Cari amici ed amiche.
Dopo avere detto addio allo Scudetto, noi milanisti dobbiamo dire addio a tanti campioni, come Alessandro Nesta, Clarence Seedorf e Gennaro Gattuso e Filippo Inzaghi.
Proprio quest'ultimo, che ha scritto una lettera a noi tifosi, voglio dire una sola parola e penso di potere parlare anche a nome degli altri milanisti: "Grazie!".
Io ho letto la sua lettera e mi sono commosso.
Credetemi, la cosa mi capita raramente.
Questo dimostra che questo calcio italiano ha ancora un'anima, nonostante le diatribe che nulla hanno a che fare con il campo (come lo scontro politico), la violenza negli stadi, gli illeciti veri o presunti (come lo scandalo di Calciopoli e le scommesse) e le polemiche sui calciatori troppo pafati.
Inzaghi è sicuramente un degno rappresentante di questo calcio con l'anima.
A lui interessava (e penso che interessi ancora, qualunque strada egli decida di prendere) giocare, segnare e vincere.
Con lui, il Milan ha vinto tanto.
Ha vinto una Coppa del mondo per club, due Champions League, due Supercoppe europee, due Scudetti, una Coppa Italia e due Supercoppe italiane.
Tra l'altro, egli ha vinto anche il Mondiale del 2006, con la Nazionale Italiana.
Oggi, ha segnato il suo ultimo goal con il Novara.
Nonostante gli infortuni (come quello grave che subì nella stagione 2001-2002) questo campione ha sempre lottato.
Merita il rispetto di tutti.
I giovani dovrebbero prendere esempio da una personalità come lui.
Personalmente, qualunque strada decida di prendere, a Filippo Inzaghi, in arte "Superpippo" faccio i miei migliori auguri.
Penso di potere parlare a nome di tutti i milanisti.
Cordiali saluti.
The Liberty Bell of Italy, una voce per chi difende la libertà...dalla politica alla cultura...come i nostri amici americani, i quali ebbero occasione di udire la celebre campana di Philadelphia nel 1776, quando fu letta la celeberrima Dichiarazione di Indipendenza. Questa è una voce per chi crede nei migliori valori della nostra cultura.
Il mio libro
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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino
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domenica 13 maggio 2012
Madonna di Fatima, ieri ed oggi
Cari amici ed amiche.
Oggi si festeggia la Madonna di Fatima, colei che fu vista da tre bimbi portoghesi, Lucia, Giacinta e Francisco,e che annunciò loro che vi sarebbe stata una guerra mondiale ancora più devastante della prima se gli uomini non si fossero convertiti e che la guerra sarebbe stata evitabile se la Russia comunista si fosse consacrata a lei.
In quegli anni, ci furono i totalitarismi nazista e comunista, che fecero morti e danni.
Oggi, purtroppo, in questa sgangherata Europa ci sono altri mali, il relativismo e la tecnocrazia, che stanno facendo danni e spingendo nuovamente la gente verso quelle ideologie nefaste.
Il caso greco è il paradigma di ciò.
Chiediamo alla Vergine Madre di Dio perché interceda presso di lui per evitare una nuova catastrofe.
Vi comunico che a Bonferraro, frazione del Comune di Sorgà (in Provincia di Verona) sarà esposta la statua della Madonna di Fatima.
Spero che in tanti andiate a visitarla.
Cordiali saluti .
Sodoma e Gomorra, furono distrutte da fulmini globulari?
Cari amici ed amiche.
Premetto, non ho intenzione di mettere in discussione l'esistenza di Dio.
Sono credente (e praticante) e pertanto non voglio fare delle disquisizioni atte a togliere alla Bibbia ogni riferimento divino.
Voglio solo lanciare un'ipotesi sulla fine di due città, Sodoma e Gomorra, le due città che furono punite da Dio per i loro laidi peccati.
Nel libro della Genesi (capitolo 18, versetti 16-33, e nel capitolo 19):
"[16] Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall'alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli.
[17] Il Signore diceva: "Devo io tener nascosto ad Abramo quello che sto per fare,
[18] mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra?
[19] Infatti io l'ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui ad osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore realizzi per Abramo quanto gli ha promesso".
[20] Disse allora il Signore: "Il grido contro Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave.
[21] Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!".
[22] Quegli uomini partirono di lì e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora davanti al Signore.
[23] Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio?
[24] Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?
[25] Lungi da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?".
[26] Rispose il Signore: "Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città".
[27] Abramo riprese e disse: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere...
[28] Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?". Rispose: "Non la distruggerò, se ve ne trovo quarantacinque".
[29] Abramo riprese ancora a parlargli e disse: "Forse là se ne troveranno quaranta". Rispose: "Non lo farò, per riguardo a quei quaranta".
[30] Riprese: "Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta". Rispose: "Non lo farò, se ve ne troverò trenta".
[31] Riprese: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti". Rispose: "Non la distruggerò per riguardo a quei venti".
[32] Riprese: "Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci". Rispose: "Non la distruggerò per riguardo a quei dieci".
[33] Poi il Signore, come ebbe finito di parlare con Abramo, se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione.
[1] I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra.
[2] E disse: "Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada". Quelli risposero: "No, passeremo la notte sulla piazza".
[3] Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono.
[4] Non si erano ancora coricati, quand'ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo.
[5] Chiamarono Lot e gli dissero: "Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!".
[6] Lot uscì verso di loro sulla porta e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé,
[7] disse: "No, fratelli miei, non fate del male!
[8] Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all'ombra del mio tetto".
[9] Ma quelli risposero: "Tirati via! Quest'individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!". E spingendosi violentemente contro quell'uomo, cioè contro Lot, si avvicinarono per sfondare la porta.
[10] Allora dall'interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero il battente;
[11] quanto agli uomini che erano alla porta della casa, essi li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta.
[12] Quegli uomini dissero allora a Lot: "Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo.
[13] Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a distruggerli".
[14] Lot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: "Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!". Ma parve ai suoi generi che egli volesse scherzare.
[15] Quando apparve l'alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: "Su, prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolto nel castigo della città".
[16] Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città.
[17] Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: "Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!".
[18] Ma Lot gli disse: "No, mio Signore!
[19] Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande misericordia verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia.
[20] Vedi questa città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù - non è una piccola cosa? - e così la mia vita sarà salva".
[21] Gli rispose: "Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato.
[22] Presto, fuggi là perché io non posso far nulla, finché tu non vi sia arrivato". Perciò quella città si chiamò Zoar.
[23] Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar,
[24] quand'ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore.
[25] Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo.
[26] Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.
[27] Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore;
[28] contemplò dall'alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.
[29] Così, quando Dio distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.
[30] Poi Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di restare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie.
[31] Ora la maggiore disse alla più piccola: "Il nostro padre è vecchio e non c'è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, secondo l'uso di tutta la terra.
[32] Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre".
[33] Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò.
[34] All'indomani la maggiore disse alla più piccola: "Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e và tu a coricarti con lui; così faremo sussistere una discendenza da nostro padre".
[35] Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò.
[36] Così le due figlie di Lot concepirono dal loro padre.
[37] La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti che esistono fino ad oggi.
[38] Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò "Figlio del mio popolo". Costui è il padre degli Ammoniti che esistono fino ad oggi.".
Cordiali saluti.
Premetto, non ho intenzione di mettere in discussione l'esistenza di Dio.
Sono credente (e praticante) e pertanto non voglio fare delle disquisizioni atte a togliere alla Bibbia ogni riferimento divino.
Voglio solo lanciare un'ipotesi sulla fine di due città, Sodoma e Gomorra, le due città che furono punite da Dio per i loro laidi peccati.
Nel libro della Genesi (capitolo 18, versetti 16-33, e nel capitolo 19):
"[16] Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall'alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli.
[17] Il Signore diceva: "Devo io tener nascosto ad Abramo quello che sto per fare,
[18] mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra?
[19] Infatti io l'ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui ad osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore realizzi per Abramo quanto gli ha promesso".
[20] Disse allora il Signore: "Il grido contro Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave.
[21] Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!".
[22] Quegli uomini partirono di lì e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora davanti al Signore.
[23] Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio?
[24] Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?
[25] Lungi da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?".
[26] Rispose il Signore: "Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città".
[27] Abramo riprese e disse: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere...
[28] Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?". Rispose: "Non la distruggerò, se ve ne trovo quarantacinque".
[29] Abramo riprese ancora a parlargli e disse: "Forse là se ne troveranno quaranta". Rispose: "Non lo farò, per riguardo a quei quaranta".
[30] Riprese: "Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta". Rispose: "Non lo farò, se ve ne troverò trenta".
[31] Riprese: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti". Rispose: "Non la distruggerò per riguardo a quei venti".
[32] Riprese: "Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci". Rispose: "Non la distruggerò per riguardo a quei dieci".
[33] Poi il Signore, come ebbe finito di parlare con Abramo, se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione.
[2] E disse: "Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada". Quelli risposero: "No, passeremo la notte sulla piazza".
[3] Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono.
[4] Non si erano ancora coricati, quand'ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo.
[5] Chiamarono Lot e gli dissero: "Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!".
[6] Lot uscì verso di loro sulla porta e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé,
[7] disse: "No, fratelli miei, non fate del male!
[8] Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all'ombra del mio tetto".
[9] Ma quelli risposero: "Tirati via! Quest'individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!". E spingendosi violentemente contro quell'uomo, cioè contro Lot, si avvicinarono per sfondare la porta.
[10] Allora dall'interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero il battente;
[11] quanto agli uomini che erano alla porta della casa, essi li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta.
[12] Quegli uomini dissero allora a Lot: "Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo.
[13] Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a distruggerli".
[14] Lot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: "Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!". Ma parve ai suoi generi che egli volesse scherzare.
[15] Quando apparve l'alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: "Su, prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolto nel castigo della città".
[16] Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città.
[17] Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: "Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!".
[18] Ma Lot gli disse: "No, mio Signore!
[19] Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande misericordia verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia.
[20] Vedi questa città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù - non è una piccola cosa? - e così la mia vita sarà salva".
[21] Gli rispose: "Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato.
[22] Presto, fuggi là perché io non posso far nulla, finché tu non vi sia arrivato". Perciò quella città si chiamò Zoar.
[23] Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar,
[24] quand'ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore.
[25] Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo.
[26] Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.
[27] Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore;
[28] contemplò dall'alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.
[29] Così, quando Dio distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.
[30] Poi Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di restare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie.
[31] Ora la maggiore disse alla più piccola: "Il nostro padre è vecchio e non c'è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, secondo l'uso di tutta la terra.
[32] Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre".
[33] Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò.
[34] All'indomani la maggiore disse alla più piccola: "Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e và tu a coricarti con lui; così faremo sussistere una discendenza da nostro padre".
[35] Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò.
[36] Così le due figlie di Lot concepirono dal loro padre.
[37] La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti che esistono fino ad oggi.
[38] Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò "Figlio del mio popolo". Costui è il padre degli Ammoniti che esistono fino ad oggi.".
Il testo biblico è stati preso dal sito della Santa Sede.
Secondo le Scritture, il Signore fece scendere un fuoco dal cielo.
Questa affermazione potrebbe non essere falsa.
Com'è noto, i fenomeni più caratteristici di un temporale sono i fulmini.
Esistono vari tipi di fulmini.
Vi sono i fulmini ramificati, quelli a nastro, quelli ad arco e quelli globulari.
Il fulmine ramificato è quello classico, come quelle che vediamo nella foto qui sotto:
Almeno una delle sue ramificazioni si scarica sul suolo.
Il fulmine a nastro è più raro ed un esempio è raffigurato nella foto qui sotto:
Il suo punto di impatto dipende dal capriccio del vento.
Un esempio di fulmine ad arco è riportato in questa foto dell'Associazione Ligure di Meteorologia:
Il suo punto di impatto si trova lontano dal temporale in cui si forma.
Poi. ci sono i fulmini globulari.
Questa è una rara forma di fulmine che si origina da una combustione di gas.
L'immagine qui sopra è stata presa dal sito della "MeteoWeb".
Questa combustione di gas genera delle vere e proprie sfere di fuoco del diametro di circa 20 centimetri.
In lingua inglese, esso viene chiamato "ball lightning" ed è considerato come una delle manifestazioni energetiche più misteriose della troposfera.
Secondo gli studi di Graham Hubler, un ricercatore della "U.S. Naval Research Laboratory", il fulmine globulare si forma quando un normale fulmine (ramificato, a nastro o ad arco) cade.
Il fulmine, che è più caldo del Sole, disintegrerebbe alcuni materiali (come il silicio), le cui particelle vengono fatte volteggiare in arie, generando nuovo plasma.
Ora, proprio una enorme caduta di fulmini globulari potrebbe avere distrutto Sodoma e Gomorra.
Con questo, ripeto, non metto in discussione l'esistenza di Dio.
Ad avallare quest'ultima tesi potrebbero essere il fatto che siano state colpite due città reputate come peccatrici ed l'eccezionalità dell'evento, proprio su quelle città.
Tra l'altro, io stesso ho visto un fulmine globulare.
Era il giugno del 1992 e c'era un temporale.
Ero in casa ed ero entrato in una camera da letto, per prendere una torcia.
Ad un certo punto i miei ed io vedemmo una palla di fuoco passarmi sul capo e colpire un quadro di peltro raffigurante la Madonna.
Guardate il video qui sotto.
Tra l'altro, io stesso ho visto un fulmine globulare.
Era il giugno del 1992 e c'era un temporale.
Ero in casa ed ero entrato in una camera da letto, per prendere una torcia.
Ad un certo punto i miei ed io vedemmo una palla di fuoco passarmi sul capo e colpire un quadro di peltro raffigurante la Madonna.
Guardate il video qui sotto.
sabato 12 maggio 2012
Liste pulite? Va bene ma non si faccia demagogia!
Cari amici ed amiche.
Il partito di Gianfranco Fini, "Futuro e Libertà per l'Italia", ha lanciato una campagna, la petizione "Liste pulite" .
Con questa petizione si vorrebbe togliere la corruzione dalla politica.
Anche qui a Roncoferraro (Mantova), c'è il banchetto con gli amici di FLI che raccolgono firme.
Visto che il Popolo della Libertà non ha posto veti, ho firmato pure io ma l'ho fatto con una riserva.
Premesso il fatto che la corruzione sia un male e che nessuno voglia corrotti in politica, va detto che sia bene distinguere tra i casi di corruzione accertata (coloro che sono stati condannati in via definitiva) e chi è semplicemente indagato.
Chi è stato condannato in via definitiva (il caso di corruzione accertata) non dovrebbe essere candidato, né (tanto meno) eletto.
Chi è solo indagato è comunque un presunto innocente.
Finché manca la condanna definitiva, egli deve essere dichiarato innocente.
Come tale, quindi, ha tutto il diritto di candidarsi.
Semmai, sarebbe bene che si dimettesse dalla sua carica, qualora egli fosse eletto e venisse condannato in via definitiva.
Inoltre, io penso che nessuno possa ergersi a moralizzatore.
Il mio augurio è che, con questa petizione, il Parlamento sia stimolato a fare qualcosa contro la corruzione e per questo ho firmato.
Cordiali saluti.
Il partito di Gianfranco Fini, "Futuro e Libertà per l'Italia", ha lanciato una campagna, la petizione "Liste pulite" .
Con questa petizione si vorrebbe togliere la corruzione dalla politica.
Anche qui a Roncoferraro (Mantova), c'è il banchetto con gli amici di FLI che raccolgono firme.
Visto che il Popolo della Libertà non ha posto veti, ho firmato pure io ma l'ho fatto con una riserva.
Premesso il fatto che la corruzione sia un male e che nessuno voglia corrotti in politica, va detto che sia bene distinguere tra i casi di corruzione accertata (coloro che sono stati condannati in via definitiva) e chi è semplicemente indagato.
Chi è stato condannato in via definitiva (il caso di corruzione accertata) non dovrebbe essere candidato, né (tanto meno) eletto.
Chi è solo indagato è comunque un presunto innocente.
Finché manca la condanna definitiva, egli deve essere dichiarato innocente.
Come tale, quindi, ha tutto il diritto di candidarsi.
Semmai, sarebbe bene che si dimettesse dalla sua carica, qualora egli fosse eletto e venisse condannato in via definitiva.
Inoltre, io penso che nessuno possa ergersi a moralizzatore.
Il mio augurio è che, con questa petizione, il Parlamento sia stimolato a fare qualcosa contro la corruzione e per questo ho firmato.
Cordiali saluti.
Rock e satanismo, alcuni consigli
Cari amici ed amiche.
Bisogna fare attenzione a quello che si ascolta e a quello che si vede.
Vi consiglio di dare un' occhiata al sito del "Centro Culturale San Giorgio".
Purtroppo, la musica e le le altre arti (come quelle figurative) sono zone franche e in esse c'è di tutto.
Intendiamoci, la musica e le arti in sé sono una virtù.
L'arte permette di trasmettere cose buone, come la musica.
Tuttavia, c'è chi le usa per portare avanti cose non belle, come l'occultismo, il satanismo l'esoterismo, che in una cultura impregnata di relativismo come la nostra stanno prendendo piede.
Sempre più spesso, si usa la tecnica dei messaggi subliminali, ossia messaggi che non possono essere sentiti o visti immediatamente ma che possono fare presa nel cervello.
Guardate il video qui sotto che mostra i messaggi subliminali in alcuni brani dei Beatles e del Led Zeppelin.
Ci sono anche film che possono trasmettere messaggi sbagliati.
Guardate il video in basso, quello che mostra il film "Dagon la mutazione del male".
Oltre al carattere antisemita, poiché si inneggia a Dagon, in dio dei Filistei (nemici di Israele), e alle immagini apertamente blasfeme, in cui vengono distrutte delle immagini sacre in una chiesa, vi sono anche altri particolari.
Per esempio, l'oggetto piramidale che viene usato dal capitano Orpheus Cambarro (che è impersonato dall'attore Alfredo Villa) reca simboli inequivocabili.
Pertanto, state molto attenti per i vostri figli, che sono esposti a tutte questo.
Se vostro figlio incomincia ad avere atteggiamenti diversi dal solito (per esempio abbandona gli amici o inizia ad interessarsi di strani argomenti) fate bene attenzione.
Cercate di parlargli.
Potrebbe essere un campanello di allarme.
Cordiali saluti.
Bisogna fare attenzione a quello che si ascolta e a quello che si vede.
Vi consiglio di dare un' occhiata al sito del "Centro Culturale San Giorgio".
Purtroppo, la musica e le le altre arti (come quelle figurative) sono zone franche e in esse c'è di tutto.
Intendiamoci, la musica e le arti in sé sono una virtù.
L'arte permette di trasmettere cose buone, come la musica.
Tuttavia, c'è chi le usa per portare avanti cose non belle, come l'occultismo, il satanismo l'esoterismo, che in una cultura impregnata di relativismo come la nostra stanno prendendo piede.
Sempre più spesso, si usa la tecnica dei messaggi subliminali, ossia messaggi che non possono essere sentiti o visti immediatamente ma che possono fare presa nel cervello.
Guardate il video qui sotto che mostra i messaggi subliminali in alcuni brani dei Beatles e del Led Zeppelin.
Guardate il video in basso, quello che mostra il film "Dagon la mutazione del male".
Oltre al carattere antisemita, poiché si inneggia a Dagon, in dio dei Filistei (nemici di Israele), e alle immagini apertamente blasfeme, in cui vengono distrutte delle immagini sacre in una chiesa, vi sono anche altri particolari.
Per esempio, l'oggetto piramidale che viene usato dal capitano Orpheus Cambarro (che è impersonato dall'attore Alfredo Villa) reca simboli inequivocabili.
Pertanto, state molto attenti per i vostri figli, che sono esposti a tutte questo.
Se vostro figlio incomincia ad avere atteggiamenti diversi dal solito (per esempio abbandona gli amici o inizia ad interessarsi di strani argomenti) fate bene attenzione.
Cercate di parlargli.
Potrebbe essere un campanello di allarme.
Cordiali saluti.
Alfredo Mantovano, "Ricostruire un contesto sociale 'coriandolare'...", in AA.VV., "A maggior gloria di Dio, anche sociale"
Cari amici ed amiche.
Leggete questo brano che mi è stato segnalato dall'amico Filippo Giorgianni che è intitolato "Alfredo Mantovano, "Ricostruire un contesto sociale "coriandolare"", in AA.VV, "A maggior gloria di Dio anche nel sociale":
«Nel novembre 1996, a pochi mesi dall’avvio dell’esperienza di governo dell’Ulivo, è stato pubblicato un libro dalla casa editrice Il Fenicottero: ha una diffusione e un’eco limitate, ma la lettura delle sue pagine è di non scarso interesse. S’intitola Anti-prince. L’autore è François Sauzey, responsabile dell’ufficio stampa della Trilateral Commission. È un romanzo, e descrive il ritorno nella sua città, dopo anni di lontananza, dello stesso autore e di un certo P-Bee, iniziali di un personaggio reale, appartenente al mondo dell’industria e della finanza italiane: un personaggio che Sauzey piega essergli presentato da David Rockefeller a Washington, durante un meeting della Commissione Trilaterale, e che lo accompagna nel viaggio di rientro [...]. Il tema del libro è la morte dello Stato e l’emergere di una nuova polis, senza confini, nella quale si accede senza documenti, che ha e caratteristiche di un network: tante bandiere, l’una diversa dall’altra, una grande quantità di lingue parlate – con prevalenza dell’inglese – e una marcata incertezza sulla titolarità del potere. Chi comanda nella nuovapolis? Al quesito, che François pone a P-Bee, costui risponde spiegando che “[...] c’è stato un cambio della guardia”. Nella polis riscoperta un luogo inutile è il Parlamento. La stampa “sembra non parlare di nulla”. Dappertutto ci sono banche. Il Principe,che dovrebbe essere il capo della polis, è dipinto come un essere ripugnante e marginale, disteso su un sofà, privo di qualsiasi potere effettivo, a cominciare da quello di emanare le leggi che dovrebbe approvare il Parlamento, dal momento che “[...] ora è Bruxelles ad avere la precedenza sulle nostre leggi”. Il “cambio della guardia” è radicale: l’impresa ha acquisito la centralità che prima, come soggetto istituzionale prevalente, aveva il cittadino; il mercato detta le regole della convivenza quotidiana, sostituendo le norme una volta dettate dalla legge; caduto ogni confine, il mondo, il globo in generale, diventa il territorio naturale e subentra alla vecchia patria; non è più la civiltà la forza più attiva e consistente, bensì le etnie. La vita reale si svolge non nelle istituzioni e nelle sedi delle tradizionali autorità sociali, ma altrove: in borsa, nelle banche, su internet… Come la gran parte della letteratura detta “utopistica”, anche in questo romanzo non è ben definito il confine fra la descrizione di ciò che è già e la proiezione di ciò che non è ancora, ma di cui s’intravedono i segni. Anti-prince è stata però una lettura utile perché ha indicato una linea di tendenza: ai secoli della progressiva ipertrofia dello Stato, al momento della formazione dello Stato moderno, segue da tempo l’altrettanto progressivo, e progressivamente accelerato, scioglimento de più elementari presidi istituzionali. Al “tutto nello Stato, tutto per lo Stato, niente al di fuori dello Stato”, del quale il secolo XIX secolo aveva fatto conoscere la versione centralizzatrice d’impronta liberale, e il secolo XX le varianti nazionalsocialista e socialcomunista, si sostituisce la fuga dallo Stato, senza che vi sia lo sforzo per cercare un punto di equilibrio, che faccia svolgere allo Stato le funzioni che gli spettano, evitando di appropriarsi di compiti non propri, ma anche di rinunciare alle proprie responsabilità. Non che l’impresa, il mercato, la borsa, internet, la globalizzazione, l’integrazione multietnica abbiano, ciascuno in sé considerato, connotazioni negative. Si tratta però di capire se questi elementi devono restare gli esclusivi dominatori della scena pubblica e gli esclusivi regolatori della vita dei singoli, e se invece elementi come società, patria, nazione, Stato, siano ormai fuori dalla realtà; si tratta di capire se la politica ha ancora un senso, o se tutto deve essere dominato da scelte che si spacciano per “tecniche”, imponendo ai Parlamenti e ai popoli europei decisioni adottate in sedi comunitarie prive in modo diretto di mandato rappresentativo, senza un vaglio approfondito delle autorità politiche dei singoli Stati. In una prospettiva tradizionale, lo Stato ha una funzione propria e insostituibile: una funzione naturale, che prescinde dai condizionamenti culturali e storici. Si tratta, in particolare, di uno Stato non accentratore o prevaricatore, bensì autorevole, che rispetta le realtà istituzionali e sociali, in un’ottica di effettiva sussidiarietà, senza abdicare alle proprie funzioni. Uno Stato che non esiste per sé: esiste in relazione al popolo e al territorio, entrambi elementi materiali, cui si affiancava il vincolo giuridico che costituisce l’elemento formale; la nazione, a sua volta, benché spesso sia un termine adoperato indifferentemente rispetto a popolo, si basa su vincoli non giuridici, più profondi e di rilievo morale. Logicamente e cronologicamente non viene prima lo Stato, e quindi il popolo, il territorio, l’ordinamento giuridico, e quei valori comuni nei quali il popolo si riconosce: esistono dapprima questi fattori, e la loro organica composizione integra e legittima la sovranità dello Stato. Questo è tanto più autorevole quanto più è chiara la memoria dell’identità della nazione che esso rappresenta e guida; quanto più sono evidenti le libertà concrete, dei singoli e dei corpi intermedi, che all’interno della nazione si sono sviluppati nel corso dei secoli, e i valori che in quelle libertà hanno trovato compimento; quanto più quelle libertà e quei valori trovano riscontro nell’esperienza storica di altre nazioni, anzitutto nel continente europeo; quanto più valori e libertà trovano composizione con gli interessi economici e finanziari delle singole comunità; quanto più, infine al centro dell’attività delle istituzioni viene posto il bene della persona. Nell’Anti-prince l’esito del “cambio della guardia” è un “nuovo uomo”, espressione di una “nuova soggettività”. Nella parte finale del libro di Sauzey, costui si sorprende quando scopre l’esistenza di “[…] un Uomo che è soltanto l’ombra del precedente. Un uomo della rete, la cui indipendenza è accerchiata da ogni parte. […] Un Uomo che non è più sovrano, non è più neppure ‘uno’. […] un Soggetto polverizzato”. A queste osservazioni P-Bee risponde con franchezza: “[…] Se per Soggetto tu intendi qualche cosa che, anche se lontanamente, assomiglia all’uomo di Cartesio, […]sì, il soggetto si è frantumato – irreparabilmente rotto, temo”. Riecheggia, anche nei termini adoperati, il monito lanciato dallo scrittore russo Aleksandr Solženicyn trent’anni fa, l’8 giugno 1978, quando si presentò l’Università di Harvard davanti a ventimila persone, per la maggior parte studenti, e pronunciò un discorso che gli ascoltatori non compresero, tanto che raccolse più fischi che applausi. Nell’occasione descrisse con poche pennellate la crisi della modernità, che accomuna Est e Ovest, e ne identificò i caratteri. Dopo aver parlato del “bazar del Partito” a Est – si era ancora un decennio prima della caduta del Muro di Berlino, avvenuto nel 1989 – e della “fiera del commercio”, a Occidente, disse: “quello che fa paura, della crisi attuale, non è neanche il fatto della spaccatura del mondo, quanto che i frantumi più importanti siano colti da un’analoga malattia”. Adoperò proprio quell’espressione, all’inizio dell’esposizione, riassuntiva della condizione umana di oggi: parlò di “un mondo in frantumi”, e cioè di spaccatura profonde, non tanto o non solo di natura politica, o fra blocchi contrapposti, ma “[…] di crepe più profonde, più larghe e più numerose di quanto non appaia al primo sguardo”. Aggiunse che “[…] questa frantumazione profonda e multiforme è gravida per tutti noi di vari rischi mortali”, dal momento che “[…] qualsiasi regno diviso contro sé stesso – oggi la nostra Terra – è destinato a morire”. Qualche anno dopo, nel 1984, la medesima espressione – “mondo frantumato” – si incontra in uno dei più importanti documenti del magistero di Papa Giovanni Paolo II: l’esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia. E la si è ritrovata altre volte nel magistero pontificio, per descrivere la situazione di disorientamento esistenziale, prima ancora che sociale e politico, che grava sull’uomo di fine e d’inizio millennio. Questa espressione appare oggi ancora più puntuale rispetto a trent’anni fa. La si ritrova nel 41° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese, l’ultimo redatto a cura del CENSIS – il Centro Studi Investimenti Sociali, presieduto dal prof. Giuseppe De Rita – che descrive il contesto sociale italiano come “una realtà ambigua, senza rilievi e contorni di tipo sociologico e politico, piattamente de-totalizzata, e quindi sfuggente a ogni schema e sforzo interpretativo. Una realtà che diventa ogni giorno una poltiglia di massa; impastata di pulsioni, emozioni, esperienze e, di conseguenza, particolarmente indifferente a fini e obiettivi di futuro, quindi ripiegata su se stessa”. Prosegue il rapporto: “Al termine poltiglia di massa si può […] sostituire il termine più espressivo di ‘mucillagine’, quasi un insieme inconcludente di ‘elementi individuali e di ritagli personali’ tenuti insieme da un sociale di bassa lega, e senza alcuna funzione di coesione da parte delle istituzioni. […] la frammentazione progressiva di tutte le forme di coesione e appartenenza collettiva ha creato una molecolarità che […] sta creando dei ‘coriandoli’, i quali stanno insieme (meglio sarebbe dire ‘accanto’) per pura inerzia, per appagato imborghesimento, per paura di tornare indietro, magari mitridatizzata da una sempre più generalizzata volgarità plebea. La caratteristica fondamentale dei ‘ritagli umani’ senza identità è la dispersione del sé, nello spazio e nel tempo collettivo. Nello spazio, per la vittoria irresistibile della soggettività esasperante in ogni comportamento, senza attenzione al momento della relazione e della convivenza. Nel tempo, per il declino irresistibile dell’attenzione su un tema, un problema, un fenomeno […]. Con i ritagli non si costruisce un tessuto sociale: così abbiamo, sul piano individuale, bolle di aspirazioni senza scopo e senza mordente e, sul piano sociale, deboli connessioni, smorte forme di aggregazione e inanimati simulacri dei processi di coesione che furono”. Di fronte a questa realtà sociologica non si può pretendere dalla politica il recupero di un’organicità che è perduta da decenni, ma si può esigere che individui nella frantumazione di un quadro una volta coerente la causa di una crisi molto più profonda di tante analisi di superficie. Potrebbe costituire un utile esercizio, per chi abbia voglia di farlo, percorrere a ritroso il cammino della modernità, per identificare in esso le ragioni reali delle spaccature e delle frammentazioni. Nel mondo politico è indispensabile interrogarsi su quale sia la parte da recitare per rispondere, nei limiti delle proprie competenze, alle necessità e ai disagi di un corpo sociale che ha le caratteristiche appena descritte. […] L’eliminazione dello Stato, in questo quadro, “lo Stato in fase calante” – per riprendere l’espressione di Sauzey –, la sua riduzione ai minimi termini è funzionale alla frantumazione dell’uomo, alla scomposizione dell’integralità del suo essere, all’allontanamento dell’uomo da un tipo definito dalla natura invece che dai laboratori. “Non lo troverai certo – spiega P-Bee nell’Anti-prince –, con una matita in mano, nella tranquillità del suo studio, a cercare di scoprire chi è. No! Questo no! Del nostro nuovo Uomo, potremmo dire che è un satellite capace di fargli scoprire sé stesso, che gli mostra chiaramente la sostanza di quello che egli è veramente. In questo senso, in quanto nuovo Soggetto, egli […] non è più autonomo, non è più sovrano; non è più veramente ‘il tutto’, ma soltanto una parte del tutto. […] egli non è più un soggetto personale!”. Dunque, non è lo Stato l’obiettivo finale, il nemico da abbattere, di un percorso storico e culturale plurisecolare. Ovvero, lo è in quanto oggi è, in qualche misura, strumento di difesa dell’integrità della persona. L’obiettivo che compare al centro del mirino di un processo intellettuale, prima che politico, è la persona come corrispondente a una natura data; obiettivi secondari, la cui disgregazione è volta al perseguimento dell’obiettivo principale, sono le comunità nelle quali la persona nasce, cresce e viene educata, in primis la famiglia. Si ricava qualche esempio illuminante dall’azione politica mirata alla disgregazione della famiglia e alla frantumazione dell’identità naturale della persona dagli atti della XV Legislatura, durata – grazie a Dio – appena due anni, dal 28 aprile 2006 al 28 aprile 2008: mai come in tale periodo vi è stata una così intensa concentrazione di attacchi alla vita e alla comunità familiare. In ogni legislatura dell’Italia repubblicana, a partire dagli anni 1970, sono stati depositati progetti legislativi eversivi su questi fronti, ma in quel biennio si è concretizzato lo sforzo per tradurli in norme di legge, su iniziativa parlamentare, ma soprattutto su impulso del governo presieduto dall’on. Romano Prodi. Per una serie di ragioni, legate non soltanto alla contingenza politica: la necessità della parte più a sinistra dello schieramento di Centrosinistra, la cosiddetta “sinistra radicale”, di dimostrare all’elettorato di riferimento di potere conseguire risultati ritenuti qualificanti fin dal periodo del 1968; la corrispondente esigenza delle altre componenti dello schieramento di Centrosinistra di cedere su questi fronti alla “sinistra radicale” per non perdere l’appoggio di essa a provvedimenti di natura economica e finanziaria penalizzanti per le fasce sociali in condizioni di maggiore disagio; la linea di continuità, anche personale, di alcuni esponenti della “sinistra radicale” con le rivendicazioni emerse negli anni che ruotano attorno al 1968: taluni animatori, e soprattutto talune animatrici, delle occupazioni universitarie e delle “comuni”, e perfino qualche ex terrorista, si sono ritrovati a distanza di qualche decennio sui banchi del Parlamento nazionale, affiancati da qualche loro più giovane epigono, espressione delle aree dell’antagonismo e dei centri sociali; la sponda offerta da personaggi eletti nelle file dell’Ulivo come “cattolici democratici”, convinti, non solo per mera opportunità, che in fondo non esistano principi non soggetti a negoziazione, e che il richiamo al diritto naturale sia una forma di deviazione ideologica. […] Basti pensare, con riferimento alla famiglia, al disegno di legge del governo teso a introdurre i cosiddetti “diritti delle persone conviventi”, cioè il riconoscimento pubblico delle unioni civili, e in particolare delle unioni omosessuali, al disegno legge della maggioranza di Centrosinistra di cambiare le norme sul doppio cognome, allo sforzo dell’Esecutivo di far passare – con voto di fiducia! – una disposizione tesa a esprimere la cosiddetta omofobia, in realtà lesiva di un’impostazione pedagogica rispettosa del diritto naturale in materia di omosessualità. A proposito dell’integrità della vita, vanno ricordate: le disposizioni nei fatti favorevoli all’eutanasia promosse dal professor Ignazio Marino, nella XV Legislatura presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato; l’iniziativa del ministro dell’Università e della Ricerca on. Fabio Mussi, il 30 maggio 2006, a margine del Consiglio dell’Unione europea sulla competitività, di ritirare in rappresentanza dell’Italia il sostegno che in precedenza il nostro Paese aveva dato alla “dichiarazione etica”, riguardante la ricerca sulle cellule staminali: un’iniziativa che ha permesso di finanziare con denaro pubblico la ricerca distruttiva degli embrioni viventi; il decreto ministeriale con il quale il ministro della Salute sen. Livia Turco, a Legislatura conclusa, negli ultimi giorni di vita del Governo Prodi, ha modificato le linee guida della legge sulla fecondazione artificiale, introducendo la possibilità della diagnosi pre-impianto, cioè di fatto della selezione del concepito; il decreto ministeriale con il quale nell’agosto 2006 lo stesso ministro ha raddoppiato il quantitativo di principio attivo dei derivati della cannabis, che segna la linea di confine tra la sanzionabilità per via amministrativa e quella per via penale della detenzione di sostanze stupefacenti; la decisione di più assessori regionali alla Sanità di introdurre nel sistema sanitario di propria competenza la RU 486, cioè la pillola abortiva. È possibile identificare una trama unitaria in questo impegno teso a colpire l’uomo, nella sua integrità e nella sua dimensione sociale? È difficile dare una risposta sintetica e chiara: nel corso degli ultimi cinque secoli, il percorso di fronte al quale ci si trova ha dapprima sottratto all’uomo, e in particolare all’uomo occidentale e cristiano, le difese delle quali si era dotato, in virtù dell’inserimento in una comunità di fede, in una comunità politica, in una comunità di lavoro e territoriale, lasciandolo solo di fronte allo Stato onnipervasivo; quindi lo ha aggredito direttamente, puntando a disarticolare quelle strutture statali, o comunque istituzionali, ancora sopravviventi e in grado di condizionare positivamente l’uomo a divenire ciò che è. Scrive Antonio Gramsci (1891-1937), nei Quaderni dal carcere, che il materialismo – dialettico e storico – “[…]presuppone tutto questo passato culturale, […] la Riforma, […] la Rivoluzione francese, […] il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita”. Il materialismo è “[…] coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale” e corrisponde “[…] al nesso Riforma protestante + Rivoluzione francese”. Per Gramsci vi è una connessione strutturale fra queste tappe; non è possibile immaginarne una senza le precedenti; le prime si perpetuano “generando” necessariamente le successive, per una meccanica interna al processo. Questo percorso, nelle sue diverse manifestazioni, si appoggia sopra un sostrato comune: la convinzione ideologica secondo la quale il mondo è stato fatto male; così com’è non può andare, va cambiato in radice, nei suoi elementi strutturali. Non tutti però possono dare un contributo sostanziale nella direzione del cambiamento: ciò compete a cerchie ristrette di persone, alle avanguardie della Rivoluzione, dai capi giacobini ai dirigenti del Partito comunista; costoro, ponendosi alla guida del mutamento e valendosi di particolari tecniche – di natura politica e non –, sono i soli in grado di ribaltare la situazione e di condurre a un mondo finalmente e materialmente redento dai limiti naturali che ancora lo affliggono. Che cosa accade però se il processo unitario richiamato da Gramsci finisce in un vicolo cieco, se, cioè, la costruzione innalzata a costo di tanti sacrifici alla fine implode e dal lungo travaglio del parto nasce un morto? L’esito, emblematizzato dalle pietre che rotolano dal Muro in disfacimento, si ripercuote necessariamente sull’intero processo, con una sorta di effetto domino, per la connessione che salda ogni tassello con il precedente. Il crollo del Muro pone in crisi nel suo insieme l’itinerario descritto con lucidità dal fondatore del PCI. “Il crollo del comunismo – si legge nella dichiarazione dell’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, del dicembre 1991 – mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista”. L’implosione dei regimi totalitari dei regimi totalitari dell’Europa centrale e orientale è la certificazione storica della falsità della tesi di fondo del processo rivoluzionario sfociato nel comunismo. La logica imporrebbe di risalire indietro, fino a ritrovare il punto a partire dal quale si è sbagliato strada: per cogliere quei presupposti remoti, culturali e politici, che hanno condotto senza soluzione di continuità all’universo dei gulag. Questo finora non è stato fatto, o è stato fatto in modo incompleto e parziale: la nuvola di polvere sollevata dallo sbriciolamento del Muro e, un paio d’anni dopo, la rimozione della bandiera rossa dalla sommità del Cremlino non sono bastate a smuovere dalle fondamenta l’impalcatura ideologica di cui il Cremlino è stato soltanto uno degli emblemi. Nel frattempo, ha preso corpo la galassia dei movimenti antagonisti e no-global, manifestazione anche fisica della frantumazione e del rifiuto del pensiero e dell’azione all’insegna della razionalità: una sorta di aggregazione sui generis, fondata sull’a-socialità dei comportamenti di chi ne fa parte. L’arretramento ideologico di larga parte della Sinistra ha permesso ad alcune frange di essa di attestarsi alla fase antecedente, col rinvio, esplicito o implicito, al trinomio rivoluzionario del 1789, pur se variamente declinato e attualizzato. Una parte della Sinistra arretra di una tappa, che peraltro reca in sé per intero i germi – e non solo i germi – del social comunismo sconfessato: non c’è poi tanta distanza fra égalité giacobina e il livellamento sociale realizzato sotto il simbolo della falce e del martello; o fra la ghigliottina, uguale per tutti, e l’universo dei gulag, egualmente massificante. L’arretramento tattico consente di evitare l’abiura della struttura profonda del processo rivoluzionario, quel comune denominatore appena descritto. Va aggiunto però che se, nella sostanza e oltre i distinguo, a Sinistra, soprattutto in Italia, non ci si è allontanati dal comune denominatore che è stato l’humus – tra l’altro – del comunismo, non sempre nel Centrodestra si è colta fino in fondo la lezione del crollo del Muro: in un passato anche recente ci si è spesso limitati a un’analisi schiacciata fra i poli dialettici comunismo/anticomunismo, senza cogliere il processo rivoluzionario nella sua dinamica e nel suo fondamento. È ben vero che l’analisi critica del processo posto in forse dai fatti del 1989 non è semplice né agevole; ma è altrettanto vero che, se essa non può essere compiuta in via principale dal ceto politico, non può essere ignorata dallo stesso. Anche perché l non comprensione del carattere strutturale della crisi – il “mondo in frantumi” – si traduce in non comprensione del corollario della dinamica della crisi medesima, che conduce all’esilio della politica. Nel Centrodestra non mancano i fattori inquinanti, la cui presenza non meraviglia e non deve provocare scandalo: il sistema bipolare, ormai avviato a consolidarsi come bipartitico, impone forze politiche di dimensioni ampie, che finiscono con il costituire megacontenitori, e il contesto culturale è ancora più variegato. L’importante è esserne consapevoli, e lavorare perché nel contenitore non manchino le idee e i principi: i quali vanno salvati dalle onde del libertarismo e del filo anarchismo, dai residui sessantottini, e perfino dal rammarico – che talora affiora in alcuni esponenti, anche autorevoli, del Centrodestra – di non essere stati parte attiva ai fatti significativi del 1968; un rammarico fondato su un’impropria mitizzazione di quel momento storico. Detto questo, non è detto tutto. Il politico non può limitarsi a un’analisi, ma deve far seguire una terapia. E la terapia è tenuta a considerare anzitutto il contesto nel quale viviamo. Della difficoltà di tentare il governo di una realtà che ha le caratteristiche descritte dal 41° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese del CENSIS il Centrodestra sembra conscio […]. È evidente che la politica non ha la chiave per soluzioni esclusive o per chiare inversioni di rotte: la rinuncia a mettere al mondo figli, che è uno dei segni più drammatici della frammentazione del corpo sociale e del suo ridursi a poltiglia, non può essere contrastata soltanto con i decreti e con le leggi. E tuttavia, si può immaginare una correzione di rotta in tempi lunghi e con decisioni dal respiro strategico, che partano, per esempio, dalla revisione del rapporto tra fisco e famiglia, in vista di una correzione del costume e dei comportamenti. […] È necessario, una volta acquisito il consenso, “fare” in positivo per recuperare al corpo sociale elementi essenziali di sana struttura. La sfida per una politica che aspiri a essere degna del suo mandato è quella di riempire lo spazio fra il “già” e il “non ancora” descritti dall’Anti-prince, e cioè di ritrovare un ruolo, circoscritto ma autonomo e non subordinato; ma essa deve convincersi che la non subordinazione a poteri privi del mandato rappresentativo e di consenso diffuso è legata alla subordinazione a un quadro di principi non oggetto di transazione. Primo fra tutti, la centralità dell’uomo. Partire dalla persona, e dal riconoscimento e dalla tutela dei suoi diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita, rappresenta non un mero dato cronologico, ma una precisa scelta di adesione alla realtà. Proseguire con la tutela e con la ricostruzione di elementi normativi e di fiscalità più favorevoli alla formazione, alla crescita e alla conservazione del nucleo famigliare non risolverà le crisi concrete di tutte le famiglie, ma in prospettiva sarà in grado di limitare i problemi materiali di una parte di esse. Dalla “mucillagine”, lo ripeto, si esce facendo perno sull’uomo e sulla famiglia.».
«La mistica della “società civile sana” contrapposta alla partitocrazia afflitta dal male della corruzione offre a tutti gli italiani l’illusione di una verginità nei comportamenti civili contro l’evidenza di un paese dove senso civico e rispetto della legalità non sono pratiche poi così diffuse.»
Gli estremisti di Beppe Grillo, di fatto, hanno spinto i moderati verso la tecnocrazia, che così ha avuto buon gioco nel fare cadere il presidente Berlusconi, un presidente che governava legittimamente, e mettere al suo posto Mario Monti.
Leggete questo brano che mi è stato segnalato dall'amico Filippo Giorgianni che è intitolato "Alfredo Mantovano, "Ricostruire un contesto sociale "coriandolare"", in AA.VV, "A maggior gloria di Dio anche nel sociale":
«Nel novembre 1996, a pochi mesi dall’avvio dell’esperienza di governo dell’Ulivo, è stato pubblicato un libro dalla casa editrice Il Fenicottero: ha una diffusione e un’eco limitate, ma la lettura delle sue pagine è di non scarso interesse. S’intitola Anti-prince. L’autore è François Sauzey, responsabile dell’ufficio stampa della Trilateral Commission. È un romanzo, e descrive il ritorno nella sua città, dopo anni di lontananza, dello stesso autore e di un certo P-Bee, iniziali di un personaggio reale, appartenente al mondo dell’industria e della finanza italiane: un personaggio che Sauzey piega essergli presentato da David Rockefeller a Washington, durante un meeting della Commissione Trilaterale, e che lo accompagna nel viaggio di rientro [...]. Il tema del libro è la morte dello Stato e l’emergere di una nuova polis, senza confini, nella quale si accede senza documenti, che ha e caratteristiche di un network: tante bandiere, l’una diversa dall’altra, una grande quantità di lingue parlate – con prevalenza dell’inglese – e una marcata incertezza sulla titolarità del potere. Chi comanda nella nuovapolis? Al quesito, che François pone a P-Bee, costui risponde spiegando che “[...] c’è stato un cambio della guardia”. Nella polis riscoperta un luogo inutile è il Parlamento. La stampa “sembra non parlare di nulla”. Dappertutto ci sono banche. Il Principe,che dovrebbe essere il capo della polis, è dipinto come un essere ripugnante e marginale, disteso su un sofà, privo di qualsiasi potere effettivo, a cominciare da quello di emanare le leggi che dovrebbe approvare il Parlamento, dal momento che “[...] ora è Bruxelles ad avere la precedenza sulle nostre leggi”. Il “cambio della guardia” è radicale: l’impresa ha acquisito la centralità che prima, come soggetto istituzionale prevalente, aveva il cittadino; il mercato detta le regole della convivenza quotidiana, sostituendo le norme una volta dettate dalla legge; caduto ogni confine, il mondo, il globo in generale, diventa il territorio naturale e subentra alla vecchia patria; non è più la civiltà la forza più attiva e consistente, bensì le etnie. La vita reale si svolge non nelle istituzioni e nelle sedi delle tradizionali autorità sociali, ma altrove: in borsa, nelle banche, su internet… Come la gran parte della letteratura detta “utopistica”, anche in questo romanzo non è ben definito il confine fra la descrizione di ciò che è già e la proiezione di ciò che non è ancora, ma di cui s’intravedono i segni. Anti-prince è stata però una lettura utile perché ha indicato una linea di tendenza: ai secoli della progressiva ipertrofia dello Stato, al momento della formazione dello Stato moderno, segue da tempo l’altrettanto progressivo, e progressivamente accelerato, scioglimento de più elementari presidi istituzionali. Al “tutto nello Stato, tutto per lo Stato, niente al di fuori dello Stato”, del quale il secolo XIX secolo aveva fatto conoscere la versione centralizzatrice d’impronta liberale, e il secolo XX le varianti nazionalsocialista e socialcomunista, si sostituisce la fuga dallo Stato, senza che vi sia lo sforzo per cercare un punto di equilibrio, che faccia svolgere allo Stato le funzioni che gli spettano, evitando di appropriarsi di compiti non propri, ma anche di rinunciare alle proprie responsabilità. Non che l’impresa, il mercato, la borsa, internet, la globalizzazione, l’integrazione multietnica abbiano, ciascuno in sé considerato, connotazioni negative. Si tratta però di capire se questi elementi devono restare gli esclusivi dominatori della scena pubblica e gli esclusivi regolatori della vita dei singoli, e se invece elementi come società, patria, nazione, Stato, siano ormai fuori dalla realtà; si tratta di capire se la politica ha ancora un senso, o se tutto deve essere dominato da scelte che si spacciano per “tecniche”, imponendo ai Parlamenti e ai popoli europei decisioni adottate in sedi comunitarie prive in modo diretto di mandato rappresentativo, senza un vaglio approfondito delle autorità politiche dei singoli Stati. In una prospettiva tradizionale, lo Stato ha una funzione propria e insostituibile: una funzione naturale, che prescinde dai condizionamenti culturali e storici. Si tratta, in particolare, di uno Stato non accentratore o prevaricatore, bensì autorevole, che rispetta le realtà istituzionali e sociali, in un’ottica di effettiva sussidiarietà, senza abdicare alle proprie funzioni. Uno Stato che non esiste per sé: esiste in relazione al popolo e al territorio, entrambi elementi materiali, cui si affiancava il vincolo giuridico che costituisce l’elemento formale; la nazione, a sua volta, benché spesso sia un termine adoperato indifferentemente rispetto a popolo, si basa su vincoli non giuridici, più profondi e di rilievo morale. Logicamente e cronologicamente non viene prima lo Stato, e quindi il popolo, il territorio, l’ordinamento giuridico, e quei valori comuni nei quali il popolo si riconosce: esistono dapprima questi fattori, e la loro organica composizione integra e legittima la sovranità dello Stato. Questo è tanto più autorevole quanto più è chiara la memoria dell’identità della nazione che esso rappresenta e guida; quanto più sono evidenti le libertà concrete, dei singoli e dei corpi intermedi, che all’interno della nazione si sono sviluppati nel corso dei secoli, e i valori che in quelle libertà hanno trovato compimento; quanto più quelle libertà e quei valori trovano riscontro nell’esperienza storica di altre nazioni, anzitutto nel continente europeo; quanto più valori e libertà trovano composizione con gli interessi economici e finanziari delle singole comunità; quanto più, infine al centro dell’attività delle istituzioni viene posto il bene della persona. Nell’Anti-prince l’esito del “cambio della guardia” è un “nuovo uomo”, espressione di una “nuova soggettività”. Nella parte finale del libro di Sauzey, costui si sorprende quando scopre l’esistenza di “[…] un Uomo che è soltanto l’ombra del precedente. Un uomo della rete, la cui indipendenza è accerchiata da ogni parte. […] Un Uomo che non è più sovrano, non è più neppure ‘uno’. […] un Soggetto polverizzato”. A queste osservazioni P-Bee risponde con franchezza: “[…] Se per Soggetto tu intendi qualche cosa che, anche se lontanamente, assomiglia all’uomo di Cartesio, […]sì, il soggetto si è frantumato – irreparabilmente rotto, temo”. Riecheggia, anche nei termini adoperati, il monito lanciato dallo scrittore russo Aleksandr Solženicyn trent’anni fa, l’8 giugno 1978, quando si presentò l’Università di Harvard davanti a ventimila persone, per la maggior parte studenti, e pronunciò un discorso che gli ascoltatori non compresero, tanto che raccolse più fischi che applausi. Nell’occasione descrisse con poche pennellate la crisi della modernità, che accomuna Est e Ovest, e ne identificò i caratteri. Dopo aver parlato del “bazar del Partito” a Est – si era ancora un decennio prima della caduta del Muro di Berlino, avvenuto nel 1989 – e della “fiera del commercio”, a Occidente, disse: “quello che fa paura, della crisi attuale, non è neanche il fatto della spaccatura del mondo, quanto che i frantumi più importanti siano colti da un’analoga malattia”. Adoperò proprio quell’espressione, all’inizio dell’esposizione, riassuntiva della condizione umana di oggi: parlò di “un mondo in frantumi”, e cioè di spaccatura profonde, non tanto o non solo di natura politica, o fra blocchi contrapposti, ma “[…] di crepe più profonde, più larghe e più numerose di quanto non appaia al primo sguardo”. Aggiunse che “[…] questa frantumazione profonda e multiforme è gravida per tutti noi di vari rischi mortali”, dal momento che “[…] qualsiasi regno diviso contro sé stesso – oggi la nostra Terra – è destinato a morire”. Qualche anno dopo, nel 1984, la medesima espressione – “mondo frantumato” – si incontra in uno dei più importanti documenti del magistero di Papa Giovanni Paolo II: l’esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia. E la si è ritrovata altre volte nel magistero pontificio, per descrivere la situazione di disorientamento esistenziale, prima ancora che sociale e politico, che grava sull’uomo di fine e d’inizio millennio. Questa espressione appare oggi ancora più puntuale rispetto a trent’anni fa. La si ritrova nel 41° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese, l’ultimo redatto a cura del CENSIS – il Centro Studi Investimenti Sociali, presieduto dal prof. Giuseppe De Rita – che descrive il contesto sociale italiano come “una realtà ambigua, senza rilievi e contorni di tipo sociologico e politico, piattamente de-totalizzata, e quindi sfuggente a ogni schema e sforzo interpretativo. Una realtà che diventa ogni giorno una poltiglia di massa; impastata di pulsioni, emozioni, esperienze e, di conseguenza, particolarmente indifferente a fini e obiettivi di futuro, quindi ripiegata su se stessa”. Prosegue il rapporto: “Al termine poltiglia di massa si può […] sostituire il termine più espressivo di ‘mucillagine’, quasi un insieme inconcludente di ‘elementi individuali e di ritagli personali’ tenuti insieme da un sociale di bassa lega, e senza alcuna funzione di coesione da parte delle istituzioni. […] la frammentazione progressiva di tutte le forme di coesione e appartenenza collettiva ha creato una molecolarità che […] sta creando dei ‘coriandoli’, i quali stanno insieme (meglio sarebbe dire ‘accanto’) per pura inerzia, per appagato imborghesimento, per paura di tornare indietro, magari mitridatizzata da una sempre più generalizzata volgarità plebea. La caratteristica fondamentale dei ‘ritagli umani’ senza identità è la dispersione del sé, nello spazio e nel tempo collettivo. Nello spazio, per la vittoria irresistibile della soggettività esasperante in ogni comportamento, senza attenzione al momento della relazione e della convivenza. Nel tempo, per il declino irresistibile dell’attenzione su un tema, un problema, un fenomeno […]. Con i ritagli non si costruisce un tessuto sociale: così abbiamo, sul piano individuale, bolle di aspirazioni senza scopo e senza mordente e, sul piano sociale, deboli connessioni, smorte forme di aggregazione e inanimati simulacri dei processi di coesione che furono”. Di fronte a questa realtà sociologica non si può pretendere dalla politica il recupero di un’organicità che è perduta da decenni, ma si può esigere che individui nella frantumazione di un quadro una volta coerente la causa di una crisi molto più profonda di tante analisi di superficie. Potrebbe costituire un utile esercizio, per chi abbia voglia di farlo, percorrere a ritroso il cammino della modernità, per identificare in esso le ragioni reali delle spaccature e delle frammentazioni. Nel mondo politico è indispensabile interrogarsi su quale sia la parte da recitare per rispondere, nei limiti delle proprie competenze, alle necessità e ai disagi di un corpo sociale che ha le caratteristiche appena descritte. […] L’eliminazione dello Stato, in questo quadro, “lo Stato in fase calante” – per riprendere l’espressione di Sauzey –, la sua riduzione ai minimi termini è funzionale alla frantumazione dell’uomo, alla scomposizione dell’integralità del suo essere, all’allontanamento dell’uomo da un tipo definito dalla natura invece che dai laboratori. “Non lo troverai certo – spiega P-Bee nell’Anti-prince –, con una matita in mano, nella tranquillità del suo studio, a cercare di scoprire chi è. No! Questo no! Del nostro nuovo Uomo, potremmo dire che è un satellite capace di fargli scoprire sé stesso, che gli mostra chiaramente la sostanza di quello che egli è veramente. In questo senso, in quanto nuovo Soggetto, egli […] non è più autonomo, non è più sovrano; non è più veramente ‘il tutto’, ma soltanto una parte del tutto. […] egli non è più un soggetto personale!”. Dunque, non è lo Stato l’obiettivo finale, il nemico da abbattere, di un percorso storico e culturale plurisecolare. Ovvero, lo è in quanto oggi è, in qualche misura, strumento di difesa dell’integrità della persona. L’obiettivo che compare al centro del mirino di un processo intellettuale, prima che politico, è la persona come corrispondente a una natura data; obiettivi secondari, la cui disgregazione è volta al perseguimento dell’obiettivo principale, sono le comunità nelle quali la persona nasce, cresce e viene educata, in primis la famiglia. Si ricava qualche esempio illuminante dall’azione politica mirata alla disgregazione della famiglia e alla frantumazione dell’identità naturale della persona dagli atti della XV Legislatura, durata – grazie a Dio – appena due anni, dal 28 aprile 2006 al 28 aprile 2008: mai come in tale periodo vi è stata una così intensa concentrazione di attacchi alla vita e alla comunità familiare. In ogni legislatura dell’Italia repubblicana, a partire dagli anni 1970, sono stati depositati progetti legislativi eversivi su questi fronti, ma in quel biennio si è concretizzato lo sforzo per tradurli in norme di legge, su iniziativa parlamentare, ma soprattutto su impulso del governo presieduto dall’on. Romano Prodi. Per una serie di ragioni, legate non soltanto alla contingenza politica: la necessità della parte più a sinistra dello schieramento di Centrosinistra, la cosiddetta “sinistra radicale”, di dimostrare all’elettorato di riferimento di potere conseguire risultati ritenuti qualificanti fin dal periodo del 1968; la corrispondente esigenza delle altre componenti dello schieramento di Centrosinistra di cedere su questi fronti alla “sinistra radicale” per non perdere l’appoggio di essa a provvedimenti di natura economica e finanziaria penalizzanti per le fasce sociali in condizioni di maggiore disagio; la linea di continuità, anche personale, di alcuni esponenti della “sinistra radicale” con le rivendicazioni emerse negli anni che ruotano attorno al 1968: taluni animatori, e soprattutto talune animatrici, delle occupazioni universitarie e delle “comuni”, e perfino qualche ex terrorista, si sono ritrovati a distanza di qualche decennio sui banchi del Parlamento nazionale, affiancati da qualche loro più giovane epigono, espressione delle aree dell’antagonismo e dei centri sociali; la sponda offerta da personaggi eletti nelle file dell’Ulivo come “cattolici democratici”, convinti, non solo per mera opportunità, che in fondo non esistano principi non soggetti a negoziazione, e che il richiamo al diritto naturale sia una forma di deviazione ideologica. […] Basti pensare, con riferimento alla famiglia, al disegno di legge del governo teso a introdurre i cosiddetti “diritti delle persone conviventi”, cioè il riconoscimento pubblico delle unioni civili, e in particolare delle unioni omosessuali, al disegno legge della maggioranza di Centrosinistra di cambiare le norme sul doppio cognome, allo sforzo dell’Esecutivo di far passare – con voto di fiducia! – una disposizione tesa a esprimere la cosiddetta omofobia, in realtà lesiva di un’impostazione pedagogica rispettosa del diritto naturale in materia di omosessualità. A proposito dell’integrità della vita, vanno ricordate: le disposizioni nei fatti favorevoli all’eutanasia promosse dal professor Ignazio Marino, nella XV Legislatura presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato; l’iniziativa del ministro dell’Università e della Ricerca on. Fabio Mussi, il 30 maggio 2006, a margine del Consiglio dell’Unione europea sulla competitività, di ritirare in rappresentanza dell’Italia il sostegno che in precedenza il nostro Paese aveva dato alla “dichiarazione etica”, riguardante la ricerca sulle cellule staminali: un’iniziativa che ha permesso di finanziare con denaro pubblico la ricerca distruttiva degli embrioni viventi; il decreto ministeriale con il quale il ministro della Salute sen. Livia Turco, a Legislatura conclusa, negli ultimi giorni di vita del Governo Prodi, ha modificato le linee guida della legge sulla fecondazione artificiale, introducendo la possibilità della diagnosi pre-impianto, cioè di fatto della selezione del concepito; il decreto ministeriale con il quale nell’agosto 2006 lo stesso ministro ha raddoppiato il quantitativo di principio attivo dei derivati della cannabis, che segna la linea di confine tra la sanzionabilità per via amministrativa e quella per via penale della detenzione di sostanze stupefacenti; la decisione di più assessori regionali alla Sanità di introdurre nel sistema sanitario di propria competenza la RU 486, cioè la pillola abortiva. È possibile identificare una trama unitaria in questo impegno teso a colpire l’uomo, nella sua integrità e nella sua dimensione sociale? È difficile dare una risposta sintetica e chiara: nel corso degli ultimi cinque secoli, il percorso di fronte al quale ci si trova ha dapprima sottratto all’uomo, e in particolare all’uomo occidentale e cristiano, le difese delle quali si era dotato, in virtù dell’inserimento in una comunità di fede, in una comunità politica, in una comunità di lavoro e territoriale, lasciandolo solo di fronte allo Stato onnipervasivo; quindi lo ha aggredito direttamente, puntando a disarticolare quelle strutture statali, o comunque istituzionali, ancora sopravviventi e in grado di condizionare positivamente l’uomo a divenire ciò che è. Scrive Antonio Gramsci (1891-1937), nei Quaderni dal carcere, che il materialismo – dialettico e storico – “[…]presuppone tutto questo passato culturale, […] la Riforma, […] la Rivoluzione francese, […] il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita”. Il materialismo è “[…] coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale” e corrisponde “[…] al nesso Riforma protestante + Rivoluzione francese”. Per Gramsci vi è una connessione strutturale fra queste tappe; non è possibile immaginarne una senza le precedenti; le prime si perpetuano “generando” necessariamente le successive, per una meccanica interna al processo. Questo percorso, nelle sue diverse manifestazioni, si appoggia sopra un sostrato comune: la convinzione ideologica secondo la quale il mondo è stato fatto male; così com’è non può andare, va cambiato in radice, nei suoi elementi strutturali. Non tutti però possono dare un contributo sostanziale nella direzione del cambiamento: ciò compete a cerchie ristrette di persone, alle avanguardie della Rivoluzione, dai capi giacobini ai dirigenti del Partito comunista; costoro, ponendosi alla guida del mutamento e valendosi di particolari tecniche – di natura politica e non –, sono i soli in grado di ribaltare la situazione e di condurre a un mondo finalmente e materialmente redento dai limiti naturali che ancora lo affliggono. Che cosa accade però se il processo unitario richiamato da Gramsci finisce in un vicolo cieco, se, cioè, la costruzione innalzata a costo di tanti sacrifici alla fine implode e dal lungo travaglio del parto nasce un morto? L’esito, emblematizzato dalle pietre che rotolano dal Muro in disfacimento, si ripercuote necessariamente sull’intero processo, con una sorta di effetto domino, per la connessione che salda ogni tassello con il precedente. Il crollo del Muro pone in crisi nel suo insieme l’itinerario descritto con lucidità dal fondatore del PCI. “Il crollo del comunismo – si legge nella dichiarazione dell’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, del dicembre 1991 – mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista”. L’implosione dei regimi totalitari dei regimi totalitari dell’Europa centrale e orientale è la certificazione storica della falsità della tesi di fondo del processo rivoluzionario sfociato nel comunismo. La logica imporrebbe di risalire indietro, fino a ritrovare il punto a partire dal quale si è sbagliato strada: per cogliere quei presupposti remoti, culturali e politici, che hanno condotto senza soluzione di continuità all’universo dei gulag. Questo finora non è stato fatto, o è stato fatto in modo incompleto e parziale: la nuvola di polvere sollevata dallo sbriciolamento del Muro e, un paio d’anni dopo, la rimozione della bandiera rossa dalla sommità del Cremlino non sono bastate a smuovere dalle fondamenta l’impalcatura ideologica di cui il Cremlino è stato soltanto uno degli emblemi. Nel frattempo, ha preso corpo la galassia dei movimenti antagonisti e no-global, manifestazione anche fisica della frantumazione e del rifiuto del pensiero e dell’azione all’insegna della razionalità: una sorta di aggregazione sui generis, fondata sull’a-socialità dei comportamenti di chi ne fa parte. L’arretramento ideologico di larga parte della Sinistra ha permesso ad alcune frange di essa di attestarsi alla fase antecedente, col rinvio, esplicito o implicito, al trinomio rivoluzionario del 1789, pur se variamente declinato e attualizzato. Una parte della Sinistra arretra di una tappa, che peraltro reca in sé per intero i germi – e non solo i germi – del social comunismo sconfessato: non c’è poi tanta distanza fra égalité giacobina e il livellamento sociale realizzato sotto il simbolo della falce e del martello; o fra la ghigliottina, uguale per tutti, e l’universo dei gulag, egualmente massificante. L’arretramento tattico consente di evitare l’abiura della struttura profonda del processo rivoluzionario, quel comune denominatore appena descritto. Va aggiunto però che se, nella sostanza e oltre i distinguo, a Sinistra, soprattutto in Italia, non ci si è allontanati dal comune denominatore che è stato l’humus – tra l’altro – del comunismo, non sempre nel Centrodestra si è colta fino in fondo la lezione del crollo del Muro: in un passato anche recente ci si è spesso limitati a un’analisi schiacciata fra i poli dialettici comunismo/anticomunismo, senza cogliere il processo rivoluzionario nella sua dinamica e nel suo fondamento. È ben vero che l’analisi critica del processo posto in forse dai fatti del 1989 non è semplice né agevole; ma è altrettanto vero che, se essa non può essere compiuta in via principale dal ceto politico, non può essere ignorata dallo stesso. Anche perché l non comprensione del carattere strutturale della crisi – il “mondo in frantumi” – si traduce in non comprensione del corollario della dinamica della crisi medesima, che conduce all’esilio della politica. Nel Centrodestra non mancano i fattori inquinanti, la cui presenza non meraviglia e non deve provocare scandalo: il sistema bipolare, ormai avviato a consolidarsi come bipartitico, impone forze politiche di dimensioni ampie, che finiscono con il costituire megacontenitori, e il contesto culturale è ancora più variegato. L’importante è esserne consapevoli, e lavorare perché nel contenitore non manchino le idee e i principi: i quali vanno salvati dalle onde del libertarismo e del filo anarchismo, dai residui sessantottini, e perfino dal rammarico – che talora affiora in alcuni esponenti, anche autorevoli, del Centrodestra – di non essere stati parte attiva ai fatti significativi del 1968; un rammarico fondato su un’impropria mitizzazione di quel momento storico. Detto questo, non è detto tutto. Il politico non può limitarsi a un’analisi, ma deve far seguire una terapia. E la terapia è tenuta a considerare anzitutto il contesto nel quale viviamo. Della difficoltà di tentare il governo di una realtà che ha le caratteristiche descritte dal 41° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese del CENSIS il Centrodestra sembra conscio […]. È evidente che la politica non ha la chiave per soluzioni esclusive o per chiare inversioni di rotte: la rinuncia a mettere al mondo figli, che è uno dei segni più drammatici della frammentazione del corpo sociale e del suo ridursi a poltiglia, non può essere contrastata soltanto con i decreti e con le leggi. E tuttavia, si può immaginare una correzione di rotta in tempi lunghi e con decisioni dal respiro strategico, che partano, per esempio, dalla revisione del rapporto tra fisco e famiglia, in vista di una correzione del costume e dei comportamenti. […] È necessario, una volta acquisito il consenso, “fare” in positivo per recuperare al corpo sociale elementi essenziali di sana struttura. La sfida per una politica che aspiri a essere degna del suo mandato è quella di riempire lo spazio fra il “già” e il “non ancora” descritti dall’Anti-prince, e cioè di ritrovare un ruolo, circoscritto ma autonomo e non subordinato; ma essa deve convincersi che la non subordinazione a poteri privi del mandato rappresentativo e di consenso diffuso è legata alla subordinazione a un quadro di principi non oggetto di transazione. Primo fra tutti, la centralità dell’uomo. Partire dalla persona, e dal riconoscimento e dalla tutela dei suoi diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita, rappresenta non un mero dato cronologico, ma una precisa scelta di adesione alla realtà. Proseguire con la tutela e con la ricostruzione di elementi normativi e di fiscalità più favorevoli alla formazione, alla crescita e alla conservazione del nucleo famigliare non risolverà le crisi concrete di tutte le famiglie, ma in prospettiva sarà in grado di limitare i problemi materiali di una parte di esse. Dalla “mucillagine”, lo ripeto, si esce facendo perno sull’uomo e sulla famiglia.».
Questo brano fa il paio con quest'altro, che mi è stato segnalato sempre da Giorgianni. Esso è stato scritto da Simona Colarizi, è intitolato "Il finanziamento pubblico, la partitocrazia, la mistica della...", in 'Italianieuropei' n. 5/2012, pag. 19" e recita:
Io penso che questa volta Filippo Giorgianni si sia superato.
Questo ragazzo di Barcellona Pozzo di Gotto (in Provincia di Messina) ha cultura e passione.
Va valorizzato.
Qui in Italia, ci sono tanti giovani come lui e non vengono valorizzati. Ciò è uno scempio.
Ora, entro nel merito dei testi qui riportati.
Come ho già detto in precedenza, l'antipolitica ha due volti, il populismo qualunquista e gnostico (come quello del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo o la sinistra estrema di Nichi Vendola e Paolo Ferrero) e la tecnocrazia, come il governo Monti.
Chi dice che Beppe Grillo sia l'anti-Monti, dice una grossa sciocchezza.
Beppe Grillo, infatti, è il vero alleato di Monti, forse più dei vari Pierferdinando Casini e soci.
Ragionate, Grillo delegittima la politica, esaltandone i vizi che (per carità di Dio) ci sono.
I moderati, vedendo che il populismo sta prendendo piede, si rifugiano nella tecnocrazia.
Si sta verificando quanto scritto da Plinio Correa de Oliveira sul suo libro "Rivoluzione e Controrivoluzione":
"4. Le velocità della Rivoluzione
Questo processo rivoluzionario si manifesta con due diverse velocità. L'una, rapida, è generalmente
destinata al fallimento sul piano immediato. L'altra è stata abitualmente coronata da successo, ed è molto più lenta.
A. L'alta velocitàI movimenti pre-comunisti degli anabattisti, per esempio, trassero immediatamente, in diversi
campi, tutte o quasi tutte le conseguenze dello spirito e delle tendenze della Pseudo-Riforma.
Fallirono.
B. La marcia lenta
Lentamente, nel corso di più di quattro secoli, le correnti più moderate del protestantesimo,
avanzando di eccesso in eccesso, per tappe successive di dinamismo e di inerzia, vanno tuttavia
favorendo gradatamente, in un modo o nell'altro, la marcia dell'Occidente verso lo stesso punto
estremo (vedi parte II, cap. VIII, 2).
C. Come si armonizzano queste velocità
È necessario studiare la parte di ciascuna di queste velocità nella marcia della Rivoluzione. Si
direbbe che i movimenti più veloci siano inutili. Ma non è vero. L'esplosione di questi estremismi
alza una bandiera, crea un punto di attrazione fisso che affascina per il suo stesso radicalismo i
moderati, e verso cui questi cominciano lentamente a incamminarsi. Così, il socialismo respinge il comunismo, ma lo ammira in silenzio e tende a esso. Ancora prima nel tempo si potrebbe dire lo stesso a proposito del comunista Babeuf e dei suoi seguaci negli ultimi bagliori della Rivoluzione
francese. Furono schiacciati. Ma lentamente la società sta percorrendo la via sulla quale essi
avevano voluto portarla. Il fallimento degli estremisti è, dunque, soltanto apparente. Essi danno il loro contributo indirettamente, ma potentemente, alla Rivoluzione, attirando lentamente verso la realizzazione dei loro colpevoli ed esasperati vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei
"prudenti", dei "moderati" e dei mediocri.".
Questo processo rivoluzionario si manifesta con due diverse velocità. L'una, rapida, è generalmente
destinata al fallimento sul piano immediato. L'altra è stata abitualmente coronata da successo, ed è molto più lenta.
A. L'alta velocitàI movimenti pre-comunisti degli anabattisti, per esempio, trassero immediatamente, in diversi
campi, tutte o quasi tutte le conseguenze dello spirito e delle tendenze della Pseudo-Riforma.
Fallirono.
B. La marcia lenta
Lentamente, nel corso di più di quattro secoli, le correnti più moderate del protestantesimo,
avanzando di eccesso in eccesso, per tappe successive di dinamismo e di inerzia, vanno tuttavia
favorendo gradatamente, in un modo o nell'altro, la marcia dell'Occidente verso lo stesso punto
estremo (vedi parte II, cap. VIII, 2).
C. Come si armonizzano queste velocità
È necessario studiare la parte di ciascuna di queste velocità nella marcia della Rivoluzione. Si
direbbe che i movimenti più veloci siano inutili. Ma non è vero. L'esplosione di questi estremismi
alza una bandiera, crea un punto di attrazione fisso che affascina per il suo stesso radicalismo i
moderati, e verso cui questi cominciano lentamente a incamminarsi. Così, il socialismo respinge il comunismo, ma lo ammira in silenzio e tende a esso. Ancora prima nel tempo si potrebbe dire lo stesso a proposito del comunista Babeuf e dei suoi seguaci negli ultimi bagliori della Rivoluzione
francese. Furono schiacciati. Ma lentamente la società sta percorrendo la via sulla quale essi
avevano voluto portarla. Il fallimento degli estremisti è, dunque, soltanto apparente. Essi danno il loro contributo indirettamente, ma potentemente, alla Rivoluzione, attirando lentamente verso la realizzazione dei loro colpevoli ed esasperati vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei
"prudenti", dei "moderati" e dei mediocri.".
Possiamo dire che Beppe Grillo e Mario Monti siano come Maximilien de Robespierre e Napoleone Bonaparte.
Se l'uno non avesse innescato la Rivoluzione Francese, l'altro non avrebbe preso il potere.
La dimostrazione sta proprio nel fatto che Grillo si limiti a protestare, senza proporre nulla di realmente alternativo.
Ad esempio, egli dice no ai termovalorizzatori, alla TAV Lione-Torino o alle centrali nucleari ma non propone nulla che sia alternativo.
La gente, che è stremata dalla crisi economica (una crisi inventata dai tecnocrati), si rifugia nel voto di protesta rappresentato da Beppe Grillo.
Questi mette i ricchi contro i poveri, gli imprenditori contro gli operai ed i giovani contro i vecchi, creando la disgregazione sociale (di cui parla Mantovano).
I moderati si rifugiano così in Mario Monti, che viene visto come "il salvatore delle istituzioni".
In realtà, le tensioni sociali vengono aggravate.
I tecnocrati fanno il bello ed il cattivo tempo, tassando a destra e a manca e rendendo i cittadini completamente dipendenti dalle banche.
Beppe Grillo ed i suoi continuano ad aizzare la gente contro la politica.
Se dovesse sparire Beppe Grillo, Mario Monti lo seguirebbe, e vale anche il contrario.
Monti, Grillo, i comunisti e tutti gli estremisti sono il prodotto della cultura rivoluzionaria.
Io penso che la politica debba riprendersi il suo posto, cambiando atteggiamento.
I politici devono incominciare a parlare di più con i cittadini e capirne i problemi.
Devono anche dare l'impulso alle riforme che servono, oltre ad altre politiche importanti, come le politiche infrastrutturali.
Inoltre, la politica deve valorizzare i giovani.
Se farà così, questo "circolo vizioso" sarà destinato a spezzarsi.
In caso contrario, la situazione sarà destinato a peggiorare.
Cordiali saluti.
venerdì 11 maggio 2012
VI Domenica di Pasqua
Cari amici ed amiche.
Le letture delle Sante Messe di oggi e di domani sono:
I brani biblici sono stati presi dal sito della Santa Sede.
Gesù ci lasciò un comandamento nuovo, un comandamento che riassunse il Decalogo del Vecchio Testamento.
Il comandamento recita:
"Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi".
Questo comandamento è il succo di tutta la preesistente Torah.
La Legge gira intorno a queste parole.
Va notata una cosa.
Nel brano Gesù chiamò gli apostoli "amici".
Questa cosa potrebbe passare inosservata ma in realtà è molto importante.
Il Cristianesimo stesso è una religione che si fonda sull'amicizia, sullo stare insieme e sulla comunione fraterna.
Chi si dice cristiano e poi si limita a leggere la Bibbia o a pregare da solo, senza andare a Messa o partecipare ai momenti di aggregazione della comunità, non fa un buon servizio al Cristianesimo.
Anzi, va contro lo stesso messaggio cristiano.
Per carità di Dio, ciò non toglie che egli sia una brava persona ma non pratica pienamente la dottrina cristiana.
Se Gesù considerò gli apostoli "amici" chi è l'uomo per fare diversamente?
Inoltre, rifacendomi al brano degli Atti degli Apostoli che è qui sopra, vi faccio notare che Gesù fu colui che fece finire la divisione tra ebrei e pagani.
Dio, infatti, va da chi lo cerca, sia egli ebreo o non ebreo.
Allora, queste parole ci devono fare riflettere.
Cordiali saluti.
Le letture delle Sante Messe di oggi e di domani sono:
- dagli Atti degli Apostoli (capitolo 10, versetti 25-27, 34-35,44-48):
"[25] Mentre Pietro stava per entrare, Cornelio andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo.
[26] Ma Pietro lo rialzò, dicendo: "Alzati: anch'io sono un uomo!".
[27] Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro:
[34] Pietro prese la parola e disse: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone,
[35] ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto.
[44] Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso.
[45] E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo;
[46] li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio.
[47] Allora Pietro disse: "Forse che si può proibire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?".
[48] E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni. ".
[26] Ma Pietro lo rialzò, dicendo: "Alzati: anch'io sono un uomo!".
[27] Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro:
[34] Pietro prese la parola e disse: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone,
[35] ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto.
[44] Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso.
[45] E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo;
[46] li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio.
[47] Allora Pietro disse: "Forse che si può proibire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?".
[48] E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni. ".
- Dal Salmo 97 (98):
"Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto prodigi.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
[2] Il Signore ha manifestato la sua salvezza,
agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia.
[3] Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa di Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la salvezza del nostro Dio.
[4] Acclami al Signore tutta la terra,
gridate, esultate con canti di gioia.
[5] Cantate inni al Signore con l'arpa,
con l'arpa e con suono melodioso;
[6] con la tromba e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.
[7] Frema il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
[8] I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne
[9] davanti al Signore che viene,
che viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine. ".
perché ha compiuto prodigi.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
[2] Il Signore ha manifestato la sua salvezza,
agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia.
[3] Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa di Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la salvezza del nostro Dio.
[4] Acclami al Signore tutta la terra,
gridate, esultate con canti di gioia.
[5] Cantate inni al Signore con l'arpa,
con l'arpa e con suono melodioso;
[6] con la tromba e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.
[7] Frema il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
[8] I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne
[9] davanti al Signore che viene,
che viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine. ".
- Dalla I Lettera di Giovanni (capitolo 4, versetti 7,10):
"[7] Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio.
[8] Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
[9] In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.
[10] In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. ".
[8] Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
[9] In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.
[10] In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. ".
- Dal Vangelo secondo Giovanni (capitolo 15, versetti 9-17):
"[9] Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
[10] Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
[11] Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
[12] Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
[13] Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
[14] Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando.
[15] Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi.
[16] Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
[17] Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. ".
[10] Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
[11] Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
[12] Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
[13] Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
[14] Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando.
[15] Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi.
[16] Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
[17] Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. ".
I brani biblici sono stati presi dal sito della Santa Sede.
Gesù ci lasciò un comandamento nuovo, un comandamento che riassunse il Decalogo del Vecchio Testamento.
Il comandamento recita:
"Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi".
Questo comandamento è il succo di tutta la preesistente Torah.
La Legge gira intorno a queste parole.
Va notata una cosa.
Nel brano Gesù chiamò gli apostoli "amici".
Questa cosa potrebbe passare inosservata ma in realtà è molto importante.
Il Cristianesimo stesso è una religione che si fonda sull'amicizia, sullo stare insieme e sulla comunione fraterna.
Chi si dice cristiano e poi si limita a leggere la Bibbia o a pregare da solo, senza andare a Messa o partecipare ai momenti di aggregazione della comunità, non fa un buon servizio al Cristianesimo.
Anzi, va contro lo stesso messaggio cristiano.
Per carità di Dio, ciò non toglie che egli sia una brava persona ma non pratica pienamente la dottrina cristiana.
Se Gesù considerò gli apostoli "amici" chi è l'uomo per fare diversamente?
Inoltre, rifacendomi al brano degli Atti degli Apostoli che è qui sopra, vi faccio notare che Gesù fu colui che fece finire la divisione tra ebrei e pagani.
Dio, infatti, va da chi lo cerca, sia egli ebreo o non ebreo.
Allora, queste parole ci devono fare riflettere.
Cordiali saluti.
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Il peggio della politica continua ad essere presente
Ringrazio un caro amico di questa foto.