Cari amici ed amiche.
L'amico Filippo Giorgianni (un ragazzo che merita di essere valorizzato, a cui auguro ogni bene e che ha la mia stima) ha portato alla mia attenzione questo testo di Murray Newton Rothbard che è intitolato "Egalitarism as a Revolt Against Nature and Other Essays" che recita:
"
Procediamo, quindi, ad una critica dell’ideale egalitario in sé – è giusto che all’uguaglianza venga riconosciuto il suo attuale status di ideale etico indiscusso? In primo luogo, dobbiamo confrontarci con l’idea stessa della separazione radicale fra qualcosa che sia “vera in teoria” ma “non valida in pratica”. Se una teoria è corretta, allora funziona nella pratica; se non funziona in pratica, allora è una cattiva teoria. La diffusa separazione fra teoria e pratica è artificiale e fallace. Ma questo è vero nell’etica così come in qualsiasi altro settore. Se un ideale etico è in sé “non pratico”, cioè se non può funzionare nella pratica, allora è un mediocre ideale e dovrebbe essere scartato immediatamente. Più precisamente, se un obiettivo etico viola la natura dell’uomo e/o dell’universo e, pertanto, non può funzionare nella pratica, allora è un ideale sbagliato e dovrebbe essere scartato come obiettivo. Se l’obiettivo in sé viola la natura dell’uomo, allora è anche un’idea sbagliata operare in direzione di quell’obiettivo. Supponiamo, per esempio, che venga adottato come obiettivo etico universale che tutti gli uomini possano volare agitando le braccia. Ammettiamo che ai “pro-volo” siano state generalmente concesse la bellezza e la qualità del loro obiettivo, ma siano stati criticati come “non pratici”. Ma il risultato è un’infinita miseria sociale poiché la società prova continuamente a muoversi verso il volo a braccia, ed i predicatori del volo a braccia rovinano la vita di tutti accusandoli di essere troppo negligenti o peccatori per raggiungere l’ideale comune. La critica adeguata qui è di sfidare l’obiettivo “ideale” in sé; precisare che l’obiettivo in sé è impossibile in considerazione della natura fisica dell’uomo e dell’universo; e, pertanto, liberare l’umanità dal suo asservimento ad un obiettivo intrinsecamente impossibile e, conseguentemente, malvagio. Ma questa liberazione potrebbe non accadere mai finché gli anti-volo a braccia continueranno a stare solamente nel regno del “pratico” e a concedere l’etica e l’“idealismo” agli alti sacerdoti del volo a braccia. La sfida deve aver luogo alla radice – sulla presunta superiorità etica di un obiettivo assurdo. Lo stesso, sostengo, è vero per l’ideale egalitario, salvo che le sue conseguenze sociali sono molto più perniciose di un’aspirazione incessante al volo umano senza supporti meccanici. Perché la condizione dell’uguaglianza danneggerebbe molto di più l’umanità. Che cos’è, infatti, l’“uguaglianza”? Il termine è stato molto invocato ma poco analizzato. A e B sono “uguali” se sono identici tra loro rispetto a un dato attributo. Quindi, se Smith e Jones sono alti entrambi esattamente un metro e ottanta, allora si può dire che sono di altezza “uguale”. Se due bastoni sono identici in lunghezza, allora le loro lunghezze sono “uguali”, ecc. C’è un modo e uno solo, quindi, in cui due persone qualsiasi possono davvero essere “uguali” nel senso più completo: devono essere identiche in tutti i loro attributi. Questo significa, naturalmente, che l’uguaglianza di tutti gli uomini – l’ideale egalitario – può essere realizzato soltanto se tutti gli uomini sono precisamente uniformi, precisamente identici relativamente a tutti i loro attributi. Il mondo egalitario sarebbe necessariamente un mondo da film dell’orrore – un mondo di creature anonime ed identiche, privo di qualsiasi individualità, varietà, o specifica creatività. In effetti, è precisamente nei film dell’orrore che le implicazioni logiche di un mondo egalitario sono state compiutamente descritte. Il professor Schoeck ha riesumato per noi la descrizione di un simile mondo nel racconto inglese contro l’utopia Facial Justice di L.P. Hartley, in cui l’invidia è istituzionalizzata dallo Stato assicurando che i volti di tutte le ragazze siano ugualmente graziosi, eseguendo operazioni chirurgiche sia sulle ragazze belle che su quelle brutte per livellare le loro fattezze verso l’alto o verso il basso, al comune denominatore generale[1]. Un racconto di Kurt Vonnegut fornisce una descrizione ancor più completa di una società completamente egalitaria. Così, Vonnegut comincia il suo racconto, Harrison Bergeron: “L’anno era il 2081 e tutti erano infine uguali. Non erano uguali soltanto davanti a Dio ed alla legge. Erano uguali in ogni senso. Nessuno era più intelligente degli altri. Nessuno era più bello degli altri. Nessuno era più forte o più veloce degli altri. Tutta questa uguaglianza era dovuta agli Emendamenti alla Costituzione numero 211, 212 e 213 ed alla incessante vigilanza degli agenti dell’Handicappatore Generale degli Stati Uniti”. L’“handicap” funzionava in parte nel seguente modo: “Hazel aveva un’intelligenza perfettamente media, il che significa che non poteva pensare a qualcosa tranne in brevi lampi. E George, dato che la sua intelligenza era parecchio sopra la norma, aveva una piccola radio per handicap mentale nel suo orecchio. Era tenuto per legge a portarla sempre. Era sintonizzata con un trasmettitore del governo. Ogni circa venti secondi, il trasmettitore inviava un qualche rumore acuto per impedire alle persone come George di trarre ingiusto vantaggio dal loro cervello”[2]. L’orrore che tutti proviamo istintivamente davanti a queste storie è il riconoscimento intuitivo che gli uomini non sono uniformi, che la specie, l’umanità, è caratterizzata in modo unico da un alto grado di varietà, diversità, differenziazione: in breve, diseguaglianza. Una società egalitaria può soltanto sperare di realizzare i suoi obiettivi con metodi totalitari di coercizione; e, persino in questo caso, tutti speriamo e crediamo che lo spirito umano dell’individuo si solleverebbe e contrasterebbe qualsiasi tentativo di realizzare un mondo formicaio. In breve, la rappresentazione di una società egalitaria è un film dell’orrore perché, quando le implicazioni di un mondo simile sono completamente esplicitate, riconosciamo che un tale mondo e tali tentativi sono profondamente antiumani; essendo antiumani nel senso più profondo, l’obiettivo egalitario è, quindi, malvagio ed ogni tentativo nella direzione di un simile obiettivo deve essere considerato anch’esso malvagio. Il grande fatto della differenza individuale e della varietà (ovvero: diseguaglianza) è evidente nella lunga storia dell’esperienza umana; da cui, il riconoscimento generale della natura antiumana di un mondo di uniformità obbligata. Socialmente ed economicamente, questa varietà si manifesta nell’universale divisione del lavoro e nella “Legge Ferrea dell’Oligarchia” – la comprensione del fatto che, in ogni organizzazione o attività, pochi (generalmente i più abili e/o i più interessati) diventeranno leader, mentre la massa degli altri membri riempirà i ranghi dei seguaci. In entrambi i casi, si verifica lo stesso fenomeno: in ogni data attività il successo o la guida eccezionali sono raggiunti da quella che Jefferson ha chiamato “aristocrazia naturale”, coloro che sono più portati per quell’attività. L’antichissima storia della diseguaglianza sembra indicare che tali varietà e diversità siano radicate nella natura biologica dell’uomo. Ma è precisamente tale conclusione sulla biologia e la natura umana ad essere in assoluto la più irritante per i nostri egalitari. Persino per gli egalitari sarebbe difficile negare il dato storico, ma la loro risposta è che la colpa è della “cultura”; e poiché ovviamente sostengono che la cultura è un puro atto della volontà, ne consegue che l’obiettivo di cambiare la cultura e di inculcare l’uguaglianza nella società si mostra raggiungibile. In questo campo, gli egalitari si liberano da qualsiasi pretesa di scientificità; a loro piace poco dover riconoscere la biologia e la cultura come fattori mutualmente interagenti. La biologia deve essere tolta di mezzo rapidamente e completamente. Riflettiamo su un esempio volutamente semi-frivolo. Supponiamo di osservare la nostra cultura e trovarvi un’asserzione comune del tipo: “le persone con i capelli rossi sono eccitabili”. Ecco un giudizio di diseguaglianza, la conclusione che quelli con i capelli rossi come gruppo tendono a differire dal resto della popolazione. Supponiamo, quindi, che i sociologi egalitari studino il problema e trovino che quelli con i capelli rossi, effettivamente, tendano ad essere più eccitabili degli altri in misura statisticamente significativa. Invece di ammettere la possibilità di un certo tipo di differenza biologica, l’egalitario aggiungerà rapidamente che la “cultura” è responsabile del fenomeno: lo “stereotipo” comunemente accettato secondo cui quelli con i capelli rossi sono eccitabili è stato inculcato in ogni bambino con i capelli rossi in giovane età e lui o lei ha semplicemente interiorizzato questi giudizi e si comporta nel modo in cui la società si aspetta che faccia. A quelli con i capelli rossi, in breve, è stato fatto il “lavaggio del cervello” dalla cultura dominante di quelli con i capelli non rossi. Anche se non stiamo negando la possibilità che un simile processo possa avvenire, questa diffusa preoccupazione sembra decisamente improbabile se sottoposta ad un’analisi razionale. Perché lo spauracchio “cultura” degli egalitari assume implicitamente che la “cultura” arrivi e si accumuli in modo aleatorio, senza riferimento ai fatti sociali. L’idea che “quelli con i capelli rossi sono eccitabili” non è nata dal nulla o per intervento divino; in che modo, dunque, l’idea si è prodotta ed ha guadagnato valenza generale? Uno degli strumenti preferiti dagli egalitari è di attribuire ogni simile dichiarazione d’identificazione di gruppo ad oscure pulsioni psicologiche. Il pubblico aveva una necessità psicologica di accusare un certo gruppo sociale di eccitabilità e quelli con i capelli rossi sono stati scelti come capri espiatori. Ma perché sono stati scelti loro? Perché non i biondi o le brunette? Comincia a formarsi l’orribile sospetto che forse quelli con i capelli rossi sono stati scelti perché erano e sono effettivamente più eccitabili e che, quindi, lo “stereotipo” della società è semplicemente una generale comprensione dei fatti della realtà. Certamente questa spiegazione rende conto maggiormente dei dati e dei processi in corso ed è inoltre una spiegazione molto più semplice. Considerata la cosa in maniera obiettiva, sembra essere una spiegazione molto più ragionevole dell’idea della cultura come spauracchio arbitrario e ad hoc. In caso affermativo, allora potremmo concludere che quelli con i capelli rossi sono biologicamente più eccitabili e che la propaganda riversata su di loro dagli egalitari che li invitano ad essere meno eccitabili è un tentativo di indurli a violare la loro natura; quindi, è questa propaganda a posteriori che può essere più esattamente denominata “lavaggio del cervello”. Questo non vuol dire, naturalmente, che la società non possa mai fare un errore e che i suoi giudizi sulle identità dei gruppi siano sempre radicati nei fatti. Ma a me pare che l’onere della prova spetti molto più agli egalitari che ai loro presunti “non illuminati” avversari. Dal momento che gli egalitari cominciano con l’assioma a priori secondo cui tutte le persone, e quindi tutti i gruppi di persone, sono uniformi ed uguali, allora secondo loro segue che ciascuna e tutte le differenze di gruppo relative allo status, al prestigio, o all’autorevolezza nella società devono essere il risultato di ingiusta “oppressione” ed irrazionale “discriminazione”. La prova statistica dell’“oppressione” di quelli con i capelli rossi procederebbe in una maniera fin troppo familiare nella vita politica americana; potrebbe essere mostrato, per esempio, che il loro reddito medio è più basso di quello degli altri, ed inoltre che la percentuale di uomini d’affari, professori universitari, o parlamentari con i capelli rossi è più bassa della loro quota nella popolazione. La manifestazione più recente e significativa di questo tipo di pensiero per quote si è verificata nel movimento di McGovern alla Convention Democratica del 1972. Alcuni gruppi furono individuati come “oppressi” a causa di un numero di delegati alle convention precedenti al di sotto della loro quota percentuale nella popolazione complessiva. In particolare, vennero designati come oppressi le donne, i giovani, i neri, i chicanos (o il cosiddetto Terzo Mondo); di conseguenza, il Partito Democratico, sotto la guida del pensiero egalitario per quote, ignorò le scelte dei votanti per imporre la dovuta quota di rappresentanza di questi gruppi particolari. In alcuni casi, il distintivo dell’“oppressione” era una costruzione quasi ridicola. Che i giovani dai 18 ai 25 anni fossero “sottorappresentati” poteva essere facilmente posto nella giusta prospettiva attraverso una reductio ad absurdum, certamente un qualche appassionato riformatore macgoverniano avrebbe potuto alzarsi per sottolineare la grave “sottorappresentazione” dei cinquenni alla convention e sollecitare che il blocco dei cinquenni ottenesse immediatamente quanto dovuto. È un’acquisizione biologica e sociale di semplice buonsenso rendersi conto che i giovani guadagnano il loro spazio nella società attraverso un processo di apprendistato; i giovani sanno meno ed hanno meno esperienza degli adulti maturi, cosicché dovrebbe essere chiaro perché tendono ad avere minor status ed autorità dei loro vecchi. Ma accettare questo significherebbe indurre nella dottrina egalitaria qualche dubbio sostanziale; di più, sarebbe un’offesa al culto della gioventù che è stato a lungo un grave problema della cultura americana. E così i giovani sono stati debitamente indicati come “classe oppressa”, e l’imposizione della loro quota è stata concepita come semplice riparazione per la loro precedente condizione di sfruttati[3]. [...] Gli individui differiscono l’uno dall’altro anche nei più minuscoli dettagli dell’anatomia e della chimica e fisica del corpo; impronte digitali e dei piedi; struttura dei capelli a livello microscopico; distribuzione dei peli sul corpo, creste e “lune” sulle unghie delle mani e dei piedi; spessore della pelle, suo colore, sua tendenza a produrre delle bolle; distribuzione delle terminazioni nervose sulla superficie del corpo; dimensione e forma delle orecchie, dei canali uditivi, o canali semicircolari; lunghezza delle dita; carattere delle onde cerebrali (piccoli impulsi elettrici emanati dal cervello); numero esatto dei muscoli nel corpo; azione cardiaca; resistenza dei vasi sanguigni; gruppi sanguigni; tasso di coagulazione del sangue – e avanti così quasi ad infinitum. Oggi sappiamo molto su come funzioni l’ereditarietà e come è non solo possibile ma certo che ogni essere umano possiede per ereditarietà un mosaico eccezionalmente complesso, composto di migliaia di oggetti, specifico per lui solo[9]. Anche la base genetica della diseguaglianza nell’intelligenza è diventata sempre più evidente, malgrado l’abuso emotivo riversato su tali studi da colleghi scienziati così come dal pubblico. Fra i modi in cui è stata raggiunta questa conclusione vi sono gli studi su gemelli identici cresciuti in ambienti opposti; ed il professor Richard Herrnstein ha recentemente stimato che l’80 per cento delle differenze nell’intelligenza umana è di origine genetica. Herrnstein conclude che qualsiasi tentativo politico di fornire un’uguaglianza ambientale per tutti i cittadini potrà soltanto intensificare il grado di differenze socio-economiche causate dalla variabilità genetica[10]. La rivolta egalitaria contro la realtà biologica, per quanto significativa, è soltanto un sottoinsieme di una ribellione più profonda: contro la struttura ontologica della realtà in sé, contro la “stessa organizzazione della natura”; contro l’universo come tale. Al cuore della sinistra egalitaria c’è la credenza patologica che non esista una struttura della realtà; che tutto il mondo sia una tabula rasa che può essere modificata in qualsiasi momento in qualsiasi direzione voluta per mezzo del semplice esercizio della volontà umana – in breve, che la realtà possa immediatamente essere trasformata dal mero desiderio o dal capriccio degli esseri umani. È senza dubbio questo tipo di pensiero infantile alla base dell’appassionata posizione di Herbert Marcuse a favore della negazione completa dell’attuale struttura della realtà e per la sua trasformazione in ciò che egli ritiene sia il suo vero potenziale. Da nessun’altra parte l’attacco della sinistra alla realtà ontologica è più evidente che nei sogni utopistici su come sarà la futura società socialista. Nel futuro socialista di Charles Fourier, secondo Ludwig von Mises, tutte le bestie nocive saranno scomparse, ed al loro posto ci saranno animali che aiuteranno l’uomo nel suo lavoro – o persino faranno il lavoro al posto suo. Un anticastoro si occuperà della pesca; un antibalena sposterà le navi in porto; un antiippopotamo rimorchierà le barche sul fiume. Anziché il leone ci sarà un antileone, uno destriero di meravigliosa velocità, sulla cui groppa il cavaliere si siederà confortevolmente quanto in un carro ben ammortizzato. “Sarà un piacere vivere in un mondo con tali servitori.”[11]»
[1] Helmut Schoeck, Envy, Harcourt, Brace, and World, New York 1970, pp. 149–155.
[2] Kurt Vonnegut Jr., Harrison Bergeron, in Welcome to the Monkey House, Dell, New York 1970, p. 7.
[3] Gli egalitari, fra i loro altri impegni, sono stati attivamente occupati nel “correggere” la lingua inglese. L’uso della parola “ragazza”, per esempio, è ora considerato una grave diminuzione e degradazione della gioventù femminile che implica la sua naturale sottomissione agli adulti. Di conseguenza, gli egalitari di sinistra ora si riferiscono alle ragazze virtualmente di ogni età come “donne”, e possiamo aspettarci fiduciosi di leggere delle attività di “una donna di cinque anni”.
[9] Roger J. Williams, Free and Unequal, University of Texas Press, Austin 1953, pp. 17 e 23. Vedi anche Williams, Biochemical Individuality, John Wiley, New York 1963, e You are Extraordinary, Random House, New York 1967.
[10] Richard Herrnstein, IQ, in The Atlantic Monthly, anno CV, n. 3, Boston settembre 1971, pp. 43-64.
[11] Ludwig von Mises, Socialism: An Economic and Sociological Analysis, Yale University Press, New Haven 1951, pp. 163–164.".
Filippo ha portato alla mia attenzione un argomento molto importante ed io lo voglio commentare. Lo commento con piacere.
Quando definisco "satanismo" l'ideologia comunista, voglio dire esattamente che tale ideologia è contro il sistema creato da Dio e, di conseguenza, la natura stessa.
Ogni uomo fu creato da Dio con caratteristiche diverse da quelle dei suoi simili.
Nella natura stessa, ogni essere vivente è irripetibile.
Ora, cercare di imporre l'uguaglianza con un'ideologia politica è contro il principio della natura e quindi contro Dio stesso.
Fondamentalmente, ciò si chiama egualitarismo.
Tutto quello che va contro Dio non può essere non chiamato, se pur in senso lato, "satanismo".
Il satanismo non è solo la messa nera o l'insieme di riti ancora peggiori ma è rappresentato da ogni cosa che va contro Dio e ciò che egli fece.
L'uguaglianza non può essere imposta perché ogni uomo (grazie a Dio) è diverso dai suoi simili.
C'è chi ha un certo tipo di talento, di sensibilità e di ambizioni e c'è chi ne ha altri.
Il primo esempio di egualitarismo moderno fu in Inghilterra, durante la I Rivoluzione (1642-1660).
Qui nacque il movimento dei "
livellatori" ("in inglese "
levellers") un movimento vicino a Oliver Cromwell che distrusse la monarchia e fece sì che il re Carlo I Stuart, il Re Martire, fosse destituito e decapitato.
Con l'aiuto di questi, Cromwell cercò di imporre l'uguaglianza, cercando di spacciarla per diritti, indipendenza dello Stato dalla Chiesa ed eliminazione di ogni estremismo.
In reatà, Cromwell tentò di distruggere ogni cosa che contrastava con ciò che andava contro quell'ordine di uguaglianza che egli volle imporre.
Travestito da "moderato", Cromwell mostrò il suo estremismo.
Lo stesso principio valse per la Rivoluzione francese e per le ideologie del secolo scorso, comunismo e nazismo.
Tutte queste ideologie si presentarono come positive e portatrici di uguaglianza, diritti e giustizia.
Invece, portarono solo morte e distruzione.
L'uguglianza, quella vera, esiste già.
Noi tutti siamo uguali agli occhi di Dio e della storia, quella vera e non quella raccontata da certe fonti storiografiche.
Siamo uguali, pur con le diversità che caratterizzano ciascuno di noi.
Cordiali saluti.