Presentazione

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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

Il mio libro sul Covid

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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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venerdì 30 dicembre 2011

VALORI E RAPPORTI UMANI


Cari amici ed amiche.

Ho letto questo articolo della rivista L'Eco di San Gabriele (che compie 100 anni) che è intitolato "Cosa vuole Dio da me?" e che recita:

"Vorrei sapere cosa vuole Dio da me… Mi chiamo Barbara, ho appena compiuto 19 anni
e posso riassumere così il momento di confusione o, forse meglio, di incompletezza
che sto vivendo. Vengo da una famiglia cattolica e praticante e di conseguenza la mia strada
è stata contrassegnata dalla fede e dalla religione, tant’è che da piccola nutrivo il desiderio di farmi suora… Mi sono diplomata senza problemi, i prof mi giudicano intelligente, ho una bella
cerchia di amici con cui condivido emozioni ed esperienze, ho un ragazzo e a livello di svaghi non mi faccio mancare niente. Anche per quanto riguarda l’aspetto economico i miei genitori, pur con sacrifici, non mi fanno mancare niente. Insomma, dovrei considerarmi
una ragazza felice e appagata ma purtroppo non è così. Negli anni mi sono allontanata dalla chiesa a causa dei suoi tanti divieti - secondo me assurdi -e dagli atteggiamenti di un parroco
straniero le cui prediche, a mio avviso, avevano poco a che fare con gli insegnamentidi Cristo. Non avverto più, da tempo, la necessità di andare a messa e di confessarmi, anche se non ho mai
persa la fede in Dio. Quella di Dio, però, sta diventando sempre più una
presenza “passiva” che non accende il mio cuore come invece accadeva da bambina. Lo so, un conto è sognare altra cosa invece è vivere la vita di tutti i giorni con i suoi alti e bassi e le sue
contraddizioni, ma sinceramente questa vita da “adulta” non mi riempie più. Ho tutto ma nello stesso tempo è come se mi mancasse qualcosa; non sono contenta di come vivo la quotidianità
ma non so nemmeno come potrei cambiarla per sentirmi meglio. Per capirci, non so cosa Dio voglia da me… La mia felicità è solo apparente, dentro non
sono serena. Ma neanche pensare a Diomi aiuta a stare meglio. Spero tu possa perdonare la mia confusione nell’esprimerti il mio stato d’animo, ma ciò è quello che sto vivendo.
Ciao".

Questa è la risposta di padre Luciano Temperilli:


"Forse, amica, ti stai affacciando sul mistero della vita. Finora l’hai vissuta come un regalo, forse anche un po’ dovuto o preteso, in cui gli angioletti del cielo, l’affetto della famiglia, i desideri realizzati dalla generosità e dal benessere, gli amici che ti hanno fatto da corona
sono stati sufficienti a lasciarti vivere serenamente. Ora ti sei accorta che è finito questo mondo incantato, ti sei accorta che vivi, o meglio, che sei tu che vivi e sei chiamata a dare senso alla “quotidianità” che, diciamolo, spesso ci appare ripetitiva e banale. E questo,
soprattutto per chi ha coltivato sogni irrealizzabili, è la premessa per cocenti delusioni. È un po’ lasciare il nostro piccolo paradiso in cui tutto era bello e ordinato per ritrovarsi nel disordine della natura e della società. In questo contesto è giusto reinterrogarsi sui valori, sulla fede, su Dio, sui rapporti. Bisogna però superare la tentazione di banalizzare o svalutare quanto
finora ha sostenuto la vita. Non ci si può fermare in superficie ma bisogna scendere
nelle profondità. Ad esempio: dichiari assurdi i divieti della chiesa.
Forse questo aspetto merita un approfondimento.
Ci sarà pure un motivo, non sarà solo il gusto di dire no! Così il prete straniero: bisognerà approfondire forse sia il vangelo che conoscere il prete! Così la domanda cosa Dio vuole da te.
Ma per cercare la risposta bisognerà pure mettersi in ascolto! E l’ascolto passa attraverso la lettura, lo studio, il confronto, la preghiera, frequenza dei sacramenti! Insomma più che cercare se stessi nelle cose, nel mondo, nella religione, in Dio si dovrebbe cercare quanto
tutto questo dice a noi, il senso che dona alla nostra vita. Perché è pur vero che “Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera” (Quasimodo) però se chiudiamo la finestra impediamo anche al raggio di sole di illuminare la nostra vita. In altre parole se ci si chiude in se stessi si scopre il peso e l’angoscia della propria solitudine. Se si va in profondità si scopre che la nostra solitudine invoca una relazione, gli altri e l’altro, cioè Dio. Ma
non può esistere una relazione senza frequentarsi. Così per le persone, così per Dio. Se chiudiamo la porta e non vogliamo ascoltare chi bussa per incontrarci, potremo illuderci della nostra autosufficienza ma non ci rimarrebbe altro da vedere che il vuoto della nostra stanza.
Se uno invece è disposto ad aprire la propria porta può consolarsi con l’improvvisata di un amico o abbellire la propria stanza per un incontro atteso,
con pazienza e vigilanza.".

Io commento sia lettera di Barbara e sia la risposta di padre Luciano.
La lettera è quella di una persona che ha messo in discussione tutto ciò che la circonda.
Per la ragazza in questione valgono le parole della Lettera agli Ebrei (capitolo 5, versetti 13-14) che recita:

"[13] Ora, chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino.

[14] Il nutrimento solido invece è per gli uomini fatti, quelli che hanno le facoltà esercitate a distinguere il buono dal cattivo. ".

Finché era minorenne, Barbara aveva la sua cerchia di amici, l'affetto dei suoi genitori ed ogni cosa quasi come se fossero scontati.
Crescendo, l'approccio al mondo cambia e spesso si impara ciò in maniera dolorosa.
Molto spesso, tante cose che prima erano scontate poi non lo sono più ed ogni cosa viene messa in discussione.
Lo so bene io, che ho perso tante amicizie che davo per scontate (e forse non so se ne troverò di nuovo) e che, crescendo, mi sono trovato di fronte problemi che prima non conoscevo.
Ho dovuto mettere in discussione ogni cosa.
Commentndo anche la lettera di padre Luciano, faccio una considerazione.
Oggi noi viviamo l'epoca della grande comunicazione e di internet.
Possiamo comunicare con il mondo intero.
Eppure, paradossalmente, si è soli.
Può sembrare paradossale ma è così.
Molti pensano che internet possa facilitare (se non surrogare) le relazioni umane.
La realtà non è così.
I rapporti umani (per essere tali) devono essere vissuti in prima persona.
Rapporti come l'amicizia o l'amore sono rapporti di comunione e di condivisione dei valori.
Un'autentica comunione non può esserci attraverso internet.
Internet tende a "drogare" certe situazioni.
Apre il mondo ad ogni uomo e mette in comunicazione parecchie persone tra loro in modo facile.
I rapporti umani, però, non sono così.
Essi vanno vissuti giorno per giorno e condividendo gioie e dolori con il proprio prossimo.
Lo stesso discorso vale per il rapporto con Dio.
Essere "amici di Dio", significa essere presenti nel luogo in cui egli si trova, ad esempio, andando a Messa, e cercare di ricordarsi che lui c'è per noi.
Anche il rapporto con Dio va vissuto in prima persona.
Visto che siamo ancora in periodo natalizio, ricordatevi di ciò.
Ricordatevi, ad esempio, di un vostro amico lontano e che non vedete da molto tempo.
Telefonategli, mandategli un biglietto di auguri o andate a farglio visita.
Fareste una cosa buona per lui, per voi stessi ed anche agli occhi di Dio.
Chi è cattolico può chiedere anche l'intercessione di San Gabriele dell'Addolorata, che è raffigurato qui sopra.
Lui che è patrono dei giovani conobbe certe vicende inerenti ai rapporti umani e a quelli con Dio.
In vita, lui fu un vero cristiano.
Quello che Cristo ci trasmise ci insegna a metterci in discussione ogni giorno.
Cordiali saluti.

giovedì 29 dicembre 2011

RICHIESTA DI DIVULGAZIONE DI QUESTO PUNTO DI VISTA

Cari amici ed amiche.

Su Facebook, l'amico Marco Stella mi ha inoltrato questa nota:


"Cari amici della stampa locale o referenti politici di qualunque partito, leggete questo punto di vista e datemi una mano a diffondere, penso che la maggior parte di voi possa apprezzare questo concetto.

DIETRO LA LIBERALIZZAZIONE DEGLI ORARI DEGLI ESERCIZI

COMMERCIALI QUALE RISCHIO SI NASCONDE?

Molti turisti che visitano l’Italia ritengono abbastanza strano il costume italiano della pausa pranzo prolungata per molti degli esercizi commerciali. Tra questi turisti anche gli amici brasiliani hanno commentato con me in più di un’occasione questa curiosa usanza. Ma l’immagine classica delle cittadine di provincia che tra mezzo giorno e le quattro si svuotano, potrebbe avere i giorni contati visto che già dal governo precendente, ma con maggior enfasi da questo nuovo governo, si vogliono intraprendere quelle liberalizzazioni atte a scompaginare la tradizione. Se per me la tradizione è figlia della Tradizione, intendendo la prima come costume e la seconda, quella con la maiuscola, come filosofia, per altri è solo una zavorra da gettare per volare verso un’Italia più dinamica e concorrenziale. Ma tra chi come me ha una visione della società corporativa, protezionista ed un po’ cristallizzata e chi al contrario è per la la liberalizzazione totale mi sa tanto che il classico in medio stat virtus è la più saggia presa di posizione. Il Paese ha bisogno di ravvivare la sua economia? Giusto. Ma è poi così scontato che la liberalizzazione in tutti i campi (nell’articolo mi riferisco a quella degli esercizi commerciali) faccia poi così bene all’economia? Snoccioliamo la questione partendo appunto da come funziona nei paesi americanizzati tipo Brasile, dove vivo da oltre un decennio. Ebbene qui ci sono orari d’apertura e di chiusura abbastanza regolari, ma manca la pausa pranzo e di fatto il funzionamento di un normale negozietto è di circa 10 ore, mentre da noi è di circa 8. Altra questione è l’orario dei centri commerciali ossia ad orario continuato dalle 10 di mattina alle 9 o 10 di sera e qui stiamo sfiorando le 12 ore (la questione dei centri commerciali è giá in atto pure da noi). Ebbene chi può permettersi di avere un numero di funzionari tale da poter restare aperto 12 ore, visto che le leggi stabiliscono che il lavoratore ne faccia 8? I grandi gruppi commerciali, le multinazionali e le transnazionali e di fatti in Brasile sono sorti come funghi i vari Zara, C&A e decine di negozi che vendono gli stessi prodotti a Barcellona e New York piuttosto che São Paulo, Rio o Kyoto. E quei paesi dove la “liberalizzazione” è ancora maggiore e dove gli esercizi commerciali possono realmente farsi gli orari a piacimento? La cosa è molto peggiore, non si ha solamente la concorrenza sleale tra grandi gruppi e negozzietti, ma la sicura scomparsa di questi ultimi incapaci di reggere la concorrenza per l’impossibilità di garantire orari di apertura così flessibili. È questo che si vuole per l’Italia? Distruggere completamente il commercio locale, colpire la piccola azienda a gestione familiare? Soluzioni ve ne sono. È possibile rinnovare conservando, ed anche se può sembrare un’affermazione che nega sé stessa sono certo del fatto che sia relmente possibile affrontare i cambiamenti globali, che ormai hanno raggiunto anche i nostri costumi più secolari, in modo da non danneggiare le categorie che per centinaia d’anni hanno fatto fiorire la nostra economia. Nel merito della liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali i regolatori di tale trasformazione dovrebbero essere i municipi e le associazioni commerciali. Nulla deve esser imposto dall’alto, ma dev’esser creato e seguito passo a passo dalle associazioni di categoria e dai municipi. Regolamenti municipali stesi di accordo con le esigenze dei commercianti devono regolare tale argomento, ma se il governo dovesse intraprendere realmente la strada delle liberalizzazioni è difficile che i piccoli comuni e le deboli associazioni locali riescano ad ostacolare il buldozzer della globalizzazione. L’ideale sarebbe che il Governo si limitasse ad emanare una legge quadro aprendo la possibilità di flessibilizzare gli orari degli esercizi, legge che trasferisse però il potere di dar l’ultima parola e definire le regole per il commercio ai municipi. Ed al turista che si voleva comprare la camicia alle 2 del pomeriggio ma ha trovato i negozi chiusi gli dico: “mangiati una pizza, beviti un litrozzo di vino, fatti una penichella e comprati una bella camicia made in Italy alle dopo le 4”

È così che ha sempre funzionato il mio Paese e non vedo perché dovrebbe esser diverso.

Marco Stella".


Questa nota è interessante e vale la pena di commentarla.
Io penso che qui in Italia non riesca a fare una seria politica di liberalizzazione.
Il motivo è molto semplice:
QUI IN ITALIA MANCA LA CULTURA DELLA LIBERALIZZAZIONE.
Ad esempio, durante il II Governo Prodi (2006-2008), l'allora Ministro delle Attività Produttive, Pierluigi Bersani, aveva promosso delle liberalizzazioni, tra cui quella della vendita dei farmaci da banco nei supermercati.
La misura fu molto popolare.
Peccato che essa abbia favorito le cooperative, che già hanno una situazione di vantaggio fiscale.
Inoltre, qui in Italia c'è tanta burocrazia.
Essa fa comodo a parecchie persone.
Pensiamo, ad esempio, alla gestione pubblica dell'acqua e ai "carrozzoni" che ci sono dietro di essa.
Se ci fosse una liberalizzazione vera, tanta parte dei burocrati andrebbe a casa e subito i sindacati e tutte le associazioni ad essi legati scenderebbero in piazza.
Questa è l'Italia!
Cordiali saluti.

Giuseppe prese di notte il bambino e sua madre per fuggire in Egitto,perché lasciò nella notte dell'ignoranza gli increduli.


Cari amici ed amiche.

Leggete questa nota scritta da Enzo Gallo su Facebook e riportata sullo stesso social-network dall'amico Angelo Fazio:

"Quando Giuseppe prese il bambino e sua madre per fuggire in Egitto, li prese di notte e nelle tenebre, perché lasciò nella notte dell’ignoranza gli increduli da cui si allontanò; ma quando egli ritornò in Giudea nel Vangelo non si parla né di notte né di tenebre perché alla fine del mondo gli Ebrei, ricevendo la fede figurata da Cristo che ritorna dall’Egitto, saranno illuminati.

Affinché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per bocca del profeta (Os.11,1) “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio” (Mt. 2,15). Coloro che negano la verità dei libri ebrei, dicono in quale luogo della versione dei Settanta si legga ciò, ma poiché lì essi non lo troveranno noi diremo che ciò è scritto nel libro del profeta Osea, come ci attestano gli esemplari che noi abbiamo recentemente pubblicato.

Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia (Ger.31,15) : “ Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; è Rachele che piange i suoi figli” (Mt.2,17-18). Da Rachele è nato Beniamino, nella cui tribù non si trova Betlemme. Ci si chiede dunque perché Rachele piange i figli di Giuda cioè di Betlemme, come se fossero suoi figli? Risponderemo brevemente che Rachele fu sepolta vicino Betlemme, in Efrata; e che la sua sepoltura in questo luogo le ha fatto ricevere il nome di madre di Betlemme e dei suoi abitanti; o poiché Giuda e Beniamino erano due tribù limitrofe e che Erode aveva ordinato di uccidere i bambini, non solamente in Betlemme ma anche in tutti i suoi dintorni. ".


Come dice il titolo, uno dei grandi mali dell'uomo è l'ignoranza.
Per ignoranza, però, non si deve intendere il non conoscere le nozioni.
Infatti, il non conoscere le nozioni non è necessariamente una colpa poiché una persona potrebbe non avere potuto conoscere le stesse.
La vera ignoranza è il rifiuto del sapere e del confronto con le varie situazioni della realtà in cui si vive.
La vera ignoranza è il rifiuto ostinato dell'altro, che non è necessariamente lo straniero, secondo una certa convinzione politica, ma può essere anche il vicino di casa o un parente.
Un esempio di ignoranza può essere anche una mancanza verso un familiare in difficoltà o verso un amico.
E così, furono frutti dell'ignoranza eventi drammatici, come la strage degli innocenti, che fu operata da Erode il Grande, o regimi criminali, come nazismo e comunismo, fino ad arrivare ai fondamentalismi, come quello islamico.
Dall'ignoranza nasce l'odio e dall'odio nascono le guerre, gli stupri e tutto ciò che di male può fare l'uomo.
Cordiali saluti. .



IL DISCORSO DI MONTI? NON MI SEMBRA CHE APPORTI NOVITA'!



Cari amici ed amiche.

Il video qui sopra mostra un pezzo della conferenza di fine anno che è stata tenuta dal presidente del Consiglio Mario Monti, che ha ricevuto la tessera dell'Albo dei Giornalisti.
Il suo non mi sembra un discorso improntato al cambiamento.
In pratica, il premier ha detto che la "fase 2" è il proseguimento della "fase 1", quella dell'ultima manovra economica che ha portato nuove tasse.
Noi ci troviamo in un sistema bloccato che ha bisogno di vere riforme, sia delle istituzioni (federalismo) e sia di vari settori della società (come il mercato del lavoro).
Anche dal suo discorso, non mi sembra che l'azione del presidente Monti sia in grado di fare ciò.
In primo luogo, con questa pressione fiscale è difficile riuscire a parlare di crescita.
Le aziende sono tartassate come i semplici cittadini.
Per pensare alla crescita servono riforme vere, come l'abolizione di certi privilegi.
Ad esempio, incominciamo a togliere i privilegi fiscali delle cooperative.
Esse non sono associazioni no-profit ma sono vere e proprie aziende.
Se incominciassimo a fare così, l'Italia andrebbe già meglio.
Su Facebook, ho letto questa riflessione dell'onorevole Gianni Fava (Lega Nord) che recita:

"Grazie Monti e grazie Napolitano Un amico ha appena inviato questo messaggio:Ahi Ahi, ora sono davvero dolori. Con l’asta di titoli di stato a media e lunga scadenza appena conclusa è stata spazzata via la speranza che le banche sarebbero intervanute ancora una volta sul mercato primario (come ieri) a comprare anche scadenze a medio o lungo termine.Invece niente, nisba, l’asta appena conclusa si è rivelata un disastro epocale in considerazione del regalone che la BCE ha appena fatto anche al nostro sistema bancario. Ieri le banche sono intervenute facendo il calcolo si poter rivedere il denaro investito nei prossimi 6 mesi(Buona Fortuna…), oggi invece no. 5 7 e 10 anni fanno paura e non c’è accordo che tenga.Vorrei fare notare che “salva Italia” del governo Monti è pienamente approvata e operativa da giorni e che, udite udite, oggi verrà annunciata la mirabolante fase 2 per la crescita. Comunque ecco il miserabile risultato raccolto dal governo dei meglio studiosi e cattedratici italiani All’asta di oggi sono stati collocati 6,2 miliardi di Btp a fronte dei 7,5 miliardi offerti: i Btp triennali erano stati richiesti, a fronte di un’offerta massima di 3 miliardi, per 3,462 mld ma il Tesoro ha preferito assegnarne 2,537 mld.Si tratta di un importo quindi inferiore all’offerta. I decennali, con scadenza 1 marzo 2022, sono stati interamente collocati per un importo massimo offerto di 2,5 mld (a fronte di richieste pari a 3,391 mld). Per i Btp decennali con scadenza 1 settembre 2021, l’importo collocato (1,176 mld) e’ stato inferiore ai 2 mld offerti. Le richieste degli operatori erano ammontate a 1,856 mld.ASTA BTP, A DIECI ANNI RENDIMENTO CALA AL 6,98%. Il rendimento dei Btp a 10 anni all’asta di oggi e’ calato al 6,98% dal record storico dall’introduzione dell’Euro del 7,56% dall’asta di fine novembre. RENDIMENTI CCT A 7 ANNI SALGONO AL 7,42% Nell’asta odierna i rendimenti dei Cct a 7 anni sono saliti al 7,42% dal 4,52% di fine agostoSPREAD BTP/BUND SALE SOPRA 520 PUNTI DOPO ASTA = Lo spread tra Btp decennali e Bund equivalenti e’ salito a 522 punti base dopo la comunicazione dei risultati dell’asta di Btp. I rendimenti dei titoli a dieci anni, sebbene calati, restano vicini alla soglia d’allarme del 7%, e il Tesoro non e’ riuscito a collocare l’importo massimo previsto. Vorrei puntualizzare:il tesoro ha preferito assegnare solo 2,537 mld di BTP a 10 anni…. cioè per assegnarli tutti avrebbe dovuto accettare rendimenti insostenibili. I CCT a 7 anni invece se ne sono volati al 7,42% al massimo di sempre. Aspetto con ansia il servizietto televisivo in cui ci verrà propinato che in fondo, l’asta dei BTP è andata bene visto che i rendimenti sono calati dal massimo. In realtà l’asta dei BTP è stata un completo e totale fallimento. NON SIAMO RIUSCITI A COLLOCARLI!
E'evidente che chi e' andato in asta ieri non sono operatori di mercato, che altrimenti avrebbero comprato anche sulle scadenze lunghe della curva. Queste operazioni sono a mio parere solo dannose per la gestione del debito pubblico, perche' quando arriveranno le aste corpose, a partire da meta' gennaio, sara' evidente a molti speculatori che vi e' Margine per spingere ancora piu' in alto il costo del finanziamento italiano. Monti deve fare in fretta con misure di finanza straordinaria: o la banca centrale acquista pesantemente sulle aste di gennaio-marzo oppure saranno i cittadini italiani a dover forzosamente comprare titoli.
".

L'onorevole Fava mi trova d'accordo.
Questa operazione del governo mi sembra quella che fece re Enrico VIII nel 1540, quando dissolse in monasteri in Inghilterra.
Il re rivendette le terre monastiche ma il guadagno che ebbe non fu così elevato.
Intanto, re Enrico VIII distrusse tanta parte del patrimonio storico e culturale del suo Paese.
Cordiali saluti.

LO ZAMPONE




Cari amici ed amiche.

Il video qui sopra mostra la storia di un prodotto italiano molto antico, lo zampone.
Giusto quest'anno, esso compie il 500° anno.
La sua terra d'origine è il Modenese, precisamente il Comune di Mirandola.
Lo zampone nacque nel 1511, durante un assedio operato dalle truppe di Papa Giulio II alla città di Mirandola.
Le truppe papali stavano vincendo.
Per non lasciarli agli assedianti, i mirandolesi macellarono i maiali.
Da lì nacque l'idea di fare un impasto di carne, grasso e cotenna di suino che venne poi insaccato nella pelle delle zampe anteriori dell'animale.
Secondo il disciplinare dello zampone IGP di Modena, l'impasto deve essere costituito da muscolatura striata, grasso, cotenna, sale e pepe. Quest'ultimo può essere macinato o meno.
Da una situazione di grave necessità, qual era l'assedio di Mirandola, nacque un prodotto che tutto il mondo apprezza.
Lo zampone deve essere mangiato previa cottura.
Esso viene lessato e consumato con un contorno di lenticchie in umido o con un purè di patate.
In Emilia-Romagna, c'è chi lo consuma con uno zabaione all'aceto balsamico di Modena, per fare il quale vi è la seguente ricetta, che è molto antica:

Ingredienti.

2 tuorli d'uovo
, 1 cucchiaino raso di zucchero, 1 pizzico di sale, 2 cucchiaini di marsala, 1 cucchiaino di aceto balsamico tradizionale di Modena, un pizzico di Maizena.

Procedimento.

Montare a spuma con le fruste elettriche i tuorli d'uovo con lo zucchero.
Unire un pizzico di sale, 2 cucchiai di marsala e un cucchiaino di balsamico tradizionale.
Cuocere a bagnomaria e unire un pizzico di Maizena. Quando sta per bollire è pronto.


Simile allo zampone è il cotechino. Quest'ultimo è fatto con la stessa pasta dello zampone ma l'involucro non è la pelle delle zampe anteriori del maiali ma il budello.
Io credo che un prodotto simile meriti una grande festa per questo suo 500° compleanno.
In questa pietanza vi è la cultura di un territorio il cui popolo ama la vita e la convivialità.
Cordiali saluti.

RONCOFERRARO, SI TORNA A PARLARE DI FOSSIL FREE ENERGY

Cari amici ed amiche.

Sul sito del Comitato di Roncoferraro dell'Associazione Civica Mantovana (ACM) è comparso questo articolo che è intitolato "Fossil Free Energy, nessuno si indigna" e che recita:

"Negli ultimi tempi siamo stati “socialmente percossi” dall’utilizzo di un termine divenuto oltremodo ricorrente: Indignazione.
Una parola che raccoglie uno slogan, una necessità, uno status, fotografando un anacronistico senso di unione che si sta (o si starebbe) risvegliando in gran parte della popolazione mondiale.
Si è parlato sempre di indignazione facendo riferimento ad eventi o a situazioni di natura macroscopica, veicolati da imponenti mezzi di comunicazione ed in quanto tali in grado di far forte presa su gran parte dell’opinione pubblica e pertanto delle masse. Basti pensare agli “indignados”, fenomeno di portata mondiale che tratta perlopiù tematiche inerenti grandi questioni economiche globali (tra l’altro per molti difficilmente comprensibili).
In questo modo si rischia di connotare l’indignazione e la sua conseguente estrinsecazione, come sentimenti giustificati solo quando scaturiscono da problematiche che possono investire una realtà estremamente diffusa .
Così non è e non deve essere. L’indignazione è un risentimento prima di tutto Privato, Personale, Individuale: “La mia morale è toccata direttamente da qualcosa, pertanto mi indigno e in quanto tale estrinseco la mia rabbia pubblicamente”.
Così ragionando si ritrova la necessità di sfoderare l’indignazione per tematiche più circoscritte, anche in senso territoriale.
Nel comune di Roncoferraro, per motivazioni perlopiù culturali, l’indignazione è sempre stata restia a stanarsi, se non in poche sporadiche eccezioni, che qui non citeremo.
Questo ha indiscutibilmente contribuito all’opacizzazione della discussione pubblica perno che regola l’intera “vita democratica”.
Risulta sempre più difficile poter partecipare al bar, in chiesa o in piazza (luoghi tra l’altro sempre meno frequentati) a discussioni riguardanti gli avvenimenti che interessano la nostra comunità locale, essendo la nostra attenzione distolta da fenomeni e problematiche più Grandi ma stranamente più accessibili.
Ed è proprio per questo che noi dell’Acm, come al solito in controtendenza, abbiamo deciso di raccontarvi una storia che ci riguarda tutti da vicino.
Nell’ormai lontano inverno del 2007 , proprio nel nostro capoluogo, è entrato in funzione, come tutti ben ricorderete, un importante impianto a “Biomasse” con lo scopo di riqualificare gli impianti di riscaldamento di alcune strutture pubbliche (comune, scuole, biblioteca e piscina).
Il nobile impianto denominato addirittura “Fossil Free Energy” era indiscutibilmente identificabile come “Verde” cioè rispettoso dell’ambiente, perché essendo alimentato da cippato di legno prodotto sul territorio avrebbe garantito un equilibrio tra le emissioni di CO2 generate dall’utilizzo della struttura con la CO2 assorbita, durante la loro vita, dalle piante utilizzate per ricavarne il combustile.
La costruzione di una struttura di questo calibro, naturalmente, necessitava di una massiccia disponibilità di risorse finanziarie: si aggirava appunto attorno ad 1.000.000 di Euro il costo complessivo.
Lo slancio economico per la realizzazione dell’opera è arrivato dall’Unione Europea che si offrì di anticipare interamente le spese di costruzione, garantendo a fondo perduto il 40% (cioè 400.000€) ma pretendendo la restituzione del restante 60% (600.00 €) da parte dell’amministrazione comunale in 20 anni.
La nobiltà dell’opera, congiuntamente ai sacrifici economici necessari per realizzarla, rese tangibile il fiero auto-compiacimento dell’amministrazione: Campagne pubblicitarie, riunioni, cartelli sparsi sul territorio.
I più scettici vennero “normalmente” additati come rivali politici, confinando così anche i loro timori nel dibattito politico.
Fatto sta che gli anni sono passati, ci siamo abituati a vedere l’impianto ubicato vicino al palazzetto dello sport di Roncoferraro (localizzazione secondo alcuni discutibile) e dei nobili obbiettivi per i quali è stato costruito ormai nessuno parla più.
In data 21/11/11 il 12° punto all’ordine del giorno del consiglio comunale trattava l’interpellanza presentata dal nostro comitato Acm che pretendeva di aver delucidazioni in merito alla gara d’affidamento dell’impianto Fossil Free (che riteniamo essere stata oltremodo frettolosa e troppo esclusiva).
Durante la discussione il sindaco si è praticamente messo a nudo affermando che l’impianto evidentemente non funziona come dovrebbe, tant’è che i costi di gestione risultano essere molto superiori a quelli preventivati.
Le lievitazione dei costi è stata fondamentalmente attribuita all’impossibilità di reperimento del cippato sul nostro territorio vista l’ormai consolidata contrarietà dei nostri agricoltori di offrirsi alla coltivazione delle pioppelle da cui ricavarlo; tale condizione costringe i gestori dell’impianto ad acquistare il cippato presso fornitori “extramuros”, provenienti soprattutto dal Sud Tirolo.
Un ulteriore specificazione fatta dal sindaco ha riguardato la efficienza dell’impianto. È stato infatti precisato come, vista la scarsa qualità del cippato, acquistato spesso e volentieri troppo umido per garantire un ottima combustione, si è costretti a far funzionare in molte più occasioni di quelle previste da progetto, l’impianto a gas metano!!!
Ora ditemi voi, questa cosa vi indigna o no? Vi indigna il fatto di aver sprecato del denaro per costruire una cosa che non funziona o almeno non funziona come dovrebbe?
Questo tema non dovrebbe toccare la sensibilità solo di alcuni; qua non si parla di valutazione soggettive, non c’entrano nulla i supermercati davanti ai cimiteri o le tombe abbandonate; non c’entrano cioè tematiche che invadono l’ambito della morale individuale.
Qua si tratta di come parte delle nostre risorse siano state sprecate. Tutti abbiamo contribuito di tasca nostra a questo impianto tramite le nostre imposte ma nessuno parla delle sue inefficienze. È indecente che in base al credo politico si possa giudicare diversamente questa vicenda.
Non c’è oggettivamente nulla di giusto nello spreco di denaro, specialmente se si tratta di denaro pubblico.
La gente dovrebbe indignarsi. Indignarsi personalmente!!!
Arrabbiarsi perché non sono state fatte le dovute indagini sul territorio per accertare l’effettiva accondiscendenza degli agricoltori a rendersi disponibili alla coltivazione delle piante necessarie al progetto. Arrabbiarsi perché acquistando il cippato in Sud Tirolo si vanificano in parte i nobili propositi di riduzione di CO2, visto che è naturale che il trasporto implica l’utilizzo di automezzi che funzionano proprio con combustibili fossili. Arrabbiarsi per essere stata imboccata col dolce sciroppo verde della sostenibilità ambientale e poi disillusa con l’acre odore dei fumi del metano.
Bisognerebbe andare al bar, in chiesa, in piazza ed estrinsecare il proprio parere a riguardo di una tematica come questa.
Abbandonarsi al lassismo, giustificando chi sornionamente minimizza le proprio colpe, genera un circolo vizioso per il quale chi ha sbagliato non si sente spronato a correggersi, pertanto nemmeno a migliorarsi.
Se questo accade all’interno di una famiglia i danni sono spesso contenuti e comunque quasi sempre rimediabili; diverso è il caso in cui una situazione del genere riguardi un intera comunità o un intero stato. In tal caso più il fenomeno è diffuso e reiterato nel tempo più aumentano i rischi di logorare la stessa etica sociale, con possibili ripercussioni sugli stessi usi e consuetudini, mettendo forse a repentaglio il significato stesso della democrazia.
Ed è per questo che noi dell’ACM vi ribadiamo, ancora una volta, il nostro deciso, intenso e caloroso invito al confronto pubblico, sollecitandovi alla partecipazione e, perché no, alla manifestazione pubblica.

L’indignazione genera confronto. Il confronto genera Democrazia. ".

Sul succitato impianto di teleriscaldamento avevo detto molto.
Rileggete l'articolo che avevo scritto nel 2009 su "Italia chiama Italia" che è intitolato "Fossil Free pro e contro".
Facevo propaganda per la lista di centro destra "Libertà di cambiare, diritto di crescere-Poltronieri sindaco".
Purtroppo, a mio modo di vedere, la stessa lista non affrontò il tema in modo adeguato.
Questo era (ed è) un tema importante.
Inoltre, sempre nel 2009, chiesi delle informazioni sul combustibile, su questo blog, con l'articolo inititolato "Lettera aperta al sindaco di Roncoferraro".
Feci anche un'istanza in Comune.
Mi ricordo che per avere fatto ciò venni anche attaccato.
In collaborazione con l'Associazione Civica Mantovana, pubblicai anche una relazione.
Leggete l'articolo intitolato "Relazione sull'impianto di teleriscaldamento "Fossil Free Energy di Roncoferraro (Mantova)" .
Quindi, la vicenda di questo impianto di teleriscaldamento non interessa solo l'ACM m a anche gli altri partiti.
Il fatto che oggi anche il sindaco Candido Roveda (Partito Democratico) riconosca che questo impianto abbia dei problemi dimostra che chi nel 2009 sollevava delle perplessità sul medesimo non aveva torto.
E' lapalissiano il fatto che un simile impianto sia un costo.
La materia prima (il cippato che deve essere usato come combustibile) non è reperibile, poiché la Pianura Padana è un'area molto antropizzata e con pochi boschi.
Le emissioni in atmosfera ci sono.
Infatti, se si brucia della legna si produce il fumo ed il fumo contiene varie sostanze, come la CO2, le polveri sottili e, in taluni casi, sostanze pericolose come il benzopirene.
Quindi, da quanto affermato dallo stesso sindaco, l'impianto non sta dando i vantaggi sperati.
Mi ricordo che in passato Roveda ed il resto dell'amministrazione comunale si vantavano dell'impianto e del fatto che esso funzioni senza combustibili fossili.
Tra l'altro, pare che ora l'impianto funzioni in parte a metano.
Quindi, crolla anche il "mito" dell'impianto di riscaldamento che funziona senza combustili fossili.
Per avere una buona politica energetica bisogna tenere conto delle tecnologie che possono essere usate in determinato contesto, senza voli pindarici.
Cordiali saluti.

mercoledì 28 dicembre 2011

Jean Laponce, "Left and Right. The Topography of Political Perceptions"

Cari amici ed amiche.

Leggete questa nota che mi è stata inoltrata dall'amico Filippo Giorgianni e che recita:

"«Sinistra e destra entrarono nel vocabolario politico alcune settimane dopo la convocazione degli Stati Generali Francesi del 1789, più probabilmente a giugno, o al più tardi il 28 agosto di quell’anno quando l’Assemblea Nazionale Francese, nel mezzo di un dibattito sulla bozza di costituzione per il regno, si divise chiaramente sul dare al re il diritto di veto legislativo. Per tracciare l’evoluzione che ha condotto così rapidamente dalla nozione dei tre Stati ordinati verticalmente alla nozione di due campi che si confrontano l’uno contro l’altro in uno spazio orizzontale, iniziamo il resoconto storico dal 5 maggio 1789, giorno di apertura della sessione degli Stati. Il re e la sua famiglia, collocati sul palco centrale, sotto un baldacchino monumentale, di fronte ai deputati[1]. Il re era seduto su di un trono posto sulla piattaforma più alta. Ai piedi del trono stava la famiglia del re: la regina e le principesse alla sinistra del re – il lato femminile della casa reale, che non avrebbe ereditato il regno; i principi alla sua destra – il gruppo dei potenziali successori. Ai piedi del palco centrale, più in basso dei principi e delle principesse, che erano essi stessi più in basso del re, presso una lunga panca e un tavolo erano sistemati i segretari di stato. Il re, la sua famiglia, e i suoi ministri erano dunque nettamente separati dai membri dei tre Stati che erano seduti in successione da destra a sinistra. Il clero era al lato destro, la nobiltà alla sinistra. Più indietro, il Terzo Stato, lontano dal trono del re rispetto ai nobili e al clero, era congiunto ai due ordini privilegiati. Uno spazio polarizzato tra su/giù, vicino/lontano e destra/sinistra determinava l’ordine della preferenza: il più elevato, il più vicino al re e il più chiaramente alla sua destra, il più grande, l’onorificenza. Nei giorni seguenti la cerimonia d’apertura, i tre ordini avrebbero dovuto incontrarsi separatamente per discutere le questioni del regno. Ma il Terzo Stato, violando l’usanza e disobbedendo le istruzioni del re, si proclamò Assemblea Nazionale, promettendo di rimanere in seduta fin quando non avesse dotato il reame di una costituzione. Invitò poi gli altri due ordini a unirsi ad esso. Il 22 giugno, una larga parte del clero accettò l’invito. Riunitisi dunque nella chiesa di San Luigi a Versailles, i deputati fecero spazio per i chierici. La Gazette Nationale descrisse la scena: “Attorno alle 12:30, Monsieur Bailly annunciava di esser stato appena informato che la maggioranza del clero intendeva unirsi all’assemblea per le 13:00 – immediatamente quei membri dell’Assemblea Nazionale che erano seduti nella parte superiore della navata della chiesa, alla fine del santuario, svuotarono i loro seggi in quanto essi erano quelli più onorifici”[2]. La parte più sacra e superiore della chiesa divenne più tardi la destra dell’Assemblea. Al 25 giugno, una minoranza della nobiltà si unì al Terzo Stato e, al 27, il re, piegandosi a ciò che considerava essere inevitabile, ordinò ai rimanenti tra gli ordini privilegiati di unirsi al Terzo Stato. I posti a sedere in questa assemblea integrata avrebbero dovuto essere occupati secondo la tradizione, ma la separazione tra i tre stati era ormai abbattuta: alcuni aristocratici e molti del basso clero si unirono al Terzo Stato alla sinistra, mentre il rimanente del clero e gran parte dell’alto clero sedette con gli aristocratici sulla destra. Secondo Buchez e Roux nella loro Histoire parlementaire de la révolution française pubblicata nel 1834, la polarizzazione tra sinistra e destra era cominciata prima del 27 giugno: “Prima del riunirsi dei tre ordini, gli estremi sinistra e destra erano diventati un luogo d’incontro per i rappresentanti che appoggiavano con più vigore le opinioni poi in conflitto. Ogni gruppo era cresciuto in numero, così come le discussioni erano divenute più accese”[3]. A giudicare dai sommari dei dibattiti parlamentari pubblicati nel quotidiano Le Moniteur e nelle Memoirs di Bailly, i dibattiti della neonata Assemblea erano molto disordinati, anche quando non venivano interrotti dalla popolazione. I presidenti di un’Assemblea, che non aveva agende specifiche e non possedeva nemmeno verbali scritti, provavano gravi difficoltà a farsi ascoltare. I deputati discutevano tra di loro e parlavano fuori turno; di frequente erano interrotti dal pubblico nelle tribune o ne cercavano il sostegno. Tutta questa confusione favorì l’istituzione e il mantenimento di raggruppamenti ideologici spaziali. In un’assemblea grande e turbolenta, una voce solitaria era improbabile fosse efficace; era necessario il supporto psicologico e morale di delegati affini per mentalità. Il fatto che la votazione fosse non per chiamata, ma per alzata o seduta, contribuì anche alla polarizzazione spaziale per preferenze ideologiche e politiche. L’incrementata coesione sia dell’estrema sinistra che dell’estrema destra permise ai presidenti di risparmiare tempo nel conteggio dei voti. Essi, con uno sguardo, potevano decidere se e quale fosse la maggioranza per una mozione e l’Assemblea poteva pure capire, con uno sguardo, se il presidente si stesse sbagliando. Una volta che l’ordine spaziale venne occupato secondo significati ideologici, divenne naturale riferirsi ai lati in competizione come alla sinistra e alla destra. Naturalmente c’erano delle alternative; vi erano altri modi per identificare le fazioni, ma i nomi dei club, come quelli dei Bretoni o dei Giacobini, non potevano essere usati nell’Assemblea per riferirsi a ogni gruppo di rappresentanti senza violare la convenzione secondo cui un deputato non rappresentava uno specifico ordine, fazione o regione, bensì avrebbe dovuto rappresentare la nazione nel suo complesso. Sinistra e destra potevano più facilmente essere utilizzati per descrivere le fazioni perché i termini non si riferivano a istituzioni (non esistevano comitati elettorali di sinistra né di destra). Tuttavia, persino i più neutri sinistra/destra acquisirono presto connotazioni di fazione, come si può osservare nella seguente parte del dibattito che prese vita nell’Assemblea il 2 ottobre 1791[4]:

(Un membro, il signor Lacroix, si alza su un punto dell’ordine)

Lacroix: “[…] È estremamente chiaro; ma giacché una parte dei membri del lato destro sembra opporsi…

(Tutti i deputati seduti alla destra del presidente e molti di quelli posizionati in varie altre sezioni dell’Assemblea si alzano e rispondono, urlando fortemente, che il signor Lacroix sia richiamato all’ordine)

Presidente: “Signor Lacroix, su richiesta dell’Assemblea, la richiamo all’ordine per aver dimenticato il riguardo che deve avere verso una parte dei suoi membri.

Lacroix: “Dicendo il lato destro, non intendo in alcun modo comparare i membri attualmente qui seduti a coloro che usano occupare i medesimi seggi nell’Assemblea Costituente…

Il lato destro aveva già preso un significato derogatorio per il suo esser connesso ai deputati che si opponevano alla nuova costituzione o che, in ultima analisi, cercavano di fornire al re il potere di veto legislativo. I termini sinistra e destra divennero presto parole comuni nella cronaca politica, dentro e fuori il parlamento. Consideriamo, per esempio, questo estratto dal quotidiano L’Ami des patriotes datato 27 agosto 1791: “[…] gli scrittori di pamphlet non possono sostenere questa volta che c’è accordo tra la destra dell’Assemblea e una sezione della sinistra ”. O, ancora meglio, consideriamo un lungo articolo del Mercure de France datato 1 ottobre 1791 da cui ho estratto un brano. Esso analizza le varie fazioni che dividono la Francia di quel tempo da un punto di vista che potremmo definire di centro-destra.

Nella sezione destra […], il partito solitamente individuato dal nome degli aristocratici […] ha tanti membri quanti sostenitori. […] Esso include un piccolo numero di uomini che odiano la Rivoluzione a causa del loro amore per il vecchio regime e i suoi eccessi; essi odiano la libertà perché amano la pace. Essi rimpiangono il tempo in cui la nazione non aveva alcuna influenza sul governo attraverso l’effetto oscillante dell’opinione pubblica; rimpiangono il tempo in cui la Corona, ben più forte di fronte all’individuo, era debole nel resistere alle iniziative delle potenti corporazioni; rimpiangono il tempo in cui gli onori, le posizioni e le ricompense erano diventate, contro lo spirito della monarchia, il privilegio di poche famiglie […]. Un secondo gruppo […], anch’esso sul lato destro dell’Assemblea, […] richiede una vera monarchia, una monarchia con gli Stati Generali, con tre ordini; una monarchia i cui parlamenti supportino il trono e controllino le finanze […]. Essi desiderano un sistema politico che dia alle due classi più eminenti della società metà della sovranità, mentre darebbero il rimanente ai quindici decimi della nazione e al monarca. Se osserviamo che questa fazione include, tra gli altri, la maggioranza del clero tanto quanto la maggioranza della nobiltà, sia essa nobiltà militare, professionale o agricola, e che include anche i grandi proprietari terrieri di tutti e tre gli ordini, si avrà tanto la misura dell’entusiasmo generato da questo gruppo quanto la comprensione della sua flessibilità. Un terzo partito d’opposizione, altrettanto sfavorevole a una democrazia regale quanto i precedenti, […] tiene un’altra linea politica […]. Essi cercano di ridare ai comuni [il Terzo Stato] qualche grado di autorità, forza e indipendenza che dovrebbe collocare questo stato in equilibrio con i poteri del monarca e i due restanti stati nella gerarchia, ma essi non vogliono che i comuni assorbano il complesso della sovranità pubblica né che riducano le distinzioni preesistenti nel loro cammino verso la democrazia. Essi intendono riformare il clero senza screditarlo […]. [Questo terzo partito] che Parigi ha provato a lapidare e che la storia un giorno vendicherà […] si è fuso alla destra dell’Assemblea. Consideriamo ora il lato sinistro […]. La prima fazione che incontriamo è un aggregato di gruppi eterogenei uniti insieme più dall’interesse che da qualche somiglianza di principi; esso include i moderati che, tra tutte le dottrine repubblicane, hanno sostenuto quella che sembra loro meno incompatibile con la preservazione di un governo monarchico. È composto da uomini deboli ma onesti che non hanno avuto il coraggio di unirsi a un gruppo della destra e hanno trovato rifugio nella sinistra; esso include inoltre i pedanti (beaux esprits), persone fornite di un sistema – la cui vanità e la cui abilità nel riempire un ruolo con alcune pagine di Rousseau, male interpretate o male applicate, hanno causato il loro innamoramento per l’ideale della democrazia regale […]. Come per i settari che formano un ramo di un medesimo albero, essi sono tutti super-economisti o menti oscure che, applicando gli eccessi della geometria metafisica alle scienze morali, scambiano gli uomini per blocchi di marmo, prendono le passioni per materiale da costruzione e considerano l’arte della legislazione come fosse un mero lavoro di scalpello […]. Un terzo gruppo dentro la maggioranza comprende tutti coloro per i quali sono necessari gli sconvolgimenti universali e le rivoluzioni giornaliere […]. Ma include anche uomini di principi, persone sincere nel loro entusiasmo […], che hanno preso l’abitudine di trasgredire le norme a causa della violenza dei tempi. Senza alcun dubbio, di tutti i gruppi della sinistra, questo è il più consistente […]. Esso vuol fare della Francia una democrazia; ha applicato con rigore il dogma dell’effettiva sovranità popolare […]; ha colto ciò che è palpabilmente evidente: essendo una costituzione cosa sostanzialmente repubblicana, la monarchia è divenuta un hors’d’oeuvre [“fuorilegge”] pericoloso […]. Questa fazione si è sviluppata a partire da profonde radici: è sostenuta, da un lato, dagli elementi di una costituzione simile a quella dei Grigioni […], e, dall’altro, dalla depravazione dei comportamenti, dall’abbattimento dei vecchi freni che provenivano dalla morale, dall’onore e dalla religione; trova incoraggiamento nell’indipendenza dei coniugi, dei figli, dei servi e dei giovani […]. Gli uomini che vengono emancipati dai loro doveri, dai loro affetti e dal loro sentire, sono veloci nel liberarsi da tutte le autorità […]. Verrà il momento in cui la Francia sarà divisa tra costoro e i monarchici intransigenti”.Una volta cancellati termini desueti come “Stati” mentre si mantiene la terminologia spaziale, si può facilmente applicare l’analisi della sinistra e della destra degli anni 1790 al tipo di partiti politici della Francia degli anni 1830 o 1880; rimossi i riferimenti alla monarchia, si può applicarla agli anni 1970. L’attaccamento alle doti di qualcuno e all’ordine gerarchico sono a destra; il desiderio di abbattere quell’ordine sta a sinistra. Le strutture gerarchiche esistenti, siano esse quelle politiche o quelle della Chiesa, trovano difesa a destra, ma sono vessate dalla sinistra.»

[1] Per una rappresentazione brillante cfr. François Furet e Denis Richet, La révolution: des états généraux au 9 thermidor, Hachette, Parigi 1965, pp. 96-97; sull’ordine spaziale all’apertura della sessione si veda anche una lettera del Lord di Dorset [sir Henry Digby (1731-1793)] del 7 maggio 1789, in James Matthew Thompson (a cura di), English Witnesses of the French Revolution, Blackwell, Oxford 1938, p. 30.

[2] Gazette Nationale ou Le Moniteur universel del 22 giugno; la Gazette fu ristampata negli anni 1850 dall’editrice Plon di Parigi sotto il titolo Réimpression de l’Ancien Moniteur. Per la parte qui riportata, cfr. vol. I, p. 91 di questa riedizione. Questa traduzione dal francese e le seguenti che appaiono in questo capitolo sono fatte dall’autore.

[3] Philippe-Joseph-Benjamin Buchez e Pierre-Célestin Roux, Histoire parlementaire de la révolution française, Journal des assemblées nationales depuis 1789 jusqu’en 1815, Paulin, Parigi 1834, p. 349.

[4] Réimpression de L’Ancien Moniteur, depuis la réunion des Etats-généraux jusqu’au Consulat (mai 1789-novembre 1799), con note esplicative, Plon, Parigi 1862, volume X, p. 40.".

Come sempre, Giorgianni dà degli ottimi spunti.
Di questa nota, che riprende un brano di Jean Laponce, sottolineo un punto, quello che recita:

"Ma il Terzo Stato, violando l’usanza e disobbedendo le istruzioni del re, si proclamò Assemblea Nazionale, promettendo di rimanere in seduta fin quando non avesse dotato il reame di una costituzione. Invitò poi gli altri due ordini a unirsi ad esso. Il 22 giugno, una larga parte del clero accettò l’invito. Riunitisi dunque nella chiesa di San Luigi a Versailles, i deputati fecero spazio per i chierici. La Gazette Nationale descrisse la scena: “Attorno alle 12:30, Monsieur Bailly annunciava di esser stato appena informato che la maggioranza del clero intendeva unirsi all’assemblea per le 13:00 – immediatamente quei membri dell’Assemblea Nazionale che erano seduti nella parte superiore della navata della chiesa, alla fine del santuario, svuotarono i loro seggi in quanto essi erano quelli più onorifici”[2]. La parte più sacra e superiore della chiesa divenne più tardi la destra dell’Assemblea. Al 25 giugno, una minoranza della nobiltà si unì al Terzo Stato e, al 27, il re, piegandosi a ciò che considerava essere inevitabile, ordinò ai rimanenti tra gli ordini privilegiati di unirsi al Terzo Stato. I posti a sedere in questa assemblea integrata avrebbero dovuto essere occupati secondo la tradizione, ma la separazione tra i tre stati era ormai abbattuta: alcuni aristocratici e molti del basso clero si unirono al Terzo Stato alla sinistra,mentre il rimanente del clero e gran parte dell’alto clero sedette con gli aristocratici sulla destra.".

Questo passaggio spiega il corso che prese la storia al momento della Rivoluzione francese del 1789.
Questo passaggio spiega, di fatto, quella che fu la nascita dello Stato relativista.
Il Terzo Stato, di fatto, iniziò a ricattare il re e disgregò la Chiesa gallicana.
Infatti, il basso clero si schierò con il Terzo Stato, dietro cui si mossero anche alcuni massoni, come Robespierre e Marat.
Fu qui che, di fatto, si formò la spaccatura tra clero giurato, quel clero che giurò fedeltà alla Costituzione civile del clero, ed il clero refrattario, il clero che rimase fedele al Papato.
A ciò, si unì quel relativismo che fu presente, per esempio, nella massoneria e che caratterizzò la vita di quei partiti che si formarono.
Questa tendenza caratterizzò, soprattutto, il partito del Terzo Stato, a cui si unirono pezzi di aristocrazia e di clero.
Questo partito fu l'antesignano dei partiti che attualmente ci sono in Europa.
Ciò distingue la scuola politica europea da quella anglosassone.
Quest'ultima (che è quella che preferisco) si sviluppò con un processo graduale, un processo che iniziò a Runnymae, nel 1215, quando re Giovanni Senza Terra dovette firmare la Magna Charta Libertatum.
Fatto salvo quello che successe tra il 1642 ed il 1649 (con la Guerra Civile, il martirio di re Carlo I Stuart e la dittatura di Oliver Cromwell) in Inghilterra non ci furono grandi scossoni.
Nacquero due partiti, i Wighs ed i Tories.
I primi erano il partito della borghesia, del popolo e del presbiterianesimo mentre il secondo era il partito del re, degli aristocratici e della Chiesa anglicana. Era anche il partito più incline a simpatizzare con i cattolici.
Oggi questo sistema è rimasto.
Nel sistema europeo, invece, si formarono dei "partiti di popolo" e spesso trasversali, partiti i cui membri non concepivano la politica come un'aristocrazia democratica (come nel modello inglese) ma semplicemente come un mezzo per avere il potere.
Il linguaggio politico decadde e ben presto i partiti si frammentarono in correnti e particolarismi.
Infatti, il popolo è fatto da varie realtà e queste tendono ad agire secondo il proprio interesse.
Quello che, ad esempio, vediamo nell'Italia di oggi è esattamente questo.
Cordiali saluti.




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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.