Cari amici ed amiche.
Il Santuario della Santa Casa a Loreto è uno dei luoghi più simbolici della cristianità.
Qui vi è la Santa Casa, la casa della Vergine Maria, che fu portata dalla Terra Santa dai Cavalieri Templari.
La teoria che vede queste cavalieri protagonisti di questa opera è avallata dal ritrovamento di croci rosse di stoffa risalenti al Medio Evo.
Questo santuario ha in sé delle cappelle particolari:
la Cappella tedesca, quella slava, quella francese, quella polacca, quella di San Giovanni, quella dei duchi di Urbino, quella di San Giuseppe (o cappella spagnola), quella dei Santi Gioacchino ed Anna (o cappella svizzera), la Cappella del Crocifisso, le cappelle laterali del Bramante, la Sala del Pomarancio, la Cupola e la Cappella dell'Assunta.
Quest'ultima è molto particolare.
Infatti, la Cappella dell'Assunta è detta anche Cappella Americana, poiché fu decorata con offerte dei cattolici americani di lingua inglese, per iniziativa della Congregazione Universale, da Beppe Steffanina negli anni 1953-1970.
In essa vi è la rappresentazione pittorica della storia del volo, dal mito di Icaro a Leonardo da Vinci, quasi ad esaltare la scienza umana, scienza che, se usata bene, può portare molto bene o, in caso contrario, può fare danni.
In questo santuario vi è la storia di tutto l'Occidente.
Ora, anche negli Stati Uniti d'America vi è una forte devozione mariana.
Lo dimostra il fatto che, ad esempio, nella sua capitale, Washington, vi sia la Basilica del Santuario Nazionale dedicato all'Immacolata Concezione.
Questo ci deve fare riflettere sul ruolo della cristianità che è l'unica vera cosa che unisce l'Europa e le due sponde dell'Oceano Atlantico.
Chi vuole rinnegare le radici giudaico-cristiane dell'Occidente vuole uccidere quest'ultimo.
Cordiali saluti.
The Liberty Bell of Italy, una voce per chi difende la libertà...dalla politica alla cultura...come i nostri amici americani, i quali ebbero occasione di udire la celebre campana di Philadelphia nel 1776, quando fu letta la celeberrima Dichiarazione di Indipendenza. Questa è una voce per chi crede nei migliori valori della nostra cultura.
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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino
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venerdì 11 maggio 2012
Filippo Giorgianni, "Recensione a 'La destra e la sinistra'", in 'Cultura & Identità' n. 16/2012, pagg. 82-87
Cari amici ed amiche.
Leggete questa interessante nota scritta da Filippo Giorgianni:
"JEAN MADIRAN, La destra e la sinistra, con una prefazione di Francesco Agnoli e una introduzione di Roberto de Mattei, Fede&Cultura, Verona 2011, 96 pp., € 10,50
Jean Madiran, pseudonimo di Jean Arfel, è scrittore e politico cattolico nato nel 1920, esponente del tradizionalismo francese ed ex collaboratore del monarchico Charles Maurras (1868-1952) e del suo quotidiano (e movimento omonimo) Action Française. È stato fondatore della rivista cattolicaItinéraires, è ora direttore del quotidiano Présent ed è vicino al partito Front National. La sua copiosa produzione editoriale è quasi non pervenuta in Italia, tranne qualche opera pubblicata nel variegato mondo gravitante intorno all’estinto Movimento Sociale Italiano. Di recente si è assistiti a un ritorno di interesse per taluni suoi scritti, tra cui questo volumetto, già pubblicato nel 1977 dalle editrice Volpe e oggi ripubblicato con le introduzioni di Francesco Agnoli (pp. 5-10) e Roberto de Mattei (pp. 11-14) – che, per lo più, si muovono (specie Agnoli) all’interno del quadro delineato dall’autore. Tale opera cerca di descrivere il rapporto che intercorre tra i due termini della dicotomia politica ma, pur basandosi anche su osservazioni storiche, non è una ricostruzione storica accurata, bensì un testo politologico che si appunta su alcune caratteristiche strutturali del rapporto tra i due termini. Va segnalato che la nuova traduzione è talvolta poco corretta rispetto all’originale francese e all’edizione Volpe, nonché viziata da alcuni errori di battitura. Il punto di partenza di Madiran è che la distinzione politica destra-sinistra nasce a sinistra: ove si ponga mente al fatto che, prima della Rivoluzione del 1789, il sistema politico non si basava su di una democrazia parlamentare, bensì su di un’omogeneità religiosa e valoriale della società che non conosceva la distinzione tra due poli concettualmente contrapposti, e ove si ponga mente al fatto che l’introduzione in politica dei termini destra e sinistra sia stata prodotta dalla Rivoluzione francese, si potrebbe cioè dire che essa è frutto della sinistra, in quanto la Rivoluzione che ha introdotto i due termini è stata portata avanti da quelle forze che a sinistra si collocarono. Per questo, l’autore scrive: «La distinzione fra una destra ed una sinistra è sempre un’iniziativa della sinistra» (p. 23) e aggiunge ulteriormente – con argomento che accompagna tutto il testo – che, nascendo in questo modo, la distinzione politica si basa su di una guerra asimmetrica tra sinistra e destra, dove il polo forte è la sinistra: «Coloro che instaurano o rilanciano il gioco “destra-sinistra” fanno parte essi stessi della sinistra […]. Questa forma di lotta politica era sconosciuta prima del 1789.[…] Non esiste una distinzione oggettiva fra destra e sinistra […]. Vi è all’origine un atto di pura volontà, che instaura il gioco “destra-sinistra” o, più esattamente, il gioco “sinistra contro destra”» (pp. 23-24). Su questa scia, il testo prende velocemente ma brillantemente a considerare le caratteristiche della sinistra. Essa, pur nelle sue varie manifestazioni, è corrosiva della realtà, sovversiva, demolitrice dell’ordine (cristiano e naturale): in una sola parola, è rivoluzionaria (p. 42): «La sinistra opprime ciò che è, nel nome di ciò che sarà e che non è mai qui; è il segreto del movimento perpetuo in politica» (p. 70). Svolgendo questa analisi della sinistra – per quanto abbozzata e ondivaga –, Madiran ha l’indubbio merito di esporre due sue caratteristiche effettive: l’esser intimamente anticristiana e l’aver carattere processuale. Con riguardo al primo elemento, Madiran sottolinea come, essendo nata la sinistra in contrapposizione con l’ordine cristiano medievale, e partendo da basi diverse (e opposte) a quelle del cristianesimo, qualunque incontro tra sinistra e cristianesimo è impossibile: «Poiché la sinistra lotta contro l’ingiustizia e anche il Cristianesimo lotta contro l’ingiustizia, si è arrivati nel ventesimo secolo a confonderli. E non è la sinistra a creare, per lo più, questa confusione, sono i cristiani e ciò è già un indizio; se il Cristianesimo fosse sostanzialmente di sinistra, la sinistra finirebbe per accettare i cristiani[…]. Sinistra e Cristianesimo lottano entrambi contro l’ingiustizia e talvolta anche contro la stessa ingiustizia, ma mai nella stessa maniera; mai salvo contaminazione del metodo cristiano con quello della sinistra. I due sistemi non possono, d’altronde, associarsi in quanto essi non sono né paralleli né convergenti; essi sono in verità contrari. La sinistra combatte l’ingiustizia mediante la ribellione delle vittime, il Cristianesimo combatte l’ingiustizia mediante la conversione dei peccatori. Questi due metodi si escludono» (pp. 33-34). Per questa ragione, come spiega bene il capitolo II (pp. 31-40), il vero e unico nemico della sinistra è il cristianesimo, un nemico che è anche politico, come dice il capitolo V (pp. 69-80), stigmatizzando l’atteggiamento di certi cristiani che in ambito socio-politico accantonano la propria fede, dimenticando come, sebbene il Vangelo non sia un messaggio politico, esso abbia anche una sua rilevanza politica. Inoltre, la sinistra ha carattere processuale: è un aspetto osservato anche da molti altri autori – tra cui Francisco Elías de Tejada (1917-1978), Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Thomas Molnar (1921-2010), Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) e Vittorio Mathieu – e che, come nota Madiran, è dovuto al carattere utopico della sinistra: essendo rivoluzionaria, volendo eliminare l’esistente in nome dell’illusione irrealizzabile (l’utopia), una volta che la sua utopia fallisca – com’è necessario che succeda, in quanto irrealizzabile –, la mentalità della sinistra la spingerà a cercarenuove mete illusorie, in un continuo gioco di fallimenti e nuovi slanci: « La sinistra opprime ciò che è, nel nome di una speranza che è sempre una falsa speranza. Dal 1789 le promesse della sinistra, sempre e comunque vittoriosa di rivoluzione in rivoluzione, non sono mai state mantenute e ciò era chiaramente impossibile: ma il suo insaziabile messianismo temporale è ogni volta rimbalzato in una nuova utopia» (p. 70). In tal modo, la sinistra, pur essendo unitaria nella sua mentalità rivoluzionaria, non è una, ma molte, e ogni nuova sinistra tende a rigettare “a destra” le vecchie sinistre fallite. In tutto questo gioco, secondo l’autore, proprio a causa del fatto che la sinistra ha creato la distinzione e a causa di questo suo carattere processuale che colloca “a destra” ciò che rigetta, la destra si troverebbe in condizione di minorità perpetua: essa non si caratterizzerebbe da sé, ma sarebbe solo la proiezione di ciò che la sinistra vuole che sia la destra. La sinistra sarebbe colei che, dopo essersi collocata ed essersi data un contenuto sullo scenario politico, decide cosa sia la destra, costringendo coloro che sono a destra a subire la collocazione operata dalla sinistra. Del resto – spiega il capitolo III (pp. 41-53) –, la sinistra, pretendendo di risolvere le ingiustizie e i mali del mondo col metodo di sobillare le vittime ed eliminare quindi i “cattivi” (p. 41), si trova sempre con la necessità di dover additare qualcuno come “nemico” – in ciò contrapponendosi al cattolicesimo (p. 49) –, bollando questo nemico come “destra” anche quando questi sia, in realtà, una produzione della sinistra (pp. 41-42): «Una sinistra si costituisce per abbattere uomini, istituzioni, leggi: essa chiama “destra” uomini e cose da abbattere; uomini e cose spesso scaturiti essi stessi, nel mondo moderno, da una rivoluzione di sinistra. È l’eterno gioco della rivoluzione» (p. 42). Così, ad es., Jozif Stalin (1878-1953) metteva a morte gli avversari con l’accusa di essere “reazionari”, nonostante fossero membri del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) (p. 41), e, mentre l’U.R.S.S. invadeva l’Ungheria nel 1956, gli insorgenti ungheresi e il loro stesso leader, Primo ministro marxista, Imre Nagy (1896-1958) (pp. 52-53), venivano apostrofati come “controrivoluzionari” dai partiti comunisti internazionali. E, ancora, quando le conviene, la sinistra considera “di destra” uomini e movimenti filosofico-politici provenienti da (e culturalmente di) sinistra: la sinistra «Ributta a destra il vecchio socialista Pierre Laval [1883-1945] e il vecchio socialista [Benito] Mussolini [1883-1945], rappresenta [Adolf] Hitler [1889-1945], demagogo socialista e rivoluzionario, come uomo di destra. Come uomo di destra, Charles de Gaulle [1890-1970], salito al potere nel 1944 con i comunisti con i quali ha governato. La sinistra dispone a sinistra a suo beneplacito la nomenclatura» (pp. 25-26). Per questa ragione, Madiran, pur vedendo nel cristianesimo il vero avversario della sinistra, non riesce ad ammettere che la destra si possa del tutto immedesimare con esso (p. 39), in quanto il cristianesimo autentico – «tradizionale» (p. 40) – sarebbe sì rigettato “a destra” dalla sinistra, ma insieme ad altre forze. La “destra” quindi non si connoterebbe per un contenuto ben definito e oggettivo, nonostante Madiran ne abbozzi, qua e là nel testo, dei caratteri tipici, e nonostante la rimproveri – specie al capitolo IV (pp. 54-68) – di voler spesso imitare la sinistra (p. 31), facendo così il gioco di quest’ultima. Tuttavia, egli non può fare a meno di rilevare come, per forza di cose, la destra finisca col difendere i principi religiosi: se la sinistra, nel suo relativismo processuale e nel suo anticristianesimo, è materialista e riduce tutto all’ambito temporale, abusandone – «La sinistra è l’eccesso di fiducia nel temporale, è l’uso sistematico, è l’abuso dei mezzi temporali» (p. 58) –, la destra «rappresenta lo spirituale, ma comodamente distesa nel più confortevole letto da campo del temporale, come diceva [Charles] Péguy [1873-1914]» (p. 58). Inoltre, Madiran vede opportunamente come la destra si connoti moralmente – la morale che la sinistra demolisce – e scrive: «La destra è, inoltre, sensibile ai sentimenti morali: la virtù del patriottismo, l’onestà (l’onestà di bilancio dell’ortodossia economica, non già quella dei deficit, della svalutazione), la vita familiare, l’ordine, la sicurezza; la legge morale naturale» (pp. 55-56). Il libro poi conclude (pp. 81-92) con una sorta di programma della destra, che parte dalla presa d’atto che la sinistra vince inculcando una contro-educazione nelle masse, specie giovanili, attraverso i media, e quindi esso, accanto a proposte non del tutto realizzabili – come limitare l’impatto dei media –, propone di operare, contro questa diseducazione di sinistra, una lotta culturale che restauri la legge naturale nell’uomo, divelta dal rivoluzionarismo: è «il ripristino, come legge fondamentale dello Stato, delle regole della morale naturale che sono quelle di tutti i popoli e di tutti i tempi e che sono riassunte nel Decalogo […]. Il bene comune temporale, sola finalità reale di ogni azione politica, consiste in null’altro, essenzialmente, che nella trasmissione, spiegazione, illustrazione e osservanza del Decalogo» (p. 88). Sicuramente il testo evidenzia elementi reali e importanti, ma si appunta solo su una parte della realtà con riguardo al termine destra. La sensazione che Madiran lascia al suo lettore è che esser di destra sia qualcosa che vada rivendicatocon riluttanza, nonostante tale riluttanza sia conveniente alla sinistra. Madiran, per quanto sia di formazione tomistica e si renda conto della necessità di rafforzare la posizione della destra (p. 69), di fronte agli attacchi della sinistra, non riconosce un’autonomia ontologica alla destra e fa propria la lettura relativista dei termini destra e sinistra fatta dai progressisti – Norberto Bobbio (1909-2004), Marco Revelli, etc. –, cedendo parzialmente ed inspiegabilmente alla loro ottica dialettica (hegeliana). Così, non definendo precisamente cosa essa sia, facendone un contenitore vuoto, la lettura del testo può tendere a giustificare il rifiuto della categoria destra, abbandonando l’azione politica e divenendo irrilevanti, oppure rischia di porre le basi per far collocare malamente il lettore sullo scacchiere politico, confondendo di più un ambito di studi ingiustificatamente già intricato e disperdendo i consensi in forze non alternative alla sinistra – tra cui i centri, categorie ibride che lo stesso Madiran rifiuta (p. 30) e che finiscono sempre storicamente col derubare le destre di consensi per poi cedere alle sinistre –, facendo così proliferare (presunte) “destre” di tutti i tipi – anche molto simili alle sinistre, e quindi non alternative ad esse –, legittimandone l’esistenza e lasciando che la distinzione politica sia in balìa dell’istintualità, della soggettività, e non del rigoroso studio storico e filosofico-politico. In tal senso, Madiran non vede del tutto come la “destra” subisca la distinzione politica proprio a causa del fatto che non prende mai troppa coscienza di sé: se le “destre” sono sempre in posizione minoritaria, non avendo pensatori di riferimento e cinghie di trasmissione – giornalisti, intellettuali, propagandisti – influenti come la sinistra, ciò avviene soprattutto perché le “destre” non si fanno convintamente destra, perché spesso le persone quasi si vergognano di appartenervi. Ma soprattutto, Madiran lascia passare la pericolosa impressione che il cristianesimo non si posizioni in modo naturale a destra, fornendo a quest’ultima i propri contenuti e quindi fondandone l’identità, ma lascia credere invece che il cristianesimo subisca la collocazione artificialmente insieme ad altre forze, solo in ragione del gioco degli slittamenti rivoluzionari della sinistra che posiziona il cristianesimo e tali forze formalmente “a destra”. Con tale libro la confusione e la frammentazione degli avversari della sinistra non diminuisce ma cresce e, dunque, esso necessita di correzioni nascenti dalla lettura di testi purtroppo non tradotti in Italia: Jean Laponce, Left and Right: The Topography of Political Perceptions, Toronto 1981; Erik von Kühnelt-Leddihn (1909-1999), Leftism Revisited: From Sade and Marx to Hitler and Pol Pot, Washington D.C. 1990; Francisco Canals Vidal (1922-2009), Derechismo, in Idem, Politica española: pasado y futuro, Barcellona 1977. In particolare, Madiran, pur intuendo – come Kühnelt-Leddihn e Laponce – il fondamento trascendente della destra, lasciando nel lettore la sensazione che il termine destra sia soltanto “subìto” e relativo, dimentica che, seppur la Rivoluzione del 1789 abbia introdotto destra e sinistra in politica, uno studio storico attento rivelerebbe però anche come i due termini fossero già in uso prima della Rivoluzione con un significato più profondo di tipo teologico e antropologico – non relativo e non dipendente da manovre politiche della sinistra moderna, in quanto presente da millenni in tutte le culture e religioni, ed eminentemente nel cristianesimo; dimentica poi come i rivoluzionari (e i loro avversari) avessero semplicemente ripreso e si fossero fondati su tale significato, traslandolo in politica, e come, sin dasubito in seno agli Stati Generali e all’Assemblea Nazionale del 1789, a destra si collocassero anche soggetti ben consapevoli della propria posizione e identificatisi concettualmente come difensori dell’ordine cristiano tradizionale. In più, Madiran sostiene che la destra è lo spirituale coricato nel «letto da campo» del temporale, quasi ad intendere che tale sistemazione sia poco congeniale allo spirituale. Per quanto in parte vero – in quanto lo spirituale dovrebbe fisiologicamente esprimersi nelle sedi e nei modi suoi propri –, ciò non tiene conto della realtà: se ci si situa in un contesto secolarizzato, non può pensarsi una politica complessiva rispettosa di principi religiosi, ma si sarà costretti a confrontarsi con settori non religiosamente orientati della società, i quali, per forza di cose, esprimeranno in politica principi non religiosi, attraverso proprie fazioni. Ma, in un contesto secolarizzato, il millenario significato antropologico e teologico di destra e sinistra non si perde e, se storicamente le fazioni ed etichette politiche moderne, sin dal primo istante, sono nate e si sono fondate sulla scorta di tale significato, sarà dunque pur sempre necessario, per una persona religiosamente orientata, collocarsi politicamentea destra, una destra che avrà una sua autonomia contenutistica. A causa del sorgere storico di “destre” ibridate con la sinistra, sarà certamente necessario distinguere tra destra e “destre” ibridate, ma non si tratterà di mal tollerare o rifiutare la categoria politica destra, bensì di mostrare come l’unicadestra autentica sia quella religiosamente fondata, in quanto «ultradestra» – come scrive Canals –, la più “estrema”, perché la prima storicamente esistente e la sola pienamente alternativa alle sinistre. Non si tratterà di sottrarsi al gioco “sinistra contro destra”, sopportando controvoglia il termine destra, ma si tratterà di ribaltarlo, instillando nelle persone di destra la consapevolezza che è possibile il gioco inverso – “destra contro sinistra” –, se solo lo si vuole e ci si impegni in tal senso per una battaglia culturale diffusa, in quanto, se la sinistra attacca e distrugge le cose, obbligando la destra a una posizione di difesa delle cose, le cose attaccate non sono prive di identità solo perché attaccate, e, poiché la sinistra distrugge, la destra dovrà allora anche ricostruire, e quindi anche “attaccare”, pur senza imitare lo spirito della sinistra. Alla fine, il libro di Madiran può essere utile nella misura in cui mostri difetti atavici che regnano “a destra”, ma anch’esso risente di tali difetti, non mostrando alle “destre” come maturare e liberarsi dal loro infantilismo, ma anzi mostrando quest’ultimo come elemento ineluttabile e strutturale della destra. Il giudizio sul testo non può esser negativo, nel complesso, ma si tratta pur sempre di un’occasione mancata, e perfino di una lettura fuorviante, ove non venga integrata da analisi e dimostrazioni storiche, antropologiche e filosofiche che l’autore non svolge o che dà per sottese.".
"La Chiesa attuale ha ancora Gesù Cristo come capo. Si ha l’impressione che voi siate talmente scandalizzati da non accettare più che questo possa essere ancora vero".*
*Lefebvriani, la battaglia interna, ringrazio Angelo Fazio.
Leggete questa interessante nota scritta da Filippo Giorgianni:
"JEAN MADIRAN, La destra e la sinistra, con una prefazione di Francesco Agnoli e una introduzione di Roberto de Mattei, Fede&Cultura, Verona 2011, 96 pp., € 10,50
Jean Madiran, pseudonimo di Jean Arfel, è scrittore e politico cattolico nato nel 1920, esponente del tradizionalismo francese ed ex collaboratore del monarchico Charles Maurras (1868-1952) e del suo quotidiano (e movimento omonimo) Action Française. È stato fondatore della rivista cattolicaItinéraires, è ora direttore del quotidiano Présent ed è vicino al partito Front National. La sua copiosa produzione editoriale è quasi non pervenuta in Italia, tranne qualche opera pubblicata nel variegato mondo gravitante intorno all’estinto Movimento Sociale Italiano. Di recente si è assistiti a un ritorno di interesse per taluni suoi scritti, tra cui questo volumetto, già pubblicato nel 1977 dalle editrice Volpe e oggi ripubblicato con le introduzioni di Francesco Agnoli (pp. 5-10) e Roberto de Mattei (pp. 11-14) – che, per lo più, si muovono (specie Agnoli) all’interno del quadro delineato dall’autore. Tale opera cerca di descrivere il rapporto che intercorre tra i due termini della dicotomia politica ma, pur basandosi anche su osservazioni storiche, non è una ricostruzione storica accurata, bensì un testo politologico che si appunta su alcune caratteristiche strutturali del rapporto tra i due termini. Va segnalato che la nuova traduzione è talvolta poco corretta rispetto all’originale francese e all’edizione Volpe, nonché viziata da alcuni errori di battitura. Il punto di partenza di Madiran è che la distinzione politica destra-sinistra nasce a sinistra: ove si ponga mente al fatto che, prima della Rivoluzione del 1789, il sistema politico non si basava su di una democrazia parlamentare, bensì su di un’omogeneità religiosa e valoriale della società che non conosceva la distinzione tra due poli concettualmente contrapposti, e ove si ponga mente al fatto che l’introduzione in politica dei termini destra e sinistra sia stata prodotta dalla Rivoluzione francese, si potrebbe cioè dire che essa è frutto della sinistra, in quanto la Rivoluzione che ha introdotto i due termini è stata portata avanti da quelle forze che a sinistra si collocarono. Per questo, l’autore scrive: «La distinzione fra una destra ed una sinistra è sempre un’iniziativa della sinistra» (p. 23) e aggiunge ulteriormente – con argomento che accompagna tutto il testo – che, nascendo in questo modo, la distinzione politica si basa su di una guerra asimmetrica tra sinistra e destra, dove il polo forte è la sinistra: «Coloro che instaurano o rilanciano il gioco “destra-sinistra” fanno parte essi stessi della sinistra […]. Questa forma di lotta politica era sconosciuta prima del 1789.[…] Non esiste una distinzione oggettiva fra destra e sinistra […]. Vi è all’origine un atto di pura volontà, che instaura il gioco “destra-sinistra” o, più esattamente, il gioco “sinistra contro destra”» (pp. 23-24). Su questa scia, il testo prende velocemente ma brillantemente a considerare le caratteristiche della sinistra. Essa, pur nelle sue varie manifestazioni, è corrosiva della realtà, sovversiva, demolitrice dell’ordine (cristiano e naturale): in una sola parola, è rivoluzionaria (p. 42): «La sinistra opprime ciò che è, nel nome di ciò che sarà e che non è mai qui; è il segreto del movimento perpetuo in politica» (p. 70). Svolgendo questa analisi della sinistra – per quanto abbozzata e ondivaga –, Madiran ha l’indubbio merito di esporre due sue caratteristiche effettive: l’esser intimamente anticristiana e l’aver carattere processuale. Con riguardo al primo elemento, Madiran sottolinea come, essendo nata la sinistra in contrapposizione con l’ordine cristiano medievale, e partendo da basi diverse (e opposte) a quelle del cristianesimo, qualunque incontro tra sinistra e cristianesimo è impossibile: «Poiché la sinistra lotta contro l’ingiustizia e anche il Cristianesimo lotta contro l’ingiustizia, si è arrivati nel ventesimo secolo a confonderli. E non è la sinistra a creare, per lo più, questa confusione, sono i cristiani e ciò è già un indizio; se il Cristianesimo fosse sostanzialmente di sinistra, la sinistra finirebbe per accettare i cristiani[…]. Sinistra e Cristianesimo lottano entrambi contro l’ingiustizia e talvolta anche contro la stessa ingiustizia, ma mai nella stessa maniera; mai salvo contaminazione del metodo cristiano con quello della sinistra. I due sistemi non possono, d’altronde, associarsi in quanto essi non sono né paralleli né convergenti; essi sono in verità contrari. La sinistra combatte l’ingiustizia mediante la ribellione delle vittime, il Cristianesimo combatte l’ingiustizia mediante la conversione dei peccatori. Questi due metodi si escludono» (pp. 33-34). Per questa ragione, come spiega bene il capitolo II (pp. 31-40), il vero e unico nemico della sinistra è il cristianesimo, un nemico che è anche politico, come dice il capitolo V (pp. 69-80), stigmatizzando l’atteggiamento di certi cristiani che in ambito socio-politico accantonano la propria fede, dimenticando come, sebbene il Vangelo non sia un messaggio politico, esso abbia anche una sua rilevanza politica. Inoltre, la sinistra ha carattere processuale: è un aspetto osservato anche da molti altri autori – tra cui Francisco Elías de Tejada (1917-1978), Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Thomas Molnar (1921-2010), Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) e Vittorio Mathieu – e che, come nota Madiran, è dovuto al carattere utopico della sinistra: essendo rivoluzionaria, volendo eliminare l’esistente in nome dell’illusione irrealizzabile (l’utopia), una volta che la sua utopia fallisca – com’è necessario che succeda, in quanto irrealizzabile –, la mentalità della sinistra la spingerà a cercarenuove mete illusorie, in un continuo gioco di fallimenti e nuovi slanci: « La sinistra opprime ciò che è, nel nome di una speranza che è sempre una falsa speranza. Dal 1789 le promesse della sinistra, sempre e comunque vittoriosa di rivoluzione in rivoluzione, non sono mai state mantenute e ciò era chiaramente impossibile: ma il suo insaziabile messianismo temporale è ogni volta rimbalzato in una nuova utopia» (p. 70). In tal modo, la sinistra, pur essendo unitaria nella sua mentalità rivoluzionaria, non è una, ma molte, e ogni nuova sinistra tende a rigettare “a destra” le vecchie sinistre fallite. In tutto questo gioco, secondo l’autore, proprio a causa del fatto che la sinistra ha creato la distinzione e a causa di questo suo carattere processuale che colloca “a destra” ciò che rigetta, la destra si troverebbe in condizione di minorità perpetua: essa non si caratterizzerebbe da sé, ma sarebbe solo la proiezione di ciò che la sinistra vuole che sia la destra. La sinistra sarebbe colei che, dopo essersi collocata ed essersi data un contenuto sullo scenario politico, decide cosa sia la destra, costringendo coloro che sono a destra a subire la collocazione operata dalla sinistra. Del resto – spiega il capitolo III (pp. 41-53) –, la sinistra, pretendendo di risolvere le ingiustizie e i mali del mondo col metodo di sobillare le vittime ed eliminare quindi i “cattivi” (p. 41), si trova sempre con la necessità di dover additare qualcuno come “nemico” – in ciò contrapponendosi al cattolicesimo (p. 49) –, bollando questo nemico come “destra” anche quando questi sia, in realtà, una produzione della sinistra (pp. 41-42): «Una sinistra si costituisce per abbattere uomini, istituzioni, leggi: essa chiama “destra” uomini e cose da abbattere; uomini e cose spesso scaturiti essi stessi, nel mondo moderno, da una rivoluzione di sinistra. È l’eterno gioco della rivoluzione» (p. 42). Così, ad es., Jozif Stalin (1878-1953) metteva a morte gli avversari con l’accusa di essere “reazionari”, nonostante fossero membri del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) (p. 41), e, mentre l’U.R.S.S. invadeva l’Ungheria nel 1956, gli insorgenti ungheresi e il loro stesso leader, Primo ministro marxista, Imre Nagy (1896-1958) (pp. 52-53), venivano apostrofati come “controrivoluzionari” dai partiti comunisti internazionali. E, ancora, quando le conviene, la sinistra considera “di destra” uomini e movimenti filosofico-politici provenienti da (e culturalmente di) sinistra: la sinistra «Ributta a destra il vecchio socialista Pierre Laval [1883-1945] e il vecchio socialista [Benito] Mussolini [1883-1945], rappresenta [Adolf] Hitler [1889-1945], demagogo socialista e rivoluzionario, come uomo di destra. Come uomo di destra, Charles de Gaulle [1890-1970], salito al potere nel 1944 con i comunisti con i quali ha governato. La sinistra dispone a sinistra a suo beneplacito la nomenclatura» (pp. 25-26). Per questa ragione, Madiran, pur vedendo nel cristianesimo il vero avversario della sinistra, non riesce ad ammettere che la destra si possa del tutto immedesimare con esso (p. 39), in quanto il cristianesimo autentico – «tradizionale» (p. 40) – sarebbe sì rigettato “a destra” dalla sinistra, ma insieme ad altre forze. La “destra” quindi non si connoterebbe per un contenuto ben definito e oggettivo, nonostante Madiran ne abbozzi, qua e là nel testo, dei caratteri tipici, e nonostante la rimproveri – specie al capitolo IV (pp. 54-68) – di voler spesso imitare la sinistra (p. 31), facendo così il gioco di quest’ultima. Tuttavia, egli non può fare a meno di rilevare come, per forza di cose, la destra finisca col difendere i principi religiosi: se la sinistra, nel suo relativismo processuale e nel suo anticristianesimo, è materialista e riduce tutto all’ambito temporale, abusandone – «La sinistra è l’eccesso di fiducia nel temporale, è l’uso sistematico, è l’abuso dei mezzi temporali» (p. 58) –, la destra «rappresenta lo spirituale, ma comodamente distesa nel più confortevole letto da campo del temporale, come diceva [Charles] Péguy [1873-1914]» (p. 58). Inoltre, Madiran vede opportunamente come la destra si connoti moralmente – la morale che la sinistra demolisce – e scrive: «La destra è, inoltre, sensibile ai sentimenti morali: la virtù del patriottismo, l’onestà (l’onestà di bilancio dell’ortodossia economica, non già quella dei deficit, della svalutazione), la vita familiare, l’ordine, la sicurezza; la legge morale naturale» (pp. 55-56). Il libro poi conclude (pp. 81-92) con una sorta di programma della destra, che parte dalla presa d’atto che la sinistra vince inculcando una contro-educazione nelle masse, specie giovanili, attraverso i media, e quindi esso, accanto a proposte non del tutto realizzabili – come limitare l’impatto dei media –, propone di operare, contro questa diseducazione di sinistra, una lotta culturale che restauri la legge naturale nell’uomo, divelta dal rivoluzionarismo: è «il ripristino, come legge fondamentale dello Stato, delle regole della morale naturale che sono quelle di tutti i popoli e di tutti i tempi e che sono riassunte nel Decalogo […]. Il bene comune temporale, sola finalità reale di ogni azione politica, consiste in null’altro, essenzialmente, che nella trasmissione, spiegazione, illustrazione e osservanza del Decalogo» (p. 88). Sicuramente il testo evidenzia elementi reali e importanti, ma si appunta solo su una parte della realtà con riguardo al termine destra. La sensazione che Madiran lascia al suo lettore è che esser di destra sia qualcosa che vada rivendicatocon riluttanza, nonostante tale riluttanza sia conveniente alla sinistra. Madiran, per quanto sia di formazione tomistica e si renda conto della necessità di rafforzare la posizione della destra (p. 69), di fronte agli attacchi della sinistra, non riconosce un’autonomia ontologica alla destra e fa propria la lettura relativista dei termini destra e sinistra fatta dai progressisti – Norberto Bobbio (1909-2004), Marco Revelli, etc. –, cedendo parzialmente ed inspiegabilmente alla loro ottica dialettica (hegeliana). Così, non definendo precisamente cosa essa sia, facendone un contenitore vuoto, la lettura del testo può tendere a giustificare il rifiuto della categoria destra, abbandonando l’azione politica e divenendo irrilevanti, oppure rischia di porre le basi per far collocare malamente il lettore sullo scacchiere politico, confondendo di più un ambito di studi ingiustificatamente già intricato e disperdendo i consensi in forze non alternative alla sinistra – tra cui i centri, categorie ibride che lo stesso Madiran rifiuta (p. 30) e che finiscono sempre storicamente col derubare le destre di consensi per poi cedere alle sinistre –, facendo così proliferare (presunte) “destre” di tutti i tipi – anche molto simili alle sinistre, e quindi non alternative ad esse –, legittimandone l’esistenza e lasciando che la distinzione politica sia in balìa dell’istintualità, della soggettività, e non del rigoroso studio storico e filosofico-politico. In tal senso, Madiran non vede del tutto come la “destra” subisca la distinzione politica proprio a causa del fatto che non prende mai troppa coscienza di sé: se le “destre” sono sempre in posizione minoritaria, non avendo pensatori di riferimento e cinghie di trasmissione – giornalisti, intellettuali, propagandisti – influenti come la sinistra, ciò avviene soprattutto perché le “destre” non si fanno convintamente destra, perché spesso le persone quasi si vergognano di appartenervi. Ma soprattutto, Madiran lascia passare la pericolosa impressione che il cristianesimo non si posizioni in modo naturale a destra, fornendo a quest’ultima i propri contenuti e quindi fondandone l’identità, ma lascia credere invece che il cristianesimo subisca la collocazione artificialmente insieme ad altre forze, solo in ragione del gioco degli slittamenti rivoluzionari della sinistra che posiziona il cristianesimo e tali forze formalmente “a destra”. Con tale libro la confusione e la frammentazione degli avversari della sinistra non diminuisce ma cresce e, dunque, esso necessita di correzioni nascenti dalla lettura di testi purtroppo non tradotti in Italia: Jean Laponce, Left and Right: The Topography of Political Perceptions, Toronto 1981; Erik von Kühnelt-Leddihn (1909-1999), Leftism Revisited: From Sade and Marx to Hitler and Pol Pot, Washington D.C. 1990; Francisco Canals Vidal (1922-2009), Derechismo, in Idem, Politica española: pasado y futuro, Barcellona 1977. In particolare, Madiran, pur intuendo – come Kühnelt-Leddihn e Laponce – il fondamento trascendente della destra, lasciando nel lettore la sensazione che il termine destra sia soltanto “subìto” e relativo, dimentica che, seppur la Rivoluzione del 1789 abbia introdotto destra e sinistra in politica, uno studio storico attento rivelerebbe però anche come i due termini fossero già in uso prima della Rivoluzione con un significato più profondo di tipo teologico e antropologico – non relativo e non dipendente da manovre politiche della sinistra moderna, in quanto presente da millenni in tutte le culture e religioni, ed eminentemente nel cristianesimo; dimentica poi come i rivoluzionari (e i loro avversari) avessero semplicemente ripreso e si fossero fondati su tale significato, traslandolo in politica, e come, sin dasubito in seno agli Stati Generali e all’Assemblea Nazionale del 1789, a destra si collocassero anche soggetti ben consapevoli della propria posizione e identificatisi concettualmente come difensori dell’ordine cristiano tradizionale. In più, Madiran sostiene che la destra è lo spirituale coricato nel «letto da campo» del temporale, quasi ad intendere che tale sistemazione sia poco congeniale allo spirituale. Per quanto in parte vero – in quanto lo spirituale dovrebbe fisiologicamente esprimersi nelle sedi e nei modi suoi propri –, ciò non tiene conto della realtà: se ci si situa in un contesto secolarizzato, non può pensarsi una politica complessiva rispettosa di principi religiosi, ma si sarà costretti a confrontarsi con settori non religiosamente orientati della società, i quali, per forza di cose, esprimeranno in politica principi non religiosi, attraverso proprie fazioni. Ma, in un contesto secolarizzato, il millenario significato antropologico e teologico di destra e sinistra non si perde e, se storicamente le fazioni ed etichette politiche moderne, sin dal primo istante, sono nate e si sono fondate sulla scorta di tale significato, sarà dunque pur sempre necessario, per una persona religiosamente orientata, collocarsi politicamentea destra, una destra che avrà una sua autonomia contenutistica. A causa del sorgere storico di “destre” ibridate con la sinistra, sarà certamente necessario distinguere tra destra e “destre” ibridate, ma non si tratterà di mal tollerare o rifiutare la categoria politica destra, bensì di mostrare come l’unicadestra autentica sia quella religiosamente fondata, in quanto «ultradestra» – come scrive Canals –, la più “estrema”, perché la prima storicamente esistente e la sola pienamente alternativa alle sinistre. Non si tratterà di sottrarsi al gioco “sinistra contro destra”, sopportando controvoglia il termine destra, ma si tratterà di ribaltarlo, instillando nelle persone di destra la consapevolezza che è possibile il gioco inverso – “destra contro sinistra” –, se solo lo si vuole e ci si impegni in tal senso per una battaglia culturale diffusa, in quanto, se la sinistra attacca e distrugge le cose, obbligando la destra a una posizione di difesa delle cose, le cose attaccate non sono prive di identità solo perché attaccate, e, poiché la sinistra distrugge, la destra dovrà allora anche ricostruire, e quindi anche “attaccare”, pur senza imitare lo spirito della sinistra. Alla fine, il libro di Madiran può essere utile nella misura in cui mostri difetti atavici che regnano “a destra”, ma anch’esso risente di tali difetti, non mostrando alle “destre” come maturare e liberarsi dal loro infantilismo, ma anzi mostrando quest’ultimo come elemento ineluttabile e strutturale della destra. Il giudizio sul testo non può esser negativo, nel complesso, ma si tratta pur sempre di un’occasione mancata, e perfino di una lettura fuorviante, ove non venga integrata da analisi e dimostrazioni storiche, antropologiche e filosofiche che l’autore non svolge o che dà per sottese.".
Mi piace commentare note come queste e per questo motivo stimo molto Filippo Giorgianni, un ragazzo veramente talentuoso.
Come uomo di destra, vorrei dire due parole.
Essere di destra significa essere conservatori.
Essere conservatori, però, non significa essere attaccati grettamente a certi rituali piuttosto che a certi usi.
Vi faccio degli esempi pratici.
Le monarchie protestanti, di cui ha parlato il professor Plinio Correa de Oliveira nel suo libro "Rivoluzione e Controrivoluzione".
Le monarchie protestanti sono attaccate alla ritualità?
La risposta è sì.
Addirittura, esse usano dei cerimoniali antichi.
Tuttavia, nelle monarchie protestanti si annidò la rivoluzione e quando il re tese a mettersi contro di essa furono guai per lui.
Il caso di re Carlo I Stuart fu il paradigma di ciò.
Anche certi cattolici tradizionalisti che non riconoscono l'autorità del Papa (come i sedevacantisti) non possono essere definiti "di destra".
La Chiesa si fonda sull'obbedienza e come scrisse lo stesso monsignor Bernard Fellay, superiore della Fraternità di San Pio X, ai vescovi che rifiutano di riconciliarsi con Roma scrisse:
Chi è cattolico deve riconoscere l'obbedienza al Papa. Non basta mantenere i vecchi rituali.
Lo stesso discorso si può applicare per la politica.
Basti pensare ai comunisti che non vogliono modifiche della nostra Costituzione.
Anche i comunisti possono essere conservatori.
L'uomo di destra, invece, è conservatore per quanto riguarda i valori più intrinseci di una società.
Essere di destra significa difendere valori antichi come la famiglia, la vita o la sussidiarietà.
L'uomo di destra difende valori simili pur non disdegnando di volgere lo sguardo in avanti.
Anzi, l'uomo di destra difende il passato per pensare al futuro.
Riflettiamo.
Cordiali saluti.
*Lefebvriani, la battaglia interna, ringrazio Angelo Fazio.
Movimento 5 Stelle, ma quanta ipocrisia!
Cari amici ed amiche.
Se questo è il vero volto di Beppe Grillo, ringrazio Dio di non fare parte del Movimento 5 Stelle.
Infatti, il noto comico genovese ha imposto ai membri del movimento da lui fondato di non partecipare alle trasmissioni televisive.
Ha definito "prezzolata" la categoria dei giornalisti.
Io penso che, prima di tutto, Grillo sia stato irrispettoso verso la categoria dei giornalisti.
Ci sono tanti giornalisti seri che fanno il proprio lavoro.
Inoltre, mi fa ridere il fatto che Grillo si dica favorevole alla democrazia e poi non permette ai membri del suo movimento di partecipare ai talk show politici.
A casa mia, questa cosa si chiama ipocrisia.
Tra l'altro, i "grillini" dicono di essere tutti eguali e che Grillo sia solo un "garante".
In realtà, mi risulta che egli detenga il simbolo del movimento e che, quindi, abbia di fatto il controllo della cassa del medesimo.
Se questa non è ipocrisia non so cos'altro sia!
Torniamo a parlare seriamente di politica.
Cordiali saluti.
Se questo è il vero volto di Beppe Grillo, ringrazio Dio di non fare parte del Movimento 5 Stelle.
Infatti, il noto comico genovese ha imposto ai membri del movimento da lui fondato di non partecipare alle trasmissioni televisive.
Ha definito "prezzolata" la categoria dei giornalisti.
Io penso che, prima di tutto, Grillo sia stato irrispettoso verso la categoria dei giornalisti.
Ci sono tanti giornalisti seri che fanno il proprio lavoro.
Inoltre, mi fa ridere il fatto che Grillo si dica favorevole alla democrazia e poi non permette ai membri del suo movimento di partecipare ai talk show politici.
A casa mia, questa cosa si chiama ipocrisia.
Tra l'altro, i "grillini" dicono di essere tutti eguali e che Grillo sia solo un "garante".
In realtà, mi risulta che egli detenga il simbolo del movimento e che, quindi, abbia di fatto il controllo della cassa del medesimo.
Se questa non è ipocrisia non so cos'altro sia!
Torniamo a parlare seriamente di politica.
Cordiali saluti.
Giovani ed imprenditoria, un rapporto complesso
Cari amici ed amiche.
Ieri, presso la Sala Polivalente di Barbassolo di Roncoferraro, c'è stata la conferenza dedicata ai giovani e al mondo del lavoro che è stata organizzata dal Circolo "Roncoferraro Giovani e Futuro" , la cui pagina di Facebook ha superato come numero di fans quella del Comune di Roncoferraro.
Questo è un grande riconoscimento alla bontà del nostro lavoro.
In effetti, la conferenza di ieri è stata molto seguita.
Dopo una breve introduzione fatta dal presidente del circolo Alessandro Lavanna, ha preso la parola il dottor Michele Ballasini, il presidente dei Giovani Commercialisti di Mantova.
Il dottor Ballasini ha parlato della questione di un giovane che vuole aprire la propria azienda.
Per farlo, il giovane deve valutare i propri requisiti e le proprie esperienze e deve informare i vari organi come, Comune, Provincia, Regione, INPS, INAIL ed altri.
Per esempio, una persona che non sa nulla di ristorazione non è certamente il più adatto ad aprire un ristorante.
Il dottor Ballasini ha parlato anche dei vari tipi di aziende, che sono le aziende di proprietà di una singola persona, da una società di persone e a responsabilità limitata.
Egli, tra le varie forme di aziende ha consigliato quelle con un singolo titolare o le società.
Ha sconsigliato, invece, le società a responsabilità limitata.
Infatti, le prime due forme di azienda hanno il vantaggio di dare una buona flessibilità.
Lo svantaggio è quello delle responsabilità personale dei titolari o della società.
Al contrario, la società a responsabilità limitata, dovrebbe limitare la responsabilità al solo capitale sociale.
In realtà, questa cosa è fittizia, poiché spesso e volentieri la banca dà una fidejussione sul capitale dei soci.
Quindi, con la SRL, le responsabilità personali "escono dalla porta ed entrano dalla finestra".
Inoltre, Ballasini ha dato un consiglio molto importante.
Egli ha consigliato di affidare certe pratiche a chi se ne intende e di non fare tutto da sé.
E' stato lasciato spazio agli interventi dal pubblico e sono intervenuto io.
Io ho sollevato la questione della burocrazia che ferma la nascita di nuove imprese e degli start up emanati dalla Regione Lombardia, per favorire l'imprenditoria.
Ballasini ha detto che la burocrazia è un freno per la nascita di nuove imprese. Pensate ad un giovane che vuole aprire un'impresa e che si trova a doversi destreggiare tra carte ed enti vari.
Sugli start up ha preso la parola l'altro relatore, il presidente della FIDITER, il dottor Enos Righi.
Il dottor Righi ha detto che effettivamente gli start up sono usati poco perché spesso e volentieri non li si sa usare o perché vi è un difficile accesso ad essi.
Egli ha consigliato di consultare internet e di cercare, come ha fatto Ballasini.
Società come la FIDITER sono impegnate nella mediazione tra le banche, colui che vuole aprire un'impresa e gli altri enti.
Esse servono a rimuovere quegli ostacoli che impediscono ad un'azienda di nascere, dalle difficoltà causate dalle banche (che spesso e volentieri non concedono i finanziamenti) alla burocrazia.
Il dottor Righi ha consigliato di fare attenzione nella scelta delle banche, consiglio che è stato ribadito da Ballasini.
Inoltre, Righi ha parlato anche di un errore fatto dai "vecchi".
Infatti, negli anni passati, i genitori facevano studiare i figli, "per fare fare a loro una vita migliore".
Questo fece sì che tanti lavori andassero perduti o che finissero in mano agli immigrati.
I giovani, oggi, farebbero bene ad applicare la loro conoscenza in quei lavori.
Il dottor Righi ha fatto l'esempio di una giovane fioraia che è riuscita a farsi finanziare un sito internet del suo negozio, per vendere i fiori attraverso la rete.
C'è stato un dibattito tra il professor Righi ed un signore del pubblico che ha un po' criticato la cosa.
Inoltre, il dottor Righi ha parlato della situazione italiana, con la piccola impresa familiare che è il fulcro dell'economia e che oggi funge da ammortizzatore in questa fase di crisi, crisi che, per esempio, sta costringendo molti imprenditori a scegliere tra il pagamento delle tasse e quello dei propri dipendenti.
La scelta cade su quest'ultimo.
Il convegno è terminato con un discorso del presidente Lavanna che ha detto che un giovane che vuole aprire un'impresa deve credere in essa e lavorare tanto, anche più del necessario.
In fondo, l'imprenditore è un lavoratore come l'operaio.
Solo così, egli può avere soddisfazioni.
Inoltre, Lavanna ha ringraziato il quotidiano "La Voce di Mantova" e tutti i presenti.
E' stata una serata istruttiva.
Io penso che l'Italia debba cambiare ed incominciare a pensare alla crescita, se non vorrà affondare.
Qui sotto c'è una fotocopia della lista dei documenti richiesti per aprire un'azienda.
Cordiali saluti.
Ieri, presso la Sala Polivalente di Barbassolo di Roncoferraro, c'è stata la conferenza dedicata ai giovani e al mondo del lavoro che è stata organizzata dal Circolo "Roncoferraro Giovani e Futuro" , la cui pagina di Facebook ha superato come numero di fans quella del Comune di Roncoferraro.
Questo è un grande riconoscimento alla bontà del nostro lavoro.
In effetti, la conferenza di ieri è stata molto seguita.
Dopo una breve introduzione fatta dal presidente del circolo Alessandro Lavanna, ha preso la parola il dottor Michele Ballasini, il presidente dei Giovani Commercialisti di Mantova.
Il dottor Ballasini ha parlato della questione di un giovane che vuole aprire la propria azienda.
Per farlo, il giovane deve valutare i propri requisiti e le proprie esperienze e deve informare i vari organi come, Comune, Provincia, Regione, INPS, INAIL ed altri.
Per esempio, una persona che non sa nulla di ristorazione non è certamente il più adatto ad aprire un ristorante.
Il dottor Ballasini ha parlato anche dei vari tipi di aziende, che sono le aziende di proprietà di una singola persona, da una società di persone e a responsabilità limitata.
Egli, tra le varie forme di aziende ha consigliato quelle con un singolo titolare o le società.
Ha sconsigliato, invece, le società a responsabilità limitata.
Infatti, le prime due forme di azienda hanno il vantaggio di dare una buona flessibilità.
Lo svantaggio è quello delle responsabilità personale dei titolari o della società.
Al contrario, la società a responsabilità limitata, dovrebbe limitare la responsabilità al solo capitale sociale.
In realtà, questa cosa è fittizia, poiché spesso e volentieri la banca dà una fidejussione sul capitale dei soci.
Quindi, con la SRL, le responsabilità personali "escono dalla porta ed entrano dalla finestra".
Inoltre, Ballasini ha dato un consiglio molto importante.
Egli ha consigliato di affidare certe pratiche a chi se ne intende e di non fare tutto da sé.
E' stato lasciato spazio agli interventi dal pubblico e sono intervenuto io.
Io ho sollevato la questione della burocrazia che ferma la nascita di nuove imprese e degli start up emanati dalla Regione Lombardia, per favorire l'imprenditoria.
Ballasini ha detto che la burocrazia è un freno per la nascita di nuove imprese. Pensate ad un giovane che vuole aprire un'impresa e che si trova a doversi destreggiare tra carte ed enti vari.
Sugli start up ha preso la parola l'altro relatore, il presidente della FIDITER, il dottor Enos Righi.
Il dottor Righi ha detto che effettivamente gli start up sono usati poco perché spesso e volentieri non li si sa usare o perché vi è un difficile accesso ad essi.
Egli ha consigliato di consultare internet e di cercare, come ha fatto Ballasini.
Società come la FIDITER sono impegnate nella mediazione tra le banche, colui che vuole aprire un'impresa e gli altri enti.
Esse servono a rimuovere quegli ostacoli che impediscono ad un'azienda di nascere, dalle difficoltà causate dalle banche (che spesso e volentieri non concedono i finanziamenti) alla burocrazia.
Il dottor Righi ha consigliato di fare attenzione nella scelta delle banche, consiglio che è stato ribadito da Ballasini.
Inoltre, Righi ha parlato anche di un errore fatto dai "vecchi".
Infatti, negli anni passati, i genitori facevano studiare i figli, "per fare fare a loro una vita migliore".
Questo fece sì che tanti lavori andassero perduti o che finissero in mano agli immigrati.
I giovani, oggi, farebbero bene ad applicare la loro conoscenza in quei lavori.
Il dottor Righi ha fatto l'esempio di una giovane fioraia che è riuscita a farsi finanziare un sito internet del suo negozio, per vendere i fiori attraverso la rete.
C'è stato un dibattito tra il professor Righi ed un signore del pubblico che ha un po' criticato la cosa.
Inoltre, il dottor Righi ha parlato della situazione italiana, con la piccola impresa familiare che è il fulcro dell'economia e che oggi funge da ammortizzatore in questa fase di crisi, crisi che, per esempio, sta costringendo molti imprenditori a scegliere tra il pagamento delle tasse e quello dei propri dipendenti.
La scelta cade su quest'ultimo.
Il convegno è terminato con un discorso del presidente Lavanna che ha detto che un giovane che vuole aprire un'impresa deve credere in essa e lavorare tanto, anche più del necessario.
In fondo, l'imprenditore è un lavoratore come l'operaio.
Solo così, egli può avere soddisfazioni.
Inoltre, Lavanna ha ringraziato il quotidiano "La Voce di Mantova" e tutti i presenti.
E' stata una serata istruttiva.
Io penso che l'Italia debba cambiare ed incominciare a pensare alla crescita, se non vorrà affondare.
Qui sotto c'è una fotocopia della lista dei documenti richiesti per aprire un'azienda.
Cordiali saluti.
giovedì 10 maggio 2012
Le crociate, un falso storico!
Cari amici ed amiche.
Riprendendo un discorso di ieri, quello che ho sollevato nell'articolo intitolato "Povera Italia!", vorrei fare una considerazione.
Spesso e volentieri, la storiografia mette in giro delle cose false.
E' il caso, ad esempio, delle Crociate.
Spesso e volentieri, le Crociate vengono presentate come un fatto negativo ed una guerra di conquista da parte dell'Occidente cristiano ai danni dell'Oriente islamico.
Ora, che nelle Crociate ci fossero state cose non belle, come il massacro degli ebrei in Renania o il Sacco di Costantinopoli nel 1204 (IV Crociata), fu vero.
Tra l'altro, cosa che la storiografia ufficiale omette di dire, questi massacri furono fatti fuori dal controllo della Chiesa.
Però, le Crociate furono fatte perché furono i Turchi Selgiuchidi a minacciare il mondo cristiano.
Nel 673 AD, gli Arabi conquistarono Gerusalemme, togliendola all'Impero Bizantino.
Dopo un periodo di iniziale conflitto, gli Arabi concessero tolleranza ai pellegrini cristiani, anche in vista dei guadagni che essi portavano.
Ora, ad un certo punto venne fuori un altro popolo musulmano, i Turchi Selgiuchidi.
Nel 1071 AD, questi sconfissero i Bizantini dell'imperatore Romano IV Diogene, che fu incarcerato (a Manzikert) e conquistarono l'Anatolia.
Qui fondarono il Sultanato di Rum.
L'imperatore bizantino Alessio I Comneno (1056-1118) chiese aiuto all'Occidente.
I Turchi arrivarono anche a Gerusalemme e bloccarono i pellegrinaggi.
Tra il 1008 ed il 1009, il califfo egiziano aveva fatto distruggere la Basilica del Santo Sepolcro.
Questo è un brano dell'Historia Hieroslymitana di Roberto il Monaco:
"I Turchi hanno distrutto completamente alcune chiese di Dio e ne hanno trasformate altre a uso del loro culto. Insozzano gli altari con le loro porcherie; circoncidono i cristiani macchiando gli altari col sangue della circoncisione, oppure lo gettano nel fonte battesimale. Si compiacciono di uccidere il prossimo squarciandogli il ventre, estraendone gli intestini, che legano a un palo. Poi, frustandole, fanno ruotare le vittime attorno al palo finché, fuoriuscendo tutte le viscere, non cadono morte a terra. Altre le legano al palo e le colpiscono scoccando frecce; ad altri ancora gli tirano il collo per vedere se riescono a decapitarli con un solo colpo di spada. E che dire degli orripilanti stupri ai danni delle donne? "
Da ci fu la decisione di Papa Urbano II di indire una Crociata che iniziò nel 1098 e finì nel 1099, con la riconquista cristiana di parte dell'Anatolia, che tornò in mano ai Bizantini e di Gerusalemme, che fu capitale di uno Stato Crociato, il Regno di Gerusalemme.
Le Crociate sarebbero servite anche a riunire i cristiani, che dal 1054 erano divisi in cattolici ed ortodossi.
Purtroppo, questa divisione non fu sanata ma, al contrario, si aggravò, specialmente dopo la IV Crociata.
Eppure, ci sono certi storiografi che dicono le Crociate siano state un errore e che i cristiani si siano resi responsabili di massacri di poveri musulmani.
In realtà, i massacri ci furono in ambo le parti.
Quindi, piantiamola con certa retorica.
Cordiali saluti.
Povera Italia!
Cari amici ed amiche.
Leggete un commento fatto da un certo Dario al mio articolo initolato "Solidarietà agli amici Riccardo Di Giuseppe e Morris Sonnino":
"Cioè fucilone, tu stai dicendo che quelli sono due ragazzi in gamba perché uno ti ha difeso e l'altro perché è destinatario delle tue cartoline???mah...Nel merito: essere antioccidentali e antisraeliani non è un demerito a priori.
Io infatti sono per l'occidente e i suoli valori ma ciò non toglie che sono contro i governi occidentali e anche contro israele quando E SOLO QUANDO ritengo che facciano cose deprecabili. Criticare ferocemente ad es. la guerra in iraq o in afganistan o l'ingrandimento delle colonie in territorio palestinese non credo che significhi essere "anti" ma criticare liberamente quando lo si ritiene giusto (e talvolta giusto lo è obiettivamente).
Per te le cose sono bianche o nere...e tralasci il grigio. Io es. sono un amante della libertà e degli stati uniti....ma quante nefandezze hanno commesso in politica estera????E denunciarle certamente non significa essere antiamericani!Esci dall'ottica del bianco o nero, te lo consiglio!c'è anche il grigio!
E lo stesso vale per emergency: puoi essere LEGITTIMAMENTE in disaccordo su alcune sue prese di posizione ma bollarla tout court come un'associazione "negativa" mi sembra davvero troppo. Finisci per tralasciare tutto il lavoro umanitario che i suoi tanti volontari svolgono al di là delle ideologie.
Ecco anche in emergency non tutto è bianco o nero....c'è pure il grigio. Ma questo non esclude il bianco...
Ah, io dono a amergency 30 euro all'anno perché so che con questi sia pur pochissimi soldi posso regalare magari una pezzo di protesi a un bambino cui è stata portata via la gamba da una mina prodotta magari in occidente. Già, in occidente.....E in quel caso "sto con emergency" e contro l'occidente..come quel bambino!
Saluti.".
A Dario vorrei chiedere se sia cosa deprecabile ed immonda che uno Stato si difenda dagli attacchi terroristici!
Infatti, Israele si sta difendendo.
Lo Stato ebraico è minacciato a a destra e a manca e, qui in Italia, c'è chi condanna ciò.
Lui mi "consiglia" di abbandonare l'ottica del "bianco o nero" e di considerare che vi sia anche il "grigio".
Io gli rispondo dicendo è proprio la sua ottica a rovinare l'Italia e l'occidente.
Io ho grande rispetto per le associazioni umanitarie (tanto da avere fatto donazioni ad un'associazione che si impegna nella lotta contro il cancro) ma non darei nemmeno un soldo ad un'associazione che manifesta con chi brucia le bandiere di Israele, degli Stati Uniti d'America e dell'Italia e con chi profana le chiese, come mostra il video qui sotto.
A me quell'associazione che risponde al nome di "Emergency" non piace.
Inoltre, a Dario vorrei chiedere se sia deprecabile o meno il fatto che l'Occidente difenda la propria cultura.
Lui dice di amare l'occidente.
Io, però, oramai ho imparato a conoscerlo.
Leggete i commenti che ha fatto all'articolo intitolato "Cimitero di Albinea? La fiera del relativismo!".
Vorrei, inoltre, che Dario guardasse il video qui sotto.
Leggete un commento fatto da un certo Dario al mio articolo initolato "Solidarietà agli amici Riccardo Di Giuseppe e Morris Sonnino":
"Cioè fucilone, tu stai dicendo che quelli sono due ragazzi in gamba perché uno ti ha difeso e l'altro perché è destinatario delle tue cartoline???mah...Nel merito: essere antioccidentali e antisraeliani non è un demerito a priori.
Io infatti sono per l'occidente e i suoli valori ma ciò non toglie che sono contro i governi occidentali e anche contro israele quando E SOLO QUANDO ritengo che facciano cose deprecabili. Criticare ferocemente ad es. la guerra in iraq o in afganistan o l'ingrandimento delle colonie in territorio palestinese non credo che significhi essere "anti" ma criticare liberamente quando lo si ritiene giusto (e talvolta giusto lo è obiettivamente).
Per te le cose sono bianche o nere...e tralasci il grigio. Io es. sono un amante della libertà e degli stati uniti....ma quante nefandezze hanno commesso in politica estera????E denunciarle certamente non significa essere antiamericani!Esci dall'ottica del bianco o nero, te lo consiglio!c'è anche il grigio!
E lo stesso vale per emergency: puoi essere LEGITTIMAMENTE in disaccordo su alcune sue prese di posizione ma bollarla tout court come un'associazione "negativa" mi sembra davvero troppo. Finisci per tralasciare tutto il lavoro umanitario che i suoi tanti volontari svolgono al di là delle ideologie.
Ecco anche in emergency non tutto è bianco o nero....c'è pure il grigio. Ma questo non esclude il bianco...
Ah, io dono a amergency 30 euro all'anno perché so che con questi sia pur pochissimi soldi posso regalare magari una pezzo di protesi a un bambino cui è stata portata via la gamba da una mina prodotta magari in occidente. Già, in occidente.....E in quel caso "sto con emergency" e contro l'occidente..come quel bambino!
Saluti.".
A Dario vorrei chiedere se sia cosa deprecabile ed immonda che uno Stato si difenda dagli attacchi terroristici!
Infatti, Israele si sta difendendo.
Lo Stato ebraico è minacciato a a destra e a manca e, qui in Italia, c'è chi condanna ciò.
Lui mi "consiglia" di abbandonare l'ottica del "bianco o nero" e di considerare che vi sia anche il "grigio".
Io gli rispondo dicendo è proprio la sua ottica a rovinare l'Italia e l'occidente.
Io ho grande rispetto per le associazioni umanitarie (tanto da avere fatto donazioni ad un'associazione che si impegna nella lotta contro il cancro) ma non darei nemmeno un soldo ad un'associazione che manifesta con chi brucia le bandiere di Israele, degli Stati Uniti d'America e dell'Italia e con chi profana le chiese, come mostra il video qui sotto.
Inoltre, a Dario vorrei chiedere se sia deprecabile o meno il fatto che l'Occidente difenda la propria cultura.
Lui dice di amare l'occidente.
Io, però, oramai ho imparato a conoscerlo.
Leggete i commenti che ha fatto all'articolo intitolato "Cimitero di Albinea? La fiera del relativismo!".
Vorrei, inoltre, che Dario guardasse il video qui sotto.
A Dario, vorrei dire che l'Occidente non è sola la libertà ma anche è anche la tradizione giudaico-cristiana, tradizione che qualcuno vuole cancellare.
Se questa cosa dovesse riuscire, il nostro mondo morirebbe.
Infatti, il miglior modo per uccidere un popolo non è passarlo a filo delle armi.
Gli ebrei sono la prova di ciò.
Il miglior modo per uccidere un popolo è toglierli le tradizioni, in nome del relativismo.
Se è deprecabile difendere chi è minacciato da terrorismo (Israele) e la propria identità, io sono ben felice di fare deprecabili.
Cordiali saluti.
A Proposito di Santi, mia lettera su "L'Eco di San Gabriele"
Cari amici ed amiche.
Sul numero di questo mese della rivista "L'Eco di San Gabriele", è stata pubblicata questa mia lettera:
"Sul numero di marzo della rivista, ho letto la lettera di Alessandro che ha posto delle questioni sui santi e sul loro ruolo nella fede.
L'ho trovata molto interessante, come ho trovato molto interessante la risposta che gli ha dato.
Sul mio blog "Italia e mondo" (http://italiaemondo.blogspot.com) ho trattato anche questa materia.
Prima di tutto, dico che fa piacere che un giovane come me (qual è Alessandro) si interessi di queste cose e ponga delle domande su di esse.
Su Facebook mi capita di confrontarmi con giovani che trattano le questioni di fede.
Ad esempio, spesso e volentieri interloquisco con un ragazzo di Palermo che ha 26 anni (come Alessandro) e che ha avuto un'esperienza religiosa molto forte, esperienza che l'ha portato a diventare laico consacrato.
Ora, entro nella questione dei santi.
Io penso che, prima di tutto, un santo sia un testimone.
Il santo, infatti, è testimone della fede in Dio e che cerca di vivere prendendo Cristo come modello.
Quindi, il santo diventa a sua volta un modello della fede in Cristo per l'umanità.
Il termine cristiano può essere interpretato nel seguente modo:
il cristiano è un altro Cristo, un riflesso in piccolo di Cristo.
Il santo è, quindi, il cristiano per eccellenza.
Tutti i cristiani sono chiamati alla santità.
Questo lo dice costituzione dogmatica Lumen Gentium.
Oggi, purtroppo, si tende a non dare ai santi la giusta importanza.
C'è anche chi tende a dare loro troppa importanza, sostituendoli di fatto a Dio e scambiando la superstizione con la fede, e c'è chi, invece, non dà a loro nessuna importanza.
Purtroppo, questi sono i mali della secolarizzazione.
Antonio Gabriele Fucilone
Roncoferraro (Mantova)".
La risposta di padre Luciano Temperilli è stata:
"Caro Antonio, sono contento che ti interessi anche di santità.
L'importante è comprendere che tutti, ciascuno secondo la propria vocazione, siamo chiamati ad essere santi lungo le strade del mondo per essere testimoni di una grazia e di una speranza grande che abbiamo in Gesù crocifisso e risorto. Senza paura del giudizio del mondo!".
Prima di iniziare la risposta, vorrei portare all'attenzione di tutti una nota scritta dal ragazzo di 26 anni che ho citato nella lettera, Angelo Fazio.
La nota è un brano del libro di Rino Cammilleri "I Santi militari" e recita:
"La coincidenza esistente tra molte virtù cristiane e molte di quelle richieste ai militari ha dato lo spunto per questo libro. In fondo, anche per il cristiano la vita è un combattimento: militia super terram vita hominis est, dice il profeta Giobbe . Naturalmente, il cristiano combatte contro il peccato e quegli «spiriti» del male (come dice s. Paolo) che lo fomentano. Ma poiché, socialmente parlando, il peccato ha efficacia solo se posto in essere da qualcuno, il soldato e il poliziotto (soldato “interno”) devono combattere anche contro i peccatori: l'ingiusto aggressore nel caso del primo e il trasgressore in quello del secondo.
Il soldato, il monaco e il sacerdote portano uno speciale abito che li indica attivi per qualcosa di più alto, qualcosa per cui si deve essere pronti anche a dare la vita. Anche il coraggio, lo sprezzo delle fatiche e dei pericoli, l'obbedienza, la disciplina, il dominio di sé, il lavoro di squadra, le ritualità, le gerarchie sono virtù richieste e aspetti comuni nell'uno e nell'altro ordine. Molti cristiani si sono santificati passando, per un motivo o per un altro, attraverso il mestiere delle armi. A loro è dedicato questo libro, il cui scopo non vuol essere storico, letterario o semplicemente folkloristico, bensì religioso. In esso non si troveranno tutti i santi che, in un modo o nell'altro, direttamente o indi-rettamente, hanno avuto a che fare con la vita militare. Un'impresa del genere richiederebbe più di un volume ed esulerebbe dal nostro intendimento, che è quello di indicare alcuni esempi illustri, nonché altri, sconosciuti ai più, che la Chiesa non ha ancora acclamato come santi. La scelta è stata compiuta cercando di dare una panoramica di ampio respiro sul fenomeno «santità e vita militare» nelle varie epoche e nei suoi vari aspetti. Poteva venir adoperata una scansione esclusivamente e strettamente temporale, ma si sarebbe dovuto spiegare cosa ci fa, per esempio, la Madonna fra i «santi militari». Si è allora preferito raggruppare le figure proposte in diversi modi. Il lettore più erudito avrà qualche perplessità sulle ricorrenze di vari santi. Il fatto è che non sono pochi quelli che hanno più di una ricorrenza. Per molti di loro sui testi consultati non si sono trovate date univoche. Si è seguito allora, nei casi dubbi, il criterio del cosiddetto dies natalis, che é il giorno della morte del santo (quello della sua "nascita" a vita nuova), generalmente utilizzato anche per la festa. L'esperienza ha insegnato all'Autore che, malgrado tutte le sue precauzioni, quando si tratta di santi qualche inesattezza finisce sempre con l'impigliarsi nella penna. Sarà grato ai lettori se vorranno segnalargliele senza pietà, perché non gli par vero di imparare quel che non sa o che conosce parzialmente. Ribadisce, comunque, che questo libro non vuol essere opera storica né filologica, ma semplicemente una carrellata di figure esemplari anche per il mondo contemporaneo, che è sempre più confuso sull'idea stessa di pace e sempre alla vigilia di una nuova guerra.
Dalla prima edizione di questo lavoro, nel 1992, molta acqua è passata sotto i ponti e il nuovo ordine mondiale deve fare i conti con problemi così antichi da essere diventati una novità. Un vera novità, tuttavia, è quella certa dose di pacifismo che sembra aver contagiato molti cattolici. Il cristiano ha, certo, il dovere di essere «pacifico», uomo di pace, ma da qui a diventare «pacifista» ce ne corre. Per il cristiano la pace è, secondo la definizione di s. Agostino, «tranquillità nell’ordine». Essendo egli chiamato a cercar di tradurre i comandamenti divini in istituzioni sociali e possibilmente politiche, va da sé che considera la «pace» il risultato di certe premesse e condizioni, al di fuori delle quali non si dà «tranquillità nell’ordine». Slogan come «pace senza se e senza ma» o «meglio rossi che morti» non sono compatibili con la visuale cristiana, per la quale non è affatto la «pace» il fondamento di tutti i valori. Ogni –ismo dichiara la sua derivazione utopica e ideologica. Il pacifismo e il suo corollario, l’obiezione di coscienza all’uso delle armi, ne fanno parte a pieno titolo. Il chiodo su cui sta appesa l’intera antropologia cristiana è il Peccato Originale, di cui è dolorosa e quotidiana prova il mazzo di chiavi che ciascuno di noi porta in tasca. Per questo esiste, è sempre esistita e sempre esisterà la polizia. Per questo, sebbene avesse inflitto loro tre secoli di persecuzioni, i cristiani consideravano provvidenziali l’Impero romano e la «tranquillità dell’ordine» che bene o male esso garantiva all’interno del suo limes, al di fuori del quale regnava solo il caos. Come è stato autorevolmente detto, lo stesso Gesù non avrebbe potuto predicare senza i romani a guardia dell’ordine pubblico. Ai cristiani dei primi tempi tutto ciò era chiarissimo, tant’è che si arruolarono in massa nelle legioni. Dovremo spendere due parole sulla supposta «obiezione di coscienza» che i cristiani avrebbero opposto al servizio militare nei loro primi secoli.
Verso il 211 un ignoto legionario romano viene messo in carcere perchè, in occasione di una distribuzione di donativi e supplementi di paga concessi dagli imperatori Caracalla e Geta, si è presentato a capo scoperto anziché, come d’uso, incoronato d’alloro. Richiesto del perché, risponde di essere cristiano. Tertulliano ne trae spunto per il suo celebre De corona, in cui chiarisce che non si tratta di obiezione di coscienza al servizio militare (infatti, quel cristiano, militare lo è già) bensì di rifiuto di sottoporsi a un gesto inequivocabilmente idolatrico e magico che, non a caso, anche gli adepti del culto mitraico (del pari molto diffuso in ambiente militare) rigettano. Nel 314 il concilio di Arles è esplicito: i cristiani che disertano le armate imperiali sono da considerare scomunicati. Nel secolo successivo s. Agostino così scrive all’ufficiale romano, e cristiano, Bonifacio: «Anche facendo la guerra sii operatore di pace, in modo che vincendo tu possa condurre al bene della pace coloro che sconfiggi». Gli odierni obiettori di coscienza hanno eletto a loro patrono s. Massimiliano di Tebessa, un martire africano decapitato il 12 marzo 295. Figlio del veterano Fabio Vittore, secondo la legge del tempo avrebbe dovuto accettare l’arruolamento compiuti i ventun anni. Ma rifiutò adducendo il suo essere cristiano. Il proconsole Dione gli fece osservare che molti cristiani militavano nelle legioni senza alcun problema. Ma quello rimase fermo nel suo diniego. Ora, il motivo per cui la Chiesa ha sempre sospeso il giudizio su questo santo è che Massimiliano aveva conosciuto il cristianesimo nella versione eretica montanista, che ebbe il suo apice in quei tempi e specialmente in Oriente. I seguaci di Montano ricercavano fanaticamente il martirio e si esibivano in plateali provocazioni, nello spirito delle antiche rivolte antiromane giudaiche, incendiando templi pagani, abbattendo idoli e, appunto, rifiutando ogni servizio allo Stato, tra cui quello militare. Massimiliano era certo in buona fede, e tanto bastava per il suo ingresso nel Regno dei Cieli. Ma il suo esempio è molto lontano da quella che è sempre stata la posizione ortodossa in materia. Come il lettore di questo libro avrà modo di vedere.
(Rino Camilleri, "I santi militari", Premessa)".
Il santo, in fondo, è anche un soldato di Cristo.
Infatti, egli ha una missione che è quella di testimoniare Cristo e la fede che egli lasciò agli apostoli.
Egli deve testimoniare la fede attraverso la propria vita.
Il santo è un uomo nel mondo e non del mondo.
Il santo non è necessariamente un uomo povero di beni materiali.
Infatti, esistono santi ricchi e santi poveri.
Il santo mette Dio prima di tutto e mettendo Dio al primo posto valorizza tutto il resto.
Il santo combatte con le parole e non teme di farsi giudicare dagli altri.
Oggi, purtroppo, molti cristiani hanno paura di esprimere la propria idea.
Quando lo fanno, infatti, rischiano di essere additati come "bigotti" di mettere in pericolo amicizie e quant'altro.
A me è accaduto.
Forse, oggi, più che mai servono i santi, per fare capire a questo mondo che sta sbagliando.
Cordiali saluti.
Sul numero di questo mese della rivista "L'Eco di San Gabriele", è stata pubblicata questa mia lettera:
"Sul numero di marzo della rivista, ho letto la lettera di Alessandro che ha posto delle questioni sui santi e sul loro ruolo nella fede.
L'ho trovata molto interessante, come ho trovato molto interessante la risposta che gli ha dato.
Sul mio blog "Italia e mondo" (http://italiaemondo.blogspot.com) ho trattato anche questa materia.
Prima di tutto, dico che fa piacere che un giovane come me (qual è Alessandro) si interessi di queste cose e ponga delle domande su di esse.
Su Facebook mi capita di confrontarmi con giovani che trattano le questioni di fede.
Ad esempio, spesso e volentieri interloquisco con un ragazzo di Palermo che ha 26 anni (come Alessandro) e che ha avuto un'esperienza religiosa molto forte, esperienza che l'ha portato a diventare laico consacrato.
Ora, entro nella questione dei santi.
Io penso che, prima di tutto, un santo sia un testimone.
Il santo, infatti, è testimone della fede in Dio e che cerca di vivere prendendo Cristo come modello.
Quindi, il santo diventa a sua volta un modello della fede in Cristo per l'umanità.
Il termine cristiano può essere interpretato nel seguente modo:
il cristiano è un altro Cristo, un riflesso in piccolo di Cristo.
Il santo è, quindi, il cristiano per eccellenza.
Tutti i cristiani sono chiamati alla santità.
Questo lo dice costituzione dogmatica Lumen Gentium.
Oggi, purtroppo, si tende a non dare ai santi la giusta importanza.
C'è anche chi tende a dare loro troppa importanza, sostituendoli di fatto a Dio e scambiando la superstizione con la fede, e c'è chi, invece, non dà a loro nessuna importanza.
Purtroppo, questi sono i mali della secolarizzazione.
Antonio Gabriele Fucilone
Roncoferraro (Mantova)".
La risposta di padre Luciano Temperilli è stata:
"Caro Antonio, sono contento che ti interessi anche di santità.
L'importante è comprendere che tutti, ciascuno secondo la propria vocazione, siamo chiamati ad essere santi lungo le strade del mondo per essere testimoni di una grazia e di una speranza grande che abbiamo in Gesù crocifisso e risorto. Senza paura del giudizio del mondo!".
Prima di iniziare la risposta, vorrei portare all'attenzione di tutti una nota scritta dal ragazzo di 26 anni che ho citato nella lettera, Angelo Fazio.
La nota è un brano del libro di Rino Cammilleri "I Santi militari" e recita:
"La coincidenza esistente tra molte virtù cristiane e molte di quelle richieste ai militari ha dato lo spunto per questo libro. In fondo, anche per il cristiano la vita è un combattimento: militia super terram vita hominis est, dice il profeta Giobbe . Naturalmente, il cristiano combatte contro il peccato e quegli «spiriti» del male (come dice s. Paolo) che lo fomentano. Ma poiché, socialmente parlando, il peccato ha efficacia solo se posto in essere da qualcuno, il soldato e il poliziotto (soldato “interno”) devono combattere anche contro i peccatori: l'ingiusto aggressore nel caso del primo e il trasgressore in quello del secondo.
Il soldato, il monaco e il sacerdote portano uno speciale abito che li indica attivi per qualcosa di più alto, qualcosa per cui si deve essere pronti anche a dare la vita. Anche il coraggio, lo sprezzo delle fatiche e dei pericoli, l'obbedienza, la disciplina, il dominio di sé, il lavoro di squadra, le ritualità, le gerarchie sono virtù richieste e aspetti comuni nell'uno e nell'altro ordine. Molti cristiani si sono santificati passando, per un motivo o per un altro, attraverso il mestiere delle armi. A loro è dedicato questo libro, il cui scopo non vuol essere storico, letterario o semplicemente folkloristico, bensì religioso. In esso non si troveranno tutti i santi che, in un modo o nell'altro, direttamente o indi-rettamente, hanno avuto a che fare con la vita militare. Un'impresa del genere richiederebbe più di un volume ed esulerebbe dal nostro intendimento, che è quello di indicare alcuni esempi illustri, nonché altri, sconosciuti ai più, che la Chiesa non ha ancora acclamato come santi. La scelta è stata compiuta cercando di dare una panoramica di ampio respiro sul fenomeno «santità e vita militare» nelle varie epoche e nei suoi vari aspetti. Poteva venir adoperata una scansione esclusivamente e strettamente temporale, ma si sarebbe dovuto spiegare cosa ci fa, per esempio, la Madonna fra i «santi militari». Si è allora preferito raggruppare le figure proposte in diversi modi. Il lettore più erudito avrà qualche perplessità sulle ricorrenze di vari santi. Il fatto è che non sono pochi quelli che hanno più di una ricorrenza. Per molti di loro sui testi consultati non si sono trovate date univoche. Si è seguito allora, nei casi dubbi, il criterio del cosiddetto dies natalis, che é il giorno della morte del santo (quello della sua "nascita" a vita nuova), generalmente utilizzato anche per la festa. L'esperienza ha insegnato all'Autore che, malgrado tutte le sue precauzioni, quando si tratta di santi qualche inesattezza finisce sempre con l'impigliarsi nella penna. Sarà grato ai lettori se vorranno segnalargliele senza pietà, perché non gli par vero di imparare quel che non sa o che conosce parzialmente. Ribadisce, comunque, che questo libro non vuol essere opera storica né filologica, ma semplicemente una carrellata di figure esemplari anche per il mondo contemporaneo, che è sempre più confuso sull'idea stessa di pace e sempre alla vigilia di una nuova guerra.
Dalla prima edizione di questo lavoro, nel 1992, molta acqua è passata sotto i ponti e il nuovo ordine mondiale deve fare i conti con problemi così antichi da essere diventati una novità. Un vera novità, tuttavia, è quella certa dose di pacifismo che sembra aver contagiato molti cattolici. Il cristiano ha, certo, il dovere di essere «pacifico», uomo di pace, ma da qui a diventare «pacifista» ce ne corre. Per il cristiano la pace è, secondo la definizione di s. Agostino, «tranquillità nell’ordine». Essendo egli chiamato a cercar di tradurre i comandamenti divini in istituzioni sociali e possibilmente politiche, va da sé che considera la «pace» il risultato di certe premesse e condizioni, al di fuori delle quali non si dà «tranquillità nell’ordine». Slogan come «pace senza se e senza ma» o «meglio rossi che morti» non sono compatibili con la visuale cristiana, per la quale non è affatto la «pace» il fondamento di tutti i valori. Ogni –ismo dichiara la sua derivazione utopica e ideologica. Il pacifismo e il suo corollario, l’obiezione di coscienza all’uso delle armi, ne fanno parte a pieno titolo. Il chiodo su cui sta appesa l’intera antropologia cristiana è il Peccato Originale, di cui è dolorosa e quotidiana prova il mazzo di chiavi che ciascuno di noi porta in tasca. Per questo esiste, è sempre esistita e sempre esisterà la polizia. Per questo, sebbene avesse inflitto loro tre secoli di persecuzioni, i cristiani consideravano provvidenziali l’Impero romano e la «tranquillità dell’ordine» che bene o male esso garantiva all’interno del suo limes, al di fuori del quale regnava solo il caos. Come è stato autorevolmente detto, lo stesso Gesù non avrebbe potuto predicare senza i romani a guardia dell’ordine pubblico. Ai cristiani dei primi tempi tutto ciò era chiarissimo, tant’è che si arruolarono in massa nelle legioni. Dovremo spendere due parole sulla supposta «obiezione di coscienza» che i cristiani avrebbero opposto al servizio militare nei loro primi secoli.
Verso il 211 un ignoto legionario romano viene messo in carcere perchè, in occasione di una distribuzione di donativi e supplementi di paga concessi dagli imperatori Caracalla e Geta, si è presentato a capo scoperto anziché, come d’uso, incoronato d’alloro. Richiesto del perché, risponde di essere cristiano. Tertulliano ne trae spunto per il suo celebre De corona, in cui chiarisce che non si tratta di obiezione di coscienza al servizio militare (infatti, quel cristiano, militare lo è già) bensì di rifiuto di sottoporsi a un gesto inequivocabilmente idolatrico e magico che, non a caso, anche gli adepti del culto mitraico (del pari molto diffuso in ambiente militare) rigettano. Nel 314 il concilio di Arles è esplicito: i cristiani che disertano le armate imperiali sono da considerare scomunicati. Nel secolo successivo s. Agostino così scrive all’ufficiale romano, e cristiano, Bonifacio: «Anche facendo la guerra sii operatore di pace, in modo che vincendo tu possa condurre al bene della pace coloro che sconfiggi». Gli odierni obiettori di coscienza hanno eletto a loro patrono s. Massimiliano di Tebessa, un martire africano decapitato il 12 marzo 295. Figlio del veterano Fabio Vittore, secondo la legge del tempo avrebbe dovuto accettare l’arruolamento compiuti i ventun anni. Ma rifiutò adducendo il suo essere cristiano. Il proconsole Dione gli fece osservare che molti cristiani militavano nelle legioni senza alcun problema. Ma quello rimase fermo nel suo diniego. Ora, il motivo per cui la Chiesa ha sempre sospeso il giudizio su questo santo è che Massimiliano aveva conosciuto il cristianesimo nella versione eretica montanista, che ebbe il suo apice in quei tempi e specialmente in Oriente. I seguaci di Montano ricercavano fanaticamente il martirio e si esibivano in plateali provocazioni, nello spirito delle antiche rivolte antiromane giudaiche, incendiando templi pagani, abbattendo idoli e, appunto, rifiutando ogni servizio allo Stato, tra cui quello militare. Massimiliano era certo in buona fede, e tanto bastava per il suo ingresso nel Regno dei Cieli. Ma il suo esempio è molto lontano da quella che è sempre stata la posizione ortodossa in materia. Come il lettore di questo libro avrà modo di vedere.
(Rino Camilleri, "I santi militari", Premessa)".
Il santo, in fondo, è anche un soldato di Cristo.
Infatti, egli ha una missione che è quella di testimoniare Cristo e la fede che egli lasciò agli apostoli.
Egli deve testimoniare la fede attraverso la propria vita.
Il santo è un uomo nel mondo e non del mondo.
Il santo non è necessariamente un uomo povero di beni materiali.
Infatti, esistono santi ricchi e santi poveri.
Il santo mette Dio prima di tutto e mettendo Dio al primo posto valorizza tutto il resto.
Il santo combatte con le parole e non teme di farsi giudicare dagli altri.
Oggi, purtroppo, molti cristiani hanno paura di esprimere la propria idea.
Quando lo fanno, infatti, rischiano di essere additati come "bigotti" di mettere in pericolo amicizie e quant'altro.
A me è accaduto.
Forse, oggi, più che mai servono i santi, per fare capire a questo mondo che sta sbagliando.
Cordiali saluti.
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Il peggio della politica continua ad essere presente
Ringrazio un caro amico di questa foto.