.
Tuttora, vi sono pezzi di sinistra che vorrebbero le rivoluzioni.
Questa è pura ipocrisia ed auspico che gli italiani siano abbastanza maturi per capire le cose.
Cordiali saluti.

domenica 8 gennaio 2012

IL PROTESTANTESIMO E LE IDEOLOGIE ATTUALI




Cari amici ed amiche.

Inizio con questa citazione dell'amico Filippo Giorgianni, che recita:

"Santo Stefano I, Re d'Ungheria, proteggi il tuo paese dall'assalto dei nuovi barbari tecnocratici (europei, nello specifico) che, come strozzini, godendo del progresso tecnico e dimenticando quello di civiltà (Ortega y Gasset e Solženitsyn), vogliono impedire la riscoperta dell'identità profonda ungherese (cristiana, "conservatrice"...) ad opera di un governo legittimamente eletto, ricattandolo economicamente (nonostante non sia sua la responsabilità dei disastri statalisti precedenti) e calunniandolo in modo ignorante come "autoritario". Schiacciali al grido "L'UNICO AUTORITARISMO E' LA TECNOCRAZIA"

e la nota redatta dallo stesso, che riporta un testo di Mauro Ronco che è intitolato "Io, figlio di una grande famiglia. La mia madrepatria" e che recita:

"«In una conferenza pronunciata a Parigi il 25 maggio 1888 il teologo russo Vladimir S. Solov’ëv (1853-1900), rispondendo alla domanda sul mistero che si celava nell’immenso impero russo, diceva: “Cercheremo la risposta nelle verità elementari della religione. Infatti l’idea di una nazione non è ciò che essa pensa di sé stessa nel tempo, bensì ciò che Dio pensa di essa nell’eternità”. La patria non è comprensibile compiutamente alla luce del suo divenire storico. Ogni patria, come ciascun individuo, ha una vocazione, cioè un compito da svolgere nel concerto universale dell’umanità. Tenendo conto di questa misteriosa dimensione trascendentale, è possibile cogliere qualcosa del senso delle parole “patria” e “nazione” partendo dal loro significato semantico, che riprendo dal magistrale Siete virtudes olvidadas del teologo gesuita argentino Alfredo Sáenz. “Patria” deriva da patres e fa riferimento al proprio Paese come a un qualcosa che viene dato, come a una eredità; qui lo sguardo rivolto al passato. “Nazione” deriva invece da natus e fa riferimento ai figli, cioè agli eredi; qui lo sguardo è rivolto al futuro. La patria è una eredità, la nazione è un compito. Diceva bene il filosofo russo Nicolaj A. Berdjaev (1874-1948) che la nazione è una unità di persone che hanno un destino storico comune. Il passato e il futuro s’incontrano così nell’adesione presente alla patria e alla nazione. Secondo Papa Giovanni Paolo II (1920-2005), “la Nazione è una sintesi particolare di fede e cultura”. Riferendosi alla Polonia, quando ancora era arcivescovo di Cracovia, il pontefice affermò: “Non dobbiamo staccarci dal nostro passato. Non lasciamo che esso ci sia strappato dall’anima. Questo è il contenuto della nostra identità di oggi. Vogliamo che i nostri giovani conoscano tutta la verità sulla storia della nazione, vogliamo che l’eredità della cultura polacca, senza alcuna deviazione, sia trasmessa sempre alle future generazioni. Una nazione vive della verità circa sé stessa, ha diritto alla verità su sé stessa e, soprattutto, ha diritto di attendere ciò da coloro che hanno compiti educativi”. Non è cioè possibile costruire il futuro, aggiunse in quell’occasione il Papa, “se non con questo fondamento. [...] Per questa ragione noi, in questo luogo, alziamo una preghiera per il futuro della nostra Patria, poiché noi la amiamo. Ella è il nostro grande amore”. I concetti di “patria” e di “nazione” sono dunque dinamici, giacché richiamano il passato e additano i compiti per il futuro. E sono dotati d’intenso valore affettivo ed emotivo perché riguardano l’uomo nelle più profonde sfere dell’anima, ricordandogli le sue radici negli antenati e i frutti possibili nei discendenti. Il concetto di patria abbraccia peraltro tre aspetti fondamentali: il suolo natale, la famiglia e il patrimonio culturale. Ciascuno di essi merita attenzione specifica. Per Cicerone la patria è “il luogo in cui si è nati”. Evoca cioè la relazione di ogni uomo con uno spazio concreto. Con questo spazio vi è dunque un vincolo originario e ineffabile che va al di là dell’aspetto concettuale. Legame necessario e antecedente qualsiasi scelta positiva fatta dai singoli uomini, esso fa sì che io e voi non possiamo non essere italiani. Solo l’uomo, ente razionale, può concepire il concetto di patria, giacché solo l’uomo è capace di conoscere e di sentire tale vincolo con la terra nativa. Componente essenziale della patria è, dunque, un territorio che permetta all’uomo un radicamento analogo a quello di un albero che in terra adatta attecchisce, cresce, estende i rami, si ammanta di foglie, offre frutti. Staccato dal suolo, un albero muore; disconoscendo la terra in cui ha messo radici anche un popolo muore. La nostra patria è l’Italia, formatasi progressivamente nel corso di due millenni con le realtà policentriche delle sue numerose capitali. Non si deve dunque disprezzare le realtà storico-politiche che hanno preceduto l’unificazione istituzionale del nostro Paese. Ciascuna di esse rappresenta infatti una tradizione di cultura, di lavoro, di sacrifici nonché di vita sociale e artistica di altissimo valore. Si pensi al ruolo primario svolto da Venezia nel contesto della storia europea e mondiale, segnando con lo splendore della propria architettura le contrade del Vecchio Continente e le isole del Mediterraneo fino a Costantinopoli, e pure difendendo la cristianità contro i Turchi in una epica lotta plurisecolare. Si pensi a Napoli e alla grandezza giuridica e militare della sua tradizione: patria di Giambattista Vico (1668-1774), tra i massimi filosofi e giuristi dei secoli moderni, Napoli è stata per lungo tempo un modello d’istituzioni a misura d’uomo e rispettose della legge eterna di Dio. E che dire quindi di Milano, di Modena, di Genova, di Bologna, di Firenze, che dire poi di Pisa e di Siena, o di Bari e di Palermo, di Torino e di quella Sardegna che consegnò alla dinastia sabauda il diritto alla corona reale, nonché, prima fra tutte, di Roma, centro vitale non soltanto della nazione italiana, ma dell’intero universo umano. Dopo il territorio, la famiglia. La patria non è solo una radice che si cala nella terra comune; è anche una casa, un luogo in cui vivono una, cento, migliaia di famiglie. L’uomo è sì vincolato a un territorio, ma anche a un insieme di famiglie, ciascuna delle quali è elemento vivo della comunità. Un insieme di famiglie costituisce un popolo il quale a propria volta si configura dunque come una grande famiglia. Nel De Civitate Dei, sant’Aurelio Agostino d’Ippona (354-430) lo definisce una riunione di persone, associate tra loro dalla concorde comunione di cose amate da tutti. Il popolo non è quindi costituito da una mera aggregazione d’individui atomizzati, ma da una comunità armonica di persone che si riconoscono componenti vive di essa. Dopo il territorio e la famiglia, il terzo aspetto è il patrimonio culturale. Gli antenati ci hanno trasmesso non soltanto una eredità materiale, ma soprattutto un patrimonio di ricchezze spirituali e morali. Ogni apporto di opere buone consolida e accresce questa ricchezza. Applicazioni scientifiche e virtù morali, lavoro, letteratura e arte, autorità e obbedienza, leggi e costumi, attitudini pratiche e tradizioni, imprese economiche, artigianali, industriali e ideali, sofferenze e dolori, sacrifici, sconfitte e vittorie, tutto questo integra il legato che costituisce la forma interiore dell’unità di un popolo e che lo distingue in modo peculiare dagli altri popoli. La lingua patria è lo strumento privilegiato di trasmissione di una cultura nazionale. Grazie a essa, di generazione in generazione, si affina l’identità culturale di un popolo. La lingua incarna cioè lo spirito di un popolo, come bene insegna Karol Wojtyła nella poesia Quando penso alla Patria: “Esistiamo radicati nelle nostre radici e uniti dalla stessa lingua, in attesa del frutto della nostra maturità. Avvolti nella bellezza della nostra lingua ci ferisce l’amarezza che nei mercati del mondo non si vendano i frutti del nostro pensiero per il grande prezzo che occorre pagare per le nostre parole. Però non vogliamo cambiare la merce. Soltanto un popolo che rimane attaccato al cuore del proprio idioma sa spiegare il mistero della propria esistenza”. La patria del resto non si sceglie; la s’incontra con la nascita e con l’educazione familiare, in particolare con il linguaggio che le tenerezze materne trasmettono con dolcezza, iniziando la persona umana al sentimento dell’amore. Né la patria sorge da un contratto sociale, scioglibile a piacimento, come troppo spesso viene detto con superficialità alla sequela delle fantasticherie roussoviane. La patria è pure una realtà superiore e anteriore ai ceti sociali, ai partiti politici e a ogni altra associazione volontaria. Si può cambiare ceto, partito, associazione; ma non si può, nemmeno volendo, ripudiare la propria lingua, la propria cultura, l’eredità consegnataci dai genitori assieme all’esistenza. L’appartenenza alla patria permane anche quando essa cade vittima di un processo di corruzione morale che ne sfigura le sembianze. Ora, se tutto questo è vero, l’amore di patria, il patriottismo, è dunque una virtù. San Tommaso d’Aquino (1225-1274) colloca il patriottismo nell’ambito della pietas, espressione che oggi ha smarrito il senso originario e che viene confusa con la devozione personale o con l’atteggiamento di compassione verso il prossimo. Cose certamente buone, queste, ma che non attingono al cuore concettuale della pietas. Essa, in senso forte, designa infatti la virtù con cui ci si piega con reverenza alla tradizione in cui si è nati e con cui si offre un servizio operoso a coloro che sono a noi uniti per vincoli di sangue o per appartenenza alla patria comune. Tutti ricordano i brani dell’Eneide dove rifulge di gloria Enea, da Virgilio (70-19 a.C.) ripetutamente definito “pio”. Enea è pio per antonomasia perché, fuggendo dallo scempio di Troia in fiamme, portando seco a spalle il padre Anchise, accompagnando per mano i propri familiari e salvaguardando i simboli religiosi della città, perpetua ciò che, trascendendo il tempo, farà rivivere ancora la patria troiana. L’eroe virgiliano presta cioè venerazione autentica e servigio effettivo sia agli antenati sia a tutti i discendenti. Per estensione si può poi parlare di pietas con riferimento alla relazione dell’uomo con Dio, giacché Dio è Pater noster in modo eminente, come esattamente dice la preghiera insegnata da Gesù nel Vangelo. La pietas come virtù è allora un aspetto cruciale della virtù cardinale della giustizia. Essa è infatti la virtù grazie alla quale ogni uomo dà a ciascuno ciò che gli spetta, secondo l’eterno insegnamento del sommo giurista romano Ulpiano. Verso Dio, la patria e genitori, l’uomo è debitore in modo speciale. Così, il patriottismo esprime l’attitudine di rispetto e la disponibilità al servizio che ciascuno deve alla propria patria. Nell’esercizio di tale virtù si distinguono del resto in modo particolare i militari, che fanno del servizio alla patria una professione fino al sacrificio della vita. In ciò si distinguono anche i componenti delle associazioni d’arma, che perpetuano, anche dopo il servizio prestato, il rispetto e l’amore verso le tradizioni dei propri corpi militari, con il ricordo perenne dei sacrifici di quanti hanno combattuto e operato in difesa della patria. L’amore per la patria, insomma, oltre a essere espressione della pietas, è anche manifestazione della giustizia. Tre sono le specie della giustizia: la commutativa, la distributiva e la legale. La prima attiene alle relazioni di scambio; la seconda ai doveri dell’autorità verso i cittadini; la terza legale ai doveri dei cittadini verso la comunità. Il patriottismo appartiene al terzo genere, al pari, e più ancora, degli obblighi fiscali. Il servizio alla patria è però anche un obbligo giuridico, come ben recita il troppo spesso dimenticato articolo 52 della Costituzione italiana, che proclama essere la difesa della patria “sacro dovere del cittadino”. Tale principio di giustizia implica la necessità doverosa che nelle scuole i maestri e i professori insegnino agli studenti di anteporre il bene comune agl’interessi particolari, familiari o settoriali. È vano infatti prendersela con i giovani quando mostrano di non sapere cosa sia la patria, se gl’insegnanti trascurano di consegnare a loro i princìpi basilari della vita sociale. L’educazione, tanto pubblica quanto privata, non può disinteressarsi della formazione nel giovane di un sano spirito patriottico, ancorato all’amore al bene comune. Il patriottismo, infine, ha a che fare con la virtù della carità o, detto in termini naturali, con la virtù della solidarietà. L’amor di patria si pone in una linea ascensionale che vede l’oggetto dell’amore nel prossimo, nei familiari, nei genitori, nella patria e in Dio. In senso discendente, Dio, gli antenati, i genitori e la patria costituiscono tre forme di paternità a cui nessun uomo può sottrarsi: il Padre, da cui viene – secondo san Paolo – ogni paternità in cielo e in terra; i genitori secondo la carne, che danno la vita e l’educazione; la patria, che è la via attraverso cui si realizza la maturità del cittadino. Il vero patriota ama tutti costoro in modo congruo e appropriato. Ma il patriota vive l’appartenenza alla propria patria come preannuncio di un’altra patria, quella celeste. La Scrittura allude all’aprirsi della patria terrena verso quella celeste quando ricorda che in terra l’uomo non ha patria permanente, poiché attende quella futura. Ma in che modo si ama la patria? Se amore è, anche quello alla patria dev’essere anzitutto affettivo, sensibile ed emotivo. Anche l’amore alla patria si sente fremere in se stessi quando si ammirano la bellezza di certi paesaggi, quando si prova nostalgia del suolo natío, quando s’innalza sul pennone la bandiera, quando si ascolta l’inno nazionale, quando si ode qualche canto della propria regione, quando si assiste al giuramento delle reclute militari. Si tratta di un amore sentimentale, pre-razionale, che l’anima sente in sé in non rari momenti della sua vita. L’amore verso la patria dev’essere, però, anche razionale, frutto di decisione della volontà illuminata dall’intelligenza. Il patriottismo come virtù si specifica e si concretizza cioè in un complesso di obblighi che quotidianamente si debbono compiere, a qualsiasi costo. Questo amore razionale va sostanziato anche con studio coscienzioso della storia, tanto di quella grande (per noi l’Italia), quanto di quella piccola (la nostra città o la nostra provincia). Lo studio insegna le vittorie e le sconfitte degli avi e, attraverso esse, mostra come percorrere le vie diritte onde ottenere vittorie nuove senza incorrere in sconfitte ancor più rovinose. L’amore dev’essere poi critico, giacché non si deve affastellare in un’unica fascina le cose buone con le cattive; occorre raccogliere le cose antiche e le cose nuove in un complesso coerente ed organico che rigetti gli errori del passato, affinché l’eredità sia consegnata splendente ai discendenti. L’amore per la patria, infine, dev’essere un amore dolente, perché in esso non può non affiorare la consapevolezza delle tragedie, incolpevoli e colpevoli, che hanno percosso e percuotono ancora i propri concittadini.»".

Prima di tutto, ritengo obbligatorio fare i complimenti a Filippo, che porta sempre dei temi interessanti. Confermo che è un bravo ragazzo.
Ora, faccio le mie considerazioni, rapportandomi alla storia.
Certi mali di questa Europa sono figli di certe ideologie che ebbero il proprio embrione in un giorno preciso, il 1 novembre 1517, e in un luogo preciso, a Wittemberg, allora nel Sacro Romano Impero, oggi in Germania.
In quel giorno e in quel luogo, un monaco tedesco di nome Martin Lutero affisse sulla porta della chiesa del castello di Wittemberg le 95 tesi, con cui attaccò la Chiesa cattolica.
Da qui nacque il protestantesimo.
La Riforma protestante ebbe forti conseguenze sia sul campo religioso che politico e culturale.
Ora, non voglio fare processi contro nessuno ma voglio solo fare una riflessione.
Il protestantesimo stravolse l'ordine religioso, culturale, politico e sociale europeo.
Il fatto che, ad esempio, nella dottrina protestante vi sia la libera interpretazione della Bibbia provocò una frammentazione religiosa e la nascita di nuove ideologie che furono le antesignane di quelle di oggi.
Prendiamo, ad esempio, quello che accadde a Munster nel 1534.
Qui, infatti, gli anabattisti presero il potere con Jan Boskezoon (Giovanni di Leyda) ed instaurarano una dittatura in cui venne stabilito che la proprietà privata venisse abolita e si creasse un vero e proprio comunismo e venne stabilita anche la poligamia.
Chi non si convertiva all'ideologia anabattista veniva ucciso.
Di sicuro, Karl Marx prese spunto da questa esperienza come prese spunto dall'esperienza della Rivoluzione inglese di Oliver Cromwell (1649).
In quest'ultima, i puritani (coloro che appartenevano alla Chiesa calvinista fondamentalista in Gran Bretagna) distrussero la monarchia, martirizzarono re Carlo I Stuart ed instaurarono il terrore.
Durante l'esperienza rivoluzionaria inglese (1649-1660) nacquero i Livellatori (Levellers), un movimento che imponeva l'egualitarismo.
Anche da qui, Marx attinse molto.
Non vi è solo questo.
Ad Edimburgo e in altre zone della Scozia vi sono delle grotte che funsero da ricovero per coloro che appartenevano al Covenant, l'associazione dei presbiteriani (protestanti) scozzesi che furono nelle file dei rivoluzionari.
In queste grotte compaiono dei simboli. Tra questi, vi sono il compasso e la squadra, simboli della massoneria.
Non si sa se questi simboli risalgano a prima o dopo i fatti del 1649 o se siano contemporanei ad essi.
Certi idee di quegli anni dicono che essi siano contemporanei a quei fatti.
In effetti, il fatto che nel protestantesimo sia ammessa la libera interpretazione della Bibbia favorì l'evoluzione di una visione relativista, visione che fu (ed è tuttora) il cavallo di battaglia della massoneria.
Com'è noto, il protestantesimo ebbe due tendenze, proprio come la massoneria.
Da una parte, esso favorì l'assolutismo monarchico (cosa che avvenne negli Stati tedeschi del nord, nei Paesi scandinavi ed in Inghilterra) e, dall'altra, divenne il pretesto per attaccare il potere costituito (come avvenne in Francia, in Spagna, negli Stati italiani, in Boemia e nel XVII secolo anche in Inghilterra).
La stessa cosa fece la massoneria.
Pensiamo alla Rivoluzione francese del 1789.
Alcuni massoni (come Robespierre e Danton) furono tra i rivoluzionari ed altri (come lo scrittore Cazotte) furono tra i monarchici.
Il protestantesimo fu anche l'ideologia che favorì il nazionalismo.
Già il solo fatto che la Messa venisse celebrata nelle lingue nazionali e non più in latino fu un atto di rifiuto della dottrina cattolica (che invece era ed è universale) e fu un germe del nazionalismo che nel XX secolo fece danni.
Nel contempo, la visione relativista non garantì più l'uniformità religiosa.
Quindi, venne stravolto anche il concetto di patria (e qui ci si riallaccia alla nota di Giorgianni) che fu legato solo alla lingua e ad alcuni aspetti culturali, mettendo Dio in secondo piano.
Inoltre, la visione relativista favorì anche la tecnocrazia.
Non essendoci più degli elementi che potessero tenere insieme tanti popoli diversi, la tecnocrazia si trasformò in un metodo quasi autoritario per fare ciò.
Quindi, mali dell'Europa di oggi hanno radici molto profonde.
Bisogna recuperare il senso di appartenenza a valori realmente comuni, altrimenti il futuro potrebbe assumere tinte fosche.
Cordiali saluti.

VIKTOR ORBAN? RISCHIA DI FARE LA FINE DEL PRESIDENTE BERLUSCONI


Cari amici ed amiche.

Le scelte fatte dal premier ungherese Viktor Orban danno fastidio in Europa.
Già, ci sono dei segnali che noi tutti conosciamo.
Giusto oggi, ho visto su RAI 3 (casualmente) una puntata della trasmissione "EstOvest" .
In quella puntata si è parlato proprio dell'Ungheria.
L'entrata in vigore della nuova costituzione ungherese è stata dipinta dal giornalista che ha definito il cammino del governo Orban una "svolta autoritaria ed antieuropeista" e sono state mostrate immagini di contestazioni contro il governo.
Inoltre, la stessa Unione Europea tiene sotto controllo lo stesso Paese magiaro e se, nella nuova costituzione ravvisa delle cose ad essa sgradita, sarebbe già pronta a prendere dei provvedimenti.
Pare anche che i mercati abbiano deciso di "prendere di mira" la stessa Ungheria.
Il modus operandi dell'attacco ad Orban sembra quello che è stato usato qui da noi contro il presidente Berlusconi.
Prima che il governo del presidente Berlusconi cadesse, i mercati avevano attaccato l'Italia, certi mass media avevano iniziato a fare previsioni di catastrofi, se il presidente fosse rimasto in sella, e, se pur non esplicitamente, l'Unione Europea si era accodata ad essi.
Conosciamo tutti la storia.
Il 16 novembre, il presidente si è dimesso.
Quello che sta accadendo ad Orban è eguale.
Guarda caso, nella nuova costituzione ungherese, è stato messo un riferimento alle radici giudaico-cristiane.
Questo non mi sembra autoritarismo ma la presa di coscienza del patrimonio valoriale di un popolo.
La verità è che questa Unione Europea non piace a molti.
E' sempre più tecnocratica e relativista ed è sempre più distante dal sentire dei cittadini.
Se non cambia registro, l'Unione Europea fallirà.
Se l'Unione Europea dovesse fallire ci sarebbero dei grossi problemi e potrebbero anche emergere in ogni Paese europeo i partiti nazionalisti, come quelli della prima metà del secolo scorso.
Il futuro potrebbe assumere tinte molto fosche.
Bisogna abbandonare il progetto di un'Unione Europea tecnocratica e senza un'anima ed abbracciare un altro progetto che contempli un' Unione Europea nuova in cui siano riconosciuti tutti i valori in comune tra gli Europei.
Chi è capace di intendere, intenda.
Cordiali saluti.

SOLIDARIETA' A NELLO REGA


Cari amici ed amiche.

Purtroppo, è successa una cosa grave che sarebbe potuta finire in tragedia.
Essa è stata riportata dal sito "Liberali per Israele" ed è initolata "Ordigno contro casa giornalista Rai Nello Rega che combatte l'integralismo islamico".
Ringrazio l'amica Anna Castaldo Morville che mi riportato la notizia su Facebook.
Un ordigno è stato fatto esplodere davanti all'ingresso della casa del noto giornalista Nello Rega.
Il fatto è successo ieri, nella tarda serata.
L'attentato è stato rivendicato da un gruppo che si è fatto chiamare "Hezbollah".
Rega è il noto giornalista che combatte l'integralismo islamico.
A lui va la mia totale solidarietà.
Di fronte a questa situazione, noi non dobbiamo avere paura.
La vera arma dei terroristi non è la bomba o il kalashnikov ma la paura.
I terroristi puntano a fare del male agli altri incutendo la paura.
Perciò, noi dobbiamo mostrare fermezza di fronte a simili fatti.
Cordiali saluti.

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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.